Passi da gigante della difesa in India
India, India e ancora India. Forse una qualche convergenza tra luna e maree ha costretto l’Italia ad approfondire le relazioni con questo paese; fatto sta negli ultimi mesi il gigante asiatico ha attirato molta dell’attenzione mediatica e politica italiana.
Nuovi orizzonti
Al di là delle connessioni con il Belpaese, in queste settimane l’India ha sperimentato con successo il missile balistico intercontinentale Agni V – con un raggio di azione di cinquemila chilometri e quindi in grado di colpire potenzialmente anche il vicino cinese – riaccendendo la corsa agli armamenti nel continente asiatico che in realtà non si era mai spenta. È il terzo lancio consecutivo di un missile strategico in tre anni, dopo quello dell’Agni III nel febbraio 2010 e quello dell’Agni IV nel novembre dell’anno successivo.
Se messo a punto il missile permetterebbe all’India di entrare a far parte della ristretta cerchia di paesi (Usa, Francia, Gran Bretagna, Russia, Israele e Cina) che detengono missili balistici intercontinentali o più comunemente chiamati con l’acronimo Icbm, ossia Intercontinental Ballistic Missile. L’arma è stata sviluppata dalla Defence Research and Development Organization (Drdo) l’agenzia, che con una rete di oltre 50 laboratori sparsi per tutto il paese, oltre cinquemila scienziati e venticinquemila tra tecnici e di supporto, rappresenta il pilastro delle attività indiane di ricerca e sviluppo per la difesa.
Nel suo insieme, la base industriale indiana del settore è principalmente dominata da aziende direttamente o indirettamente controllate dal governo centrale, come le 39 Defence Ordnance Factories (OFs) e le 8 Defence Public Sector Undertakings (Dpsus). Se le prime si presentano come un conglomerato di piccole e medie imprese la cui produzione comprende in misura maggiore articoli a bassa tecnologia – armi leggere, cannoni, obici terrestri, mortai, lanciarazzi, veicoli blindati e da trasporto, strumenti ottici, dispositivi opto-elettronici e sistemi di puntamento per veicoli blindati − le seconde costituiscono la base nascosta dell’iceberg delle ambizioni strategiche indiane.
Le Dpsus sono le sole depositarie di tecnologie allo stato dell’arte attraverso le quali New Delhi punta ad emergere come il diretto concorrente della Cina in termini militari e di influenza regionale.
Vincoli e dipendenze
Il bilancio per la difesa 2012-2013, presentato in parlamento il marzo scorso, è di circa 40,44 miliardi di $, evidenziando un aumento del 17% rispetto all’anno precedente e uno dei maggiori incrementi negli ultimi anni, escludendo quello per il 2009-2010, quando il bilancio lievitò di oltre il 34%. Non solo, tra il 2006 e il 2011 secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) l’India è stato il primo importatore mondiale di sistemi d’arma con circa il 9% dei volumi internazionali di scambio, dimensione che ne fa uno dei più promettenti e attrattivi mercati a livello mondiale.
La crisi economica e i tagli ai bilanci della difesa spingono inoltre le aziende europee e americane a cercare di penetrare tale mercato, consapevoli che la spesa per investimenti in acquisizioni di nuove e più tecnologiche piattaforme continuerà anche dopo la difficile congiuntura finanziaria globale.
L’India deve però confrontarsi con la nuda e cruda realtà dei fatti: gli ultimi dati confermano infatti sia la volontà di New Delhi di ammodernare in tempi relativamente rapidi l’intero comparto militare e industriale, sia la presenza di criticità che caratterizzano il mercato della difesa, ancora incapace di rispondere in modo autonomo alle esigenze delle proprie Forze armate.
Per affrancarsi dall’approvvigionamento estero, le riforme nel campo dell’industria e in materia di procurement mirano a raggiungere entro il 2020 un ambizioso 70% in termini di sviluppo, progettazione e produzione autonoma di equipaggiamenti per la difesa, anche alla luce del fatto che il paese punta a sostituire la gran parte dei sistemi d’arma esistenti, ritenuti ormai obsoleti.
Il processo però anche in questo caso rivela sia enormi potenzialità di investimento e sviluppo di partenariati bilaterali, sia forti squilibri e criticità ancora irrisolte, che compromettono la possibile sinergia tra industria domestica e aziende internazionali.
Ne sono un esempio le linee guida per la costituzione di joint ventures (JVs), le quali tuttora non consentono alla controparte estera di detenere più del 26% della partecipazione azionaria, ostacolando così il trasferimento di tecnologia e di Investimenti diretti esteri (Ide). I soggetti esteri infatti sono riluttanti a costituire JVs in assenza di un sostanziale controllo (o almeno della condivisione) sulle scelte strategiche e in particolare sulle tecnologie da trasferire, rendendo quindi complessa ogni possibilità di cooperazione industriale
Obiettivo autonomia
L’obiettivo della self reliance, da sempre al centro della politica industriale indiana, ha come componente chiave l’utilizzo delle compensazioni industriali, tecnicamente chiamate offset. Tra le realtà più diffuse e controverse del mercato internazionale della difesa, l’offset permette di compensare il costo di approvvigionamento del sistema d’arma imponendo al fornitore estero di investire parte del profitto acquisito nel paese importatore, generando potenzialmente occupazione e trasferimenti di tecnologia.
Alla luce anche delle nuove disposizioni indiane in materia di approvvigionamento militare emanate nel 2011, l’India mira a sfruttare ulteriormente le potenzialità dello strumento compensativo – ad esempio, ampliando il ventaglio dei settore attraverso i quali è possibile delineare dei programmi di offset – con l’obiettivo sia di acquisire competenze sia di incoraggiare le aziende estere ad investire nel mercato della difesa interno.
La percezione del rischio geopolitico – Cina e Pakistan sono comunque due minacce da contenere e eventualmente da affrontare – e le aspirazioni di New Delhi come grande potenza regionale se non mondiale aprono la strada al suo mercato della difesa. Al tempo stesso, però, le aziende che intendono operare nel paese non possono sottovalutare i rischi connessi alle operazioni di investimento e compravendita di prodotti militari, valutando attentamente il business enviroment nella sua interezza.
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