Usa e Cina nel mare del diritto
Ancora una volta negli Stati Uniti si è acceso un confronto pubblico sull’opportunità di ratificare la Convenzione dell’Onu sul diritto del mare del 1982 (Unclos). Nel 2007 il Senato Usa aveva già bocciato la ratifica dell’Unclos anche se essa era stata firmata dall’Amministrazione Clinton nel 1994 a seguito di una modifica in senso liberista della parte relativa allo sfruttamento dell’area internazionale dei fondi marini.
Ora che la ratifica è stata riproposta, rappresentanti delle istituzioni civili e militari, ministri (come quello della difesa, Leon Panetta), ex Segretari di Stato ed accademici si sono espressi a maggioranza a favore. La questione sembrerebbe di politica interna. Se non fosse che sullo sfondo si intravedono varie e rilevanti implicazioni sulla governance degli oceani e sul connesso uso degli spazi marittimi oggetto di pretese esclusive, quali quelli reclamati dalla Cina nel Mar Giallo e nel Mar cinese meridionale.
Posta in gioco
È imminente la celebrazione alle Nazioni Unite, alla presenza di più di 150 stati parte tra cui la Cina, del trentesimo anniversario dell’Unclos. Alla cerimonia saranno tuttavia assenti sia gli Stati che l’hanno firmata, ma non ratificata come Iran, Libia, Korea del Nord ed Usa, sia quelli che non l’hanno nemmeno siglata come Israele, Turchia e Venezuela. In molti casi le riserve di questi stati sono solo legate a singole questioni come, per la Turchia, gli spazi marittimi dell’Egeo o, per l’Iran, il regime di transito attraverso Hormuz.
L’Unclos contiene infatti un substrato di regolamentazioni accettate da tutti che confermano le precedenti Convenzioni di Ginevra del 1958 o recepiscono istituti come quello della Zona economica esclusiva (Zee) i quali hanno acquisito valore consuetudinario. Solo gli stati parte possono però avvalersi di specifici diritti previsti dell’Unclos come l’acquisizione di permessi di ricerca mineraria nell’Area internazionale dei fondi marini o come il riconoscimento di limiti della piattaforma continentale estesi oltre le 200 miglia (mg.) che riguarda anche regioni di grandi potenzialità quali quelle polari (gli Usa sono l’unico paese artico che non se ne può avvalere).
Trappola Zee
Il vero problema è che l’Unclos, al di là dell’essere quasi del tutto in linea con il diritto consuetudinario, ha sancito la fine dell’incondizionata libertà dell’alto mare. Nelle Zee considerate zona sui generis di “acque internazionali”, è stabilito un bilanciamento tra gli interessi degli stati terzi e quelli degli stati costieri che vi possono esercitare diritti funzionali.
Come dimostrato dall’India nel caso della Lexie o dalla Cina per l’incidente del 2009 della nave “Uss Impeccable” adibita a sorveglianza sottomarina, la Zee tende ad essere considerata una zona dedicata all’interdizione di qualsiasi attività militare, comprese quelle di intelligence. Insomma uno spazio strategico da presidiare avendo di mira la sicurezza nazionale, più che un’area in cui proteggere pesca ed ambiente secondo i principi dell’Unclos.
Pretese cinesi
“La Cina vuole negare agli Usa l’accesso alle sue acque …”. Così si è espresso il Senatore John Bolton autorevole ed ascoltato esponente politico repubblicano, il quale ha aggiunto: “La Cina non vuole che i militari americani svolgano attività di intelligence vicino alle sue coste. Altre nazioni supportano la posizione della Cina, inclusa la Russia, l’Iran il Brasile e l’India, [la quale] compie di continuo incursioni nelle Zee di altri paesi asiatici come Vietnam, Filippine e Giappone”. Il monito dell’ex ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite ed ex Sottosegretario dell’amministrazione Bush – cui si deve la dottrina dell’antiproliferazione delle armi di distruzione di massa – mira a tener fuori gli Usa dall’Unclos facendo leva sulla tendenza della Cina a forzare l’interpretazione della Convenzione per propri fini geopolitici.
Geopolitica del Mar Cinese Meridionale
Riserve Usa
Oltre che motivata da considerazioni strategiche, la posizione del Senatore Bolton è però l’espressione del radicato scetticismo statunitense verso i trattati internazionali considerati fonte di ambigue interpretazioni. Le preferenze degli Usa vanno infatti ai principi di diritto consolidati dalla consuetudine ed applicati nella prassi internazionale con la convinzione del loro carattere vincolante. Basti pensare a tutti gli accordi internazionale di cui gli Stati Uniti non sono parte a cominciare dai Protocolli addizionali di Ginevra del 1977 sul diritto umanitario e dallo Statuto della Corte penale internazionale sino al Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici. Quasi un corollario della dottrina Monroe applicata alle relazioni giuridiche internazionali secondo cui gli Usa non sono disposti a invischiarsi in accordi multilaterali di portata generale.
Mare libero
Eppure non va dimenticato che gli Stati Uniti sono stati per anni durante la guerra fredda i paladini del Mare libero di Grozio contro le pretese eccessive di paesi come Libia, Iran, Albania e Russia mediante un programma (il Freedom of Navigation Program) di contestazioni mirate in modo imparziale (anche la storicità del nostro Golfo di Taranto fu oggetto di protesta) a non prestare acquiescenza.
Si può oggi discutere se tali metodi fossero in linea con i principi di soluzione delle controversie, ma è innegabile che essi hanno indotto alcuni stati a recedere dalla pretesa contestata. Ad esempio nel 1989 ebbe termine la politica sovietica contraria ad ammettere il transito inoffensivo nelle proprie acque territoriali di navi da guerra straniere: Usa ed Urss concordarono infatti una dichiarazione congiunta ove si fissavano, secondo un’interpretazione basata sullo spirito dell’Unclos, i principi applicabili in materia.
Fiducia reciproca
Non è possibile ipotizzare al momento quali saranno le decisioni del Senato statunitense sulla ratifica dell’Unclos. In effetti riesce difficile pensare che d’un tratto gli Stati Uniti si siedano al tavolo degli stati parte dell’Unclos a discutere di protezione della biodiversità dell’alto mare o di ripartizione delle risorse finanziarie dell’Autorità dei fondi marini.
La storia insegna che nel Dna di ogni nazione ci sono delle costanti che si ripetono. Certo è però che, Unclos o non Unclos, in futuro dovrà essere raggiunto un equilibrio di potenza nello scacchiere marittimo asiatico in cui oltre alla nascente potenza navale cinese e statunitense (a condizione che la US Navy sia dimensionata adeguatamente, dopo anni di tagli) sono presenti, dalla parte degli Usa, Vietnam, Brunei, Malesia, Filippine, Formosa, Giappone e Sud Corea.
Se prevarrà il pragmatismo cinese e la ricorrente realpolitik statunitense di recente rinverdita dal Segretario di stato Clinton, gli Usa troveranno forse un’intesa con la Cina su un’interpretazione condivisa del regime della attività militari nelle Zee simile a quella raggiunta con l’Unione Sovietica nel 1989. Solo così potrà evitarsi che l’Unclos diventi, paradossalmente, fattore di destabilizzazione politica e di disordine dei mari.
.