I due volti dell’Azerbaigian
Nagorno-Karabakh ed Eurofestival: sono le due facce, ugualmente vere e contrastanti, dell’Azerbaigian del 2012. Un paese che sta vivendo una delle stagioni più intense e felici della propria storia ma che, al tempo stesso, rischia ancora di cadere nel baratro di un passato difficile, quello vissuto negli anni finali dell’Unione Sovietica e nel primo quinquennio post-indipendenza.
Immagine e investimenti
L’Azerbaigian è un paese dai forti contrasti. Da un lato vi è una delle crescite economiche più veloci e sostenute dell’economia mondiale (secondo i dati della Banca mondiale il reddito procapite era 720 dollari nel 2001 e oltre 5300 dollari nel 2011); dall’altro permangono le contraddizioni di un sistema politico ancora in transizione. Nelle stesse settimane si è assistito al pericoloso “scongelamento” del conflitto in Karabakh – dieci morti in scontri di frontiera soltanto a giugno 2012 – e allo spettacolo dell’Eurofestival, la gigantesca kermesse musicale considerata la punta di diamante dell’immagine azerbaigiana nel mondo.
Il modello azerbaigiano punta ad investire le ingenti risorse provenienti dal petrolio e dal gas per costruire una nuova immagine del paese, aumentare la cooperazione scientifica e tecnica con l’Occidente, attrarre investimenti stranieri, cercare uno spazio geopolitico autonomo. Baku vive un rapporto contraddittorio e aperto tra nazionale e internazionale: ancora oggi è un punto di riferimento “occidentale” nel Caucaso, come nel caso di Israele che vede nell’Azerbaigian uno dei propri più importanti alleati in funzione anti-iraniana; ma contemporaneamente lo Stato guidato dal 2003 dal Presidente Ilham Aliyev riceve critiche, per i diritti umani, dallo stesso Occidente con cui stringe accordi.
Un esempio di questa ambivalenza è rappresentato dall’ingresso del paese nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come membro non permanente per il biennio 2012-2013; un successo innegabile, pur con un conflitto militare irrisolto al proprio interno (il Karabakh è ufficialmente parte dello Stato azerbaigiano). La chiave del successo di Baku è la gestione dell’economia: non solo le rendite petrolifere ma la capacità del governo di ridistribuirle. Sempre secondo i dati della Banca mondiale il tasso di povertà azerbaigiano era vicino al 50% nel 2001 mentre dieci dopo, nel 2011, si attesta sotto il 20%. Solo il Brasile di Lula, nello stesso periodo, è riuscito a produrre risultati simili.
Nodi irrisolti
La chiave dei fallimenti è invece nei nodi irrisolti della transizione: dalla questione del Karabakh, su cui si susseguono continui vertici senza risultati, all’intolleranza – spesso non necessaria – verso un’opposizione politica che è più mediatica che reale. Tuttavia è innegabile che sul tema diritti umani l’Azerbaigian paghi di più, in termini mediatici, di quanto realmente dovrebbe alla luce dei diritti civili nel paese. Come ha affermato l’ex ambasciatore statunitense a Baku Matthew Bryza, in un convegno promosso dallo Iai a Roma nel febbraio 2012, non esiste alcun giornalista in prigione in Azerbaigian per motivi politici. Eppure l’Azerbaigian gode di una cattivissima stampa, alimentata anche dalla cosiddetta diaspora armena.
Lo stesso Bryza, fautore di un approccio realistico al tema dei diritti umani e dei rapporti con lo Stato caucasico, è stato “vittima” del pregiudizio anti-azerbaigiano con la non ratifica della sua nomina ad ambasciatore, da parte del Congresso statunitense per la pressione dei rappresentanti vicini alle comunità armeno-americane. Intanto il mese di luglio si chiude con la rielezione, non riconosciuta dalla comunità internazionale, del leader separatista armeno Bako Saakian a “presidente del Karabakh”. Sulla regione non si scontrano soltanto due eserciti ma due concezioni giuridiche internazionali: la visione legittimista azerbaigiana e quella separatista armena.
