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Esclusioni e colpi bassi

Corsa a ostacoli per le presidenziali egiziane

27 Apr 2012 - Azzurra Meringolo - Azzurra Meringolo

Si stringe il cerchio dei candidati alle presidenziali egiziane e continua a scaldarsi il clima di una campagna elettorale che si era accesa ancor prima di cominciare. A ravvivare il dibattito erano state le candidature dell’ultima ora del magnate islamista Khairat el Shater e dell’ex capo dei servizi segreti egiziani Omar Suleiman.

Ultimo minuto
Anche se gli Ikhwan, Fratelli Musulmani, avevano a lungo ripetuto che non avrebbero presentato un loro candidato, il 31 marzo hanno tradito la promessa indicando Shater. “Abbiamo deciso di correre per la presidenza perché notiamo che qualcuno sta tentando di interrompere il corso della rivoluzione” aveva spiegato Mahmoud Hussein, un dirigente degli Ikhwan, proprio prima che, a pochi minuti dalla scadenza fissata dalla commissione elettorale, anche Suleiman decidesse di aggiungere il suo nome alla rosa dei candidati.

Dopo diciotto anni di servizio al fianco di Mubarak, Suleiman era stato nominato vicepresidente proprio pochi giorni prima che lui stesso annunciasse le dimissioni del raís. È per questo che quanti lo considerano un residuato del vecchio regime hanno criticato la sua candidatura. Ciononostante, Suleiman gode dell’appoggio degli ambienti militari e di quei settori liberali timorosi di un rafforzamento islamista.

A mobilitarsi contro il possibile ritorno al passato rappresentato da Suleiman è stato in primis il Parlamento egiziano – a maggioranza islamista – che il 12 aprile ha approvato una legge che priva i funzionari del regime dell’ex presidente Mubarak dei diritti politici. A presentare la proposta è stato Essam Sultan, un deputato del Wasat – partito islamista di centro nato da una costola della Fratellanza – che ha chiesto di impedire a tutti coloro che nell’ultimo decennio hanno rivestito posizioni politiche di prestigio nell’amministrazione Mubarak di esercitare i medesimi incarichi per i prossimi dieci anni.

Setaccio
Approvando questa legge, il Parlamento ha anche mandato un messaggio chiaro alla giunta militare, da molti accusata di non voler abbandonare i posti di comando. Ciononostante, spetta proprio al Consiglio Supremo delle Forze Armate approvare definitivamente questa norma che contraddice in parte l’art. 26 della dichiarazione costituzionale emanata nel marzo 2011. Pur non fissando condizioni e requisiti particolari per quanti vogliono candidarsi alla presidenza, questo testo ha dichiarato ineleggibili coloro che hanno genitori o coniugi di altra nazionalità.

A estromettere l’ex vice presidente dai giochi non è stata però questa legge, ma la decisione presa dalla Commissione elettorale che, dopo aver riscontrato irregolarità nei requisiti, il 14 aprile ha escluso dalla corsa presidenziale dieci dei ventitre candidati.

Tra di essi Suleiman – scartato a causa della mancanza di una manciata di firme a sostegno della sua candidatura – Shater – estromesso perché uscito dal carcere nel marzo 2011, mentre la candidatura sarebbe possibile solo dopo sei anni dalla scarcerazione – e l’avvocato salafita Hazem Abu Ismail – islamista su posizioni più estremiste che è stato escluso a causa del passaporto americano, e quindi la doppia cittadinanza, della madre. Tra i non ammessi anche Ayman Nour, liberale che nel 2005 era stato il primo a sfidare Mubarak alle presidenziali, pagando con il carcere il suo parziale successo.

L’uscita di scena di questi nomi semplifica quindi la corsa alla presidenza, considerando che anche i candidati di sinistra sono deboli e divisi. Secondo Fahmy Howeidy, opinionista del quotidiano indipendente Al-Shorouq, “la campagna elettorale ha rimesso al centro i candidati più moderati“ ed avrà per protagonisti soprattutto tre uomini: Amr Moussa – ex segretario generale della Lega araba e già ministro degli esteri fino al 2001 – Abdel Moneim Aboul Fothou – ex membro dell’ala moderata degli Ikhwan – e Mohammed Mursi, presidente del partito della Fratellanza che ha preso il posto di Shater.

Tra islamisti e militari
Anche se è un personaggio che gode di una certa credibilità tra gli islamisti, attualmente Mursi risulta più debole di Shater, anche a causa della scarsa campagna elettorale portata avanti fino ad ora. Presentandosi come il candidato dei rivoluzionari e popolare tra le classi alte della società egiziana, Aboul Fothou potrebbe raccogliere anche i voti degli islamisti giovani e moderati e di coloro che sono stanchi della dirigenza verticistica della Fratellanza.

Ciononostante, secondo i sondaggi del momento, è Amr Moussa l’uomo che ha maggiori possibilità, almeno il 30%, di vincere le elezioni. Secondo il politologo Moustafa Kamel al-Sayed, gli egiziani cercano un presidente che abbia già avuto esperienze di governo, che sia conosciuto e che abbia una visione moderata. Oltre ad essere più celebre nei ceti popolari rispetto ad Abdel Fothou, Moussa, “non è un nemico degli islamisti e neanche un avversario dei militari. Per questo riuscirebbe a negoziare con entrambi, che ora guidano il paese” chiosa al-Sayed. Al contrario, Abdel Fothouh, oltre ad avere una relazione problematica con la Fratellanza Musulmana, ha più volte criticato la condotta della giunta militare.

La campagna elettorale egiziana sarà infine influenzata dal dibattito sulla formazione dell’Assemblea costituente e sulla stesura del nuovo testo che stenta a decollare. I lavori dalla Costituente sono stati infatti interrotti da una sentenza che ha dichiarato inadeguata la lista dei redattori presentata dalla maggioranza parlamentare. Vedendo le difficoltà delle forze politiche in campo nel risolvere questo impasse, l’esercito ha anche minacciato di posticipare le elezioni presidenziali qualora non si trovasse rapidamente un accordo per procedere alla stesura della nuova Costituzione.

La corsa alla presidenza si intreccia quindi con questioni che ripropongono dilemmi di un Egitto storicamente molto condizionato da militari e islamisti. Quanti non si fidano dei generali e insistono sull’urgenza di una transizione a un regime civile, potrebbero arrivare a boicottare delle elezioni svolte mentre l’esercito è ancora al potere. Non è da escludere che il confronto tra queste due anime torni quindi ad accendersi.

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