IAI
Imprenditori per l’Ue

Europa federale unica via d’uscita

27 Giu 2012 - Filippo di Robilant - Filippo di Robilant

C’è, nella posizione espressa senza ambiguità da tre grandi Confindustrie europee al convegno “Europa federale, unica via d’uscita?”, che si è svolto a Palazzo Giustiniani il 22 giugno scorso, un elemento di prorompente novità, al limite del rivoluzionario. Con declinazioni diverse ma univoca direzione di marcia e analogo senso d’urgenza, Giorgio Squinzi (Confindustria), Laurence Parisot (Medef) e Markus Kerber (BDI) hanno lanciato tre “sì” chiari e netti a sostegno di un’Europa federale.

Discontinuità
Come non vedere, in questi tre distinti cris de coeur, una netta discontinuità con un passato non troppo remoto dove un certo mondo imprenditoriale, di fronte a grandi paesi emergenti dai tassi di sviluppo del 7-8% annui, preferiva invocare le barricate alle proprie frontiere nazionali anziché pretendere maggiore integrazione di mercati già ampiamente interconnessi e il completamento del mercato interno?

Emma Bonino, vice presidente del Senato e principale artefice dell’incontro (assieme al Consiglio Italiano del Movimento Europeo e il European Council on Foreign Relations), nel suo saluto di benvenuto ha detto di essere stata molto favorevolmente ed inaspettatamente colpita, leggendo un recente rapporto del Medef intitolato “Besoin d’air”, nello scoprire che, partendo dall’analisi della situazione economica del loro paese, gli imprenditori francesi affermavano, senza mezzi termini, che “o andiamo velocemente verso gli Stati Uniti d’Europa o qui non si salva nessuno”.

L’idea del convegno ha preso le mosse proprio da quel rapporto: se anche gli imprenditori d’Oltralpe, appartenenti al paese “sovranista” per eccellenza, sentono l’urgenza di un’organizzazione federale per l’Unione europea, perché – si è chiesta Emma Bonino – la leadership politica non lo capisce o fa finta di non capirlo? Soprattutto, avranno la lungimiranza di tenerne conto i capi di stato e di governo che si riuniscono tra pochi giorni a Bruxelles?

Non ritorno
Ormai è chiaro a quasi tutti. L’eurocrisi non è una crisi del debito perché, come ha detto Markus Kerber, “in aggregato il nostro indebitamento è minore di quello americano”; né si tratta semplicemente di una crisi economico-finanziaria a cui è sufficiente applicare qualche rimedio tampone. È innanzitutto una crisi politica. Oggi, con notevole ritardo, sono in molti a convergere su questa analisi. Non a caso, più i giorni passano, più l’impostazione federalista viene accettata e condivisa, se non per convinzione antica almeno “per necessità”.

L’approfondimento della crisi ha quindi fatto sì che pronunciare la parola “federalismo” non sia più un tabù, come lo è stato per molti anni. Da ultimo da quando il successo dell’euro aveva in qualche modo anestetizzato, o offuscato, i sentimenti federalisti in tutta Europa. Se così è – si sono detti i partecipanti al convegno – allora bisogna passare velocemente dall’analisi ai fatti: e, per fatti, hanno inteso quelle riforme istituzionali e di governance che per anni sono state rinviate. Per questo, il prossimo Consiglio europeo del 28 e 29 giugno non dovrà essere un Vertice come tanti ma un passaggio fondamentale, quasi di non ritorno.

Certo, molti osservatori dicono che bisogna evitare di caricare il Vertice di attese eccessive perché il momento della verità verrà solo tra tre mesi, dopo l’estate, quando il rallentamento della crescita in Cina e anche negli Usa comincerà a pesare anche sui paesi più virtuosi dell’Unione europea.

Ma, anche se così fosse, anche se il copione del Vertice prevede misure meritevoli – dalla ricapitalizzazione della Banca europea per gli investimenti (Bei) per dieci miliardi di euro ai primi vagiti dei project bond – considerate però già come insufficienti per rimettere in moto un’economia europea intorpidita, da questo Consiglio europeo dobbiamo comunque uscire con la convinzione, oltre che la sensazione, che l’Europa si sia finalmente rimessa in moto.

Sfera pubblica europea
E quindi le misure, ancorché inadeguate, dovranno essere prese senza reticenze, propedeutiche ad un’unione politica, vedi gli Stati Uniti d’Europa. Non il super-stato europeo così inviso ai britannici – come si fa a continuare a parlare di super-stato quando il bilancio comunitario non raggiunge neppure il 2% del Pil dell’intera Ue! – ma fornire, nel medio termine, una visione nella quale la sfera pubblica europea possa in qualche modo rispecchiarsi e, nel breve termine, affermare che riforme, disciplina e rigore non fanno parte di un destino “cinico e baro” ma di un disegno più grande di coesione economica e di unione politica. Come ha detto Romano Prodi concludendo il convegno: “ormai siamo troppo integrati per disintegrarci”. Una realtà, evidentemente, che il settore produttivo ha già assimilato.

Non era intenzione dei promotori del convegno organizzare una sorta di Stati Generali d’Europa e, infatti, le presenze non erano esaustive del “sistema Europa”: mancava la voce del Parlamento europeo per esempio, come pure quella dei sindacati europei. Altri potranno, se lo vorranno, prendere il testimone e promuovere altre iniziative pubbliche che vedano coinvolti altri stake-holders. Questo sarebbe un seguito più che benvenuto visto che il processo politico rimane fragile e le pulsioni anti-europeiste e populiste sono sempre in agguato.

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