IAI
Oltre il fiscal compact

Due proposte per la crescita Ue

7 Mag 2012 - Roberto Palea - Roberto Palea

La crisi economica e finanziaria c’è e rischia di aggravarsi sempre di più. Le misure di contenimento del debito pubblico messe in campo nei paesi più indebitati stanno aggravando i fenomeni recessivi e non bastano a fermarla. In Italia i partiti d’opposizione criticano le (necessarie) misure di risanamento finanziario e ne chiedono la mitigazione.

Tutti invocano misure di stimolo della crescita e propongono provvedimenti che, quando condivisibili (lotta all’evasione fiscale e alla corruzione, riduzione dei costi della politica, spending review, imposte sui grandi patrimoni, riforma della giustizia, ecc…), non considerano i tempi medio-lunghi entro cui gli effetti si produrrebbero né le conseguenze, sociali e finanziarie, di decisioni troppo radicali in una situazione di riduzione generalizzata dei redditi reali e di regime di libertà di trasferimento dei capitali all’estero.

Suicidio dell’euro
Alcuni si spingono più in là, concludendo che la moneta comune non dà alcun beneficio e che, nell’Unione europea conviene essere stati ma non conviene più restare in futuro. Questi ultimi, irresponsabili, non considerano il costo tremendo che i cittadini, soprattutto quelli economicamente più deboli, dovrebbero sopportare per l’esplosione dell’inflazione, la perdita di valore dei patrimoni personali e pubblici e l’impoverimento generale che ne deriverebbe.

La verità è che gli investitori non sono convinti che l’Italia e gli altri paesi più indebitati siano in grado di ripagare i titoli che emettono e di uscire dalla spirale della recessione in cui si trovano. Esaminando lo scenario europeo si riscontra che problemi molto simili attanagliano anche le economie dell’area euro considerate più solide.

La stessa Germania non cresce più, nonostante gli eccezionali exploit di alcuni suoi “campioni nazionali” (quali il gruppo Volkswagen) i quali battono la concorrenza sulla base della “non price competitiveness”, fondata su qualità e tecnologia superiori.

Per questo un premio Nobel per l’economia (americano) consiglia “il suicidio dell’euro” e il ritorno alle monete nazionali. Non considera che, a parte i costi economico-finanziari, il ritorno alle monete nazionali farebbe saltare il mercato comune in conseguenza dell’inarrestabile ricorso alle politiche delle svalutazioni competitive che ne deriverebbe.

Le varie forme di protezionismo e, conseguentemente, di nazionalismo, segnerebbero la fine di un ciclo storico di sessant’anni che ha garantito ai cittadini europei una condizione di pace e di progresso economico-sociale senza precedenti.

Una vera catastrofe per gli europei, ma un danno gravissimo per il mondo intero, stante la funzione esemplare del processo di integrazione europea e il ruolo decisivo che l’Unione può svolgere nella gestione dei fenomeni complessi della globalizzazione e delle integrazioni sopranazionali, in vista della costruzione di un mondo più giusto, più pacifico, più ecologicamente sostenibile.

Passi obbligati
Per contro, considerata la situazione debitoria dell’eurozona nel suo complesso, questa risulta molto migliore di quella degli Stati Uniti d’America, della Gran Bretagna e del Giappone (le economie considerate più solide del mondo) sotto il profilo dell’indebitamento statale, degli enti pubblici, delle imprese e delle famiglie.

L’Europa avrebbe dunque tutte le possibilità d’imboccare la strada della stabilità e dello sviluppo se la crisi venisse affrontata insieme dagli Stati, secondo i principi della cooperazione e della solidarietà che stanno alla base della costruzione europea. Ciascuno Stato dell’eurozona anche il più forte, non ha più alcuna possibilità di perseguire individualmente la crescita economica, con misure esclusivamente nazionali.

Le difficoltà di bilancio (cui si aggiungeranno – tra breve – gli obblighi per il contenimento o la riduzione del debito pubblico per l’applicazione del “fiscal compact”) limitano pesantemente la possibilità, per ciascuno di essi, di mettere in atto un’efficace politica di rilancio dell’economia. D’altra parte, le misure di solidarietà europee messe in campo dai governi non convincono ancora della reale volontà di salvare l’euro e portare a compimento il processo di unificazione europea.

I passaggi obbligati per evitare il disastro collettivo, sono due, ineludibili; essi passano entrambi per l’Europa. Il primo venne già indicato chiaramente da Tommaso Padoa-Schioppa quando scriveva: “Agli Stati il rigore, all’Unione la crescita e il dinamismo”.

Il problema dello stimolo allo sviluppo va affrontato insieme da tutti i paesi dell’eurozona, mediante il lancio di un vigoroso Piano europeo di sviluppo sostenibile che metta in campo risorse aggiuntive (almeno “nuovi” 100 miliardi di euro all’anno, mediante l’introduzione, a livello europeo, di una tassa sulle transazioni finanziarie e una carbon tax europea). Con dette risorse aggiuntive si potrebbe far fronte all’onere annuale dell’emissione di Euro project bond per 400/500 miliardi da erogare entro tre/cinque anni (1).

Il piano dovrebbe essere basato su investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture, della ricerca e sviluppo, della formazione superiore e nella produzione di beni pubblici non soddisfatti dal mercato.

Nuovi trattati
Il secondo richiede che gli Stati (almeno quelli dell’eurozona) manifestino la loro volontà di portare a conclusione il processo di unificazione europea, mediante, una nuova, solenne “Dichiarazione Schuman” e la messa in cantiere di una nuova riforma dei Trattati, da cui risulti chiara la direzione di marcia e chiaro l’approdo.

Il Piano Europeo di sviluppo sostenibile servirebbe a far fronte all’emergenza economico-finanziaria, realizzando, assieme al “fiscal compact”, un “governo europeo provvisorio dell’economia”. Con la seconda serie di provvedimenti nessuno potrebbe più dubitare della reale volontà degli Stati dell’eurozona di procedere rapidamente e irrevocabilmente verso l’Unione federale.

L’effetto annuncio sarebbe immediato e risolutivo, influendo positivamente sulla fiducia degli investitori ed anche sulle speranze dei cittadini europei.

(1) Si vedano i Discussion Paper del CSF: A. Iozzo, Per un piano europeo di sviluppo sostenibile; A. Majocchi, Finanziare il bilancio dell’Ue con una sovrimposta sulle imposte nazionali sul reddito e Idem, Carbon-energy tax e permessi di inquinamento negoziabili nell’Unione europea (www.csfederalismo.it/ index.php/it/pubblicazioni/discussion-paper).

.