Va detto che, a condizione di non mettere in discussione la sovranità sul territorio, l’Azerbaigian è disponibile a riconoscere il massimo grado di autonomia all’enclave armena. In questa contraddizione caucasica l’Azerbaigian cerca una sua specificità, legata a una forte dimensione identitaria. Quella azerbaigiana è infatti un’identità molto peculiare, che viaggia attraverso Oriente e Occidente, fondendo appartenenze e culture eterogenee. Gli azerbaigiani sono turchi ma sciiti, laici ma musulmani, filo-occidentali ma non avversari dei russi, aperti al mercato ma ancora saldamente statalisti (la compagnia petrolifera di Stato, la Socar, è la più importante realtà economica del paese).
Al cuore di questa identità c’è ancora la straordinaria esperienza della Repubblica democratica dell’Azerbaigian, la prima breve e sfortunata esperienza di indipendenza del paese tra il 1918 e il 1920. Retta da un ristretto gruppo di uomini di governo e intellettuali di tendenza socialista e riformista formatisi in Russia e in Europa occidentale, fu la prima repubblica multipartitica in un paese musulmano, il primo Stato a dare il diritto di voto alle donne, realizzando un modello di convivenza etnica. Una stagione finita troppo in fretta, a causa dell’invasione sovietica.
L’altro trauma della memoria storica azerbaigiana, più vicino nel tempo, sta nella drammatica stagione della dissoluzione dell’Urss e della guerra con l’Armenia, tra il 1988 e il 1994. I primi scontri con gli armeni, il “gennaio nero” del 1990 con le sanguinosa repressione da parte sovietica, il conflitto con l’Armenia, la strage di Khojali (oltre 600 civili azerbaigiani uccisi, definita la Srebrenica del Caucaso) e soprattutto l’occupazione di un quinto del territorio azerbaigiano unita a un’immensa massa di profughi, oltre un milione, giunta nello Stato azerbaigiano: da condizioni di partenza così difficili sono perfettamente comprensibili sia l’enorme consenso di cui gode la memoria di Heydar Aliyev, presidente dal 1993 sino al 2003 e padre dell’attuale capo dello Stato, sia il senso di rivalsa che si respira nella politica azerbaigiana.
Se con un superficiale standard occidentale può apparire esagerata l’onnipresenza in Azerbaigian della figura di Heydar Aliyev – simile a quella di Mustafà Kemal in Turchia – non si può non mettere in luce che con H. Aliyev si è aperto un periodo di stabilità e prosperità, dopo anni di conflitti e declino economico.
Nuovo protagonismo
Lo Stato caucasico ha sicuramente intrapreso una svolta della propria presenza internazionale. Sta cercando di passare da oggetto a soggetto di politica estera. Dalla questione israeliano-iraniana, alla definitiva individuazione del gasdotto che porterà in Europa le scorte del giacimento caspico Sha Deniz II, ai sempre più numerosi accordi commerciali con partner europei: l’Azerbaigian sta vivendo un nuovo e inedito protagonismo. I critici sostengono che si prepari alla resa dei conti con l’Armenia. I sostenitori invece che sia una risposta moderna alla crisi globale e al crollo di consenso della politica nei paesi musulmani (primavere arabe etc.).
Di particolare rilievo è il delicato rapporto con gli Stati Uniti. Contraddizione nella contraddizione. La scelta filo-occidentale e filo-americana dell’Azerbaigian fa pendere l’equilibrio geopolitico della Transcaucasia verso gli Usa – la Georgia è già filo-americana – ma è proprio dagli Usa che, anche per la presenza di una forte comunità armeno-americana, vengono le scelte più amare per l’Azerbaigian: come il licenziamento di Bryza, considerato da Baku uno dei più importanti e fidati interlocutori.
Quella americana è una posizione poco lineare, come quella francese, che rende ancora più centrale la partnership con l’Italia. Il nostro paese è infatti il primo acquirente petrolifero dell’Azerbaigian e le relazioni economiche, tecnologiche e scientifiche sono cresciute fortemente in questi mesi. Il 10 luglio 2012 i sottosegretari Marta Dassù e Claudio De Vincenti hanno svolto una visita di Stato a Baku con il compito di risolvere la questione gasdotto e sviluppare le relazioni economiche tra i due paesi. È prevedibile che nei prossimi anni le relazioni italo-azerbaigiane saranno centrali per gli interessi italiani nell’area caucasica.