L’incerta sconfitta di Ahmadinejad
Venerdì 4 maggio si è tenuto in 33 circoscrizioni dell’Iran il ballottaggio per assegnare i 65 seggi ancora scoperti del Parlamento iraniano, chiudendo una delle più complesse fasi politiche della recente storia iraniana. L’affluenza alle urne è stata relativamente bassa, con un calo medio del 10% rispetto al 64% della precedente tornata di marzo.
Dei 65 seggi su 290 ancora da assegnare, i riflettori erano quasi esclusivamente puntati sui 25 vacanti dei 30 complessivi di Tehran, dove si è giocata una delle partite più delicate dell’intera campagna elettorale.
Scarsa chiarezza
Secondo i dati definitivi diramati dal ministero dell’Interno, 22 ulteriori seggi sono stati conquistati dal sodalizio del Fronte Unito dei Principalisti (Upf), considerato lo schieramento più vicino alla Guida suprema, confermando anche in sede di ballottaggio la vittoria degli esponenti politici leali alla linea di Ali Khamenei.
La coalizione del Fronte di Stabilità della Repubblica islamica (Sirf), con una posizione ambigua e parzialmente schierata a sostegno del presidente Ahmadinejad, ha conquistato ulteriori 15 seggi, dimostrando di aver mantenuto la propria capacità di attrazione politica, ed apprestandosi a svolgere un ruolo tutt’altro che secondario.
Altri 15 seggi sono stati assegnati poi a candidati indipendenti, il cui orientamento politico non è stato ancora palesato, e che costituiscono la grande incognita del prossimo Parlamento iraniano. I fondamentalisti temono che una considerevole parte di questi possa decidere di sostenere Ahmadinejad, o schierarsi in modo ambiguo, consolidando un blocco di opposizione minoritario, ma compatto e determinato.
I restanti 13 seggi sono stati assegnati infine a un riformista, a due candidati della lista “Voce della Nazione” (certamente vicina alla Guida), a cinque candidati del “Fronte della Perseveranza” (schierata con Ahmadinejad), e a cinque indipendenti, indicati tuttavia come fondamentalisti.
Il risultato finale è dunque di 29 seggi certi in più per i sostenitori della Guida, 20 per quelli vicini anche al presidente, 15 indipendenti e un solo riformista. Una conferma della sconfitta per Mahmood Ahmadinejad, sebbene ancora difficile da quantificare.
Scenari
L’11 maggio, dopo la ratifica da parte del Consiglio dei Guardiani, sarà ufficialmente annunciata la composizione del nuovo Parlamento. Sarà dominato maggioritariamente, come prevedibile, dalle formazioni fondamentaliste dell’Upf e del Sirf, che potranno contare sul controllo rispettivamente di 98 seggi il primo e 43 seggi il secondo, per un totale di 141 seggi.
25 seggi sono andati a candidati indipendenti di cui è chiara la connotazione politica, vicina all’Upf, e che non dovrebbero rappresentare sorprese in seno al nuovo Parlamento.
21 seggi sono stati conquistati da candidati apertamente sostenitori delle posizioni riformiste, che tuttavia diminuiscono perdendo 39 seggi rispetto alla precedente composizione del Majlis (Parlamento).
Le minoranze cristiane, ebree e zoroastriane occupano ulteriori 5 seggi, rappresentando solitamente posizioni moderate ed indipendenti. 98 seggi saranno infine occupati da indipendenti, in larga misura alla prima nomina politica e sul cui orientamento ideologico è concentrato l’interesse degli iraniani. È nell’ambito di questa costellazione di seggi che si determinerà il futuro politico dell’Iran.
La stampa internazionale ha largamente parlato di una sconfitta della formazione legata al Presidente Ahmadinejad. Formazione, tuttavia, che in realtà non esiste nel panorama politico iraniano. A sostenere il presidente, o quantomeno alcune delle sue istanze politiche, sono alcuni parlamentari della coalizione del Sirf, pochi nell’Upf, e probabilmente un numero abbastanza consistente nell’ambito degli indipendenti. Non è tuttavia possibile riconoscere uno specifico gruppo di riferimento che fa capo al Presidente.
Astro nascente
Quello che è certo, al contrario, è che le formazioni conservatrici uscite vittoriose dalle urne a marzo e lo scorso venerdì, sono molto eterogenee, caratterizzate da posizioni spesso diametralmente opposte tra loro e non necessariamente schierate a difesa dei sostenitori “duri e puri” della Guida. L’esperienza oltretutto insegna, in Iran, quanto improbabili siano le grandi alleanze e quanto breve solitamente sia la tenuta delle coalizioni troppo composite. Ciò rende tutt’altro che rosee le previsioni sulla coesione e capacità propositiva del prossimo Parlamento.
Difficile quindi, se non impossibile, stabilire la misura della sconfitta di Ahmadinejad in questo momento. Sicuramente il suo peso politico è stato drasticamente ridimensionato, e nulla esclude una sua progressiva emarginazione dalla politica iraniana. Non bisogna tuttavia mai sottovalutare la rilevanza della dimensione informale del potere politico ed economico in Iran, dove Ahmadinejad potrebbe ancora giocare un ruolo importante, grazie soprattutto ai non pochi alleati collocati in posizione chiave nel corso dei due mandati presidenziali.
Il grande astro nascente della politica iraniana nel campo dei fondamentalisti sembra invece Gholam Ali Haddad Adel, fedelissimo sostenitore di Khamenei, cui è anche legato da parentela acquisita, poiché sua figlia ha sposato Mojtaba, figlio della Guida. Non pochi, in Iran, vedono in Haddad Adel il politico che sostituirà Ali Larijani nel complesso e delicato sistema di equilibri della Repubblica islamica, aprendo anche definitivamente le porte della politica a Mojtaba Khamenei, determinando per la prima volta una linea di successione di tipo familiare.
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