L’Ue sulle ginocchia di Zeus
Non sembra che la stampa anglosassone abbia dato importanza alla riunione del G20 che sotto presidenza messicana si è tenuta a Los Cabos il 17 e 18 giugno. Almeno a giudicare dal New York Times (che il 19 giugno trattava in un articolo dell’incontro del presidente Obama col suo collega Putin a proposito della Siria) o dal settimanale britannico The Economist, che il 7 giugno citava la riunione del B20 (Business 20) che si sarebbe tenuta in contemporanea col vertice proprio per trasmettere ai leader mondiali il punto di vista del mondo degli affari.
Eppure questa riunione non è stata, nella sua agenda, meno completa di quelle che l’hanno preceduta (con riferimento, ad esempio, al rafforzamento dell’architettura finanziaria internazionale e alla riforma del settore finanziario), anche se nel tempo si è molto venuto attenuando il senso di urgenza che pervase i primi incontri: dopo lo scoppio della crisi finanziaria, con la necessità di potenziare la liquidità internazionale, ripristinare la funzionalità del sistema finanziario mondiale, cercare di riavviare la crescita.
Imperativo crescita
La massima priorità del G20 resta proprio uno sviluppo “forte, sostenibile e bilanciato”, attraverso l’impegno ad adottare tutte le misure di politica economica per rafforzare la domanda, sostenere la crescita globale e restaurare la fiducia, controllare i rischi di breve e medio termine, rafforzare la creazione di posti di lavoro e ridurre la disoccupazione. Tutto questo programma è riassunto nel Piano di azione per la crescita e l’occupazione di Los Cabos. Ovviamente, non manca l’impegno a monitorare rigorosamente la loro realizzazione attraverso un apposito processo di valutazione.
In questo quadro, era ovvio che l’Unione europea e soprattutto l’Eurozona divenissero l’oggetto di un attento scrutinio. Si è riconosciuto quanto è stato già realizzato con i nuovi Trattati e con le azioni per assicurare la stabilità finanziaria, promuovere una politica di bilancio più responsabile, effettuare i salvataggi bancari, che la Spagna richiede non vadano a gravare sul debito pubblico.
Il G20 condivide le azioni dell’Eurozona per procedere verso il completamento dell’Unione economica e monetaria. In questo quadro, si valuta con favore l’intenzione di realizzare una più integrata struttura finanziaria con riferimento alla supervisione bancaria, alla ricapitalizzazione e alla liquidazione delle banche e all’assicurazione dei depositi.
Ovviamente, la proposta di Monti di utilizzare i fondi Efsf e Ems per allentare la pressione al rialzo dei tassi di interesse sul debito pubblico italiano e spagnolo non ha trovato spazio, poiché il disaccordo è ancora forte all’interno dell’Eurozona e nella stessa Commissione per i vincoli legali e per i limiti quantitativi dei due strumenti.
Sul fronte dell’aggiustamento reale, si sottolinea che i membri dell’Eurozona lo favoriranno attraverso riforme strutturali che rafforzino la competitività dei paesi in disavanzo e rilancino la domanda e la crescita in quelli in situazione opposta. Per la crescita in tutta l’Unione europea, si fa assegnamento non solo sul completamento del mercato unico, operazione non indolore quando la recessione morde e gli interessi locali tendono a rinserrare le difese, ma anche sulla Banca europea degli investimenti (Bei), su uno schema pilota di project bonds, sull’utilizzazione dei fondi strutturali e di coesione.
Vertice di Roma
Può anche dispiacere vedere sciorinati in un contesto mondiale i mali e le terapie che l’Europa o l’Eurozona sta faticosamente elaborando, ma la loro analisi e soprattutto la condivisione in un più ampio contesto dovrebbero rendere più facile la definizione di una strategia da seguire non solo per superare la crisi, ma soprattutto per affrontare quell’ulteriore cessione di sovranità nazionale che la Germania reclama e che è nell’interesse di tutti per stabilizzare l’Eurozona.
Come si vede, i risultati del vertice a quattro (Francia, Germania, Italia e Spagna) del 22 giugno a Roma erano in maturazione già a Los Cavos. I 120-130 miliardi di euro che si è deciso di mobilitare verranno da un rafforzamento del bilancio della Bei, dalle obbligazioni di progetto per realizzare infrastrutture e dall’utilizzazione di fondi europei non ancora impegnati.
L’Unione bancaria sembra avere ottenuto ulteriore sostegno a Roma, ma la sua realizzazione non potrà essere immediata, richiedendo un’integrazione dei Trattati e soprattutto una condivisione del rischio che difficilmente potrà essere incondizionato.
Mentre la proposta Monti per utilizzare i fondi salva-stati nell’acquisto sul mercato secondario di titoli di stato dei paesi sotto pressione lascia – volendo essere buoni – ancora tiepida la Germania, all’introduzione della Tobin tax sulle transazioni finanziarie è stato dato un caloroso benvenuto dai quattro leader.
Londra fuori dall’Ue
Al di là delle difficoltà che un’imposta sulle transazioni finanziarie incontra nell’individuare e nel delimitare l’oggetto da tassare e soprattutto nelle cautele per evitare la migrazione della finanza verso lidi più ospitali al di fuori dell’Ue, si pone un problema con il Regno Unito e con gli altri paesi che hanno fatto della finanza il caposaldo della propria economia. Di già il primo ministro britannico David Cameron si è dichiarato felice di invitare i ricchi francesi colpiti dall’imposta patrimoniale a stabilirsi nel Regno Unito, e certamente si batterà come un leone per ottenere che il suo paese venga esentato dall’applicazione del tributo, diventando così ancor più appetibile per finanzieri e investitori.
L’approfondimento dell’Eurozona e dell’Unione è stato sempre malvisto dalla Gran Bretagna, ma il 23 giugno The Economist ha dedicato un articolo al “Brexit” (sull’uscita della Gran Bretagna dall’Ue), neologismo creato sulle orme del “Grexit”, che dopo le ultime elezioni in Grecia si è allontanato verso l’orizzonte, pur senza scomparire del tutto. Eppure, l’autorevole settimanale sottolinea che nessun grande partito politico è favorevole all’uscita dall’Europa, ma che questa appare sempre più probabile, particolarmente ora che l’Unione sembra orientata ad assumere una più ampia funzione ridistributiva.
Chi scrive non ha dimenticato le perentorie richieste della Thatcher e del suo ministro degli esteri per il “juste retour” che portarono all’accordo per il rimborso alla Gran Bretagna di parte del suo contributo annuale. Questa volta Londra cercherà di rinegoziare più favorevoli condizioni per la sua permanenza nell’Unione? Saranno gli altri membri disponibili a concessioni ancora più onerose e scarsamente rispettose della “capacità contributiva” in un momento in cui l’Unione fiscale sembra delinearsi come unico sbocco per la sopravvivenza e per la stabilizzazione dell’Unione monetaria? Anche un referendum potrebbe intervenire nel Regno Unito per decidere dell’appartenenza all’Europa. Il futuro e la configurazione di quest’ultima restano sulle ginocchia di Zeus, per usare un’espressione dei poemi omerici.
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