Il triste dilemma della Francia
Si sa che Angela Merkel, nonostante le proposte congiunte e i reciproci sorrisi di fronte alle telecamere, non ama Nicolas Sarkozy; si dice anche che le ricordi Louis de Funès. Eppure, la Cancelliera ha dichiarato pubblicamente il suo sostegno al presidente uscente nella campagna elettorale in corso e questo nonostante i sondaggi lo diano perdente.
Si tratta di una novità assoluta nei rapporti fra stati membri dell’Unione ed è stato scritto che questa mossa segna l’inizio in Europa di una politica interpartitica e non solo interstatuale. Conoscendo il carattere pragmatico della Merkel, non è detto che sia così.
Vaso di Pandora
È più probabile che sia stata impressionata dalle dichiarazioni di François Hollande che si è impegnato a rinegoziare il Fiscal Compact, il trattato firmato da 25 paesi il primo marzo, che rappresenta un pilastro fondamentale della politica europea della Germania. La si può capire. Per la Germania, la Francia non è un paese come un altro. La riconciliazione franco-tedesca è il fondamento storico di tutta la costruzione europea. La Germania è cosciente che la sua forza in Europa può risuscitare antichi demoni e da sempre ha pensato di avere bisogno della sponda francese; questo, anche a costo di lasciare al partner la gioia dei riflettori e di avvalorare la tesi di un’Europa “a guida francese”.
Recentemente, la Germania è diventata più assertiva (e anche più arrogante), ma la Francia resta indispensabile. Tuttavia, la vecchia finzione di una Germania “gigante economico e nano politico” convince sempre meno. Nell’ultimo anno Sarkozy si è mostrato molto (anche troppo) accomodante e nessuno crede più che l’asse franco-tedesco riposi su un rapporto paritario. La Germania sta faticosamente imparando a fare i conti con la sua leadership; ma è un problema che esula dallo scopo di questa analisi che è invece dedicata alla Francia.
È comprensibile che la richiesta di Hollande crei sconcerto a Berlino, ma non solo, perché aprirebbe un pericoloso vaso di Pandora e rischierebbe di destabilizzare la fiducia ancora molto fragile dei mercati nei confronti della governance dell’euro. È però probabile che a Berlino, dopo mezzo secolo di vita comune, ancora si stenti a capire la distanza che separa la retorica dalla realtà nella vita politica francese. Tutto fa credere che se sarà eletto Hollande, dopo aver mostrato i muscoli, ratificherà il trattato. Già oggi i suoi consiglieri lasciano capire che Parigi chiederà “qualcosa di più” e non necessariamente “qualcosa di diverso”. Alcune di queste “cose in più”, per esempio sulla dotazione del European stability mechanism (Esm) o un’apertura sugli eurobond, sono sicuramente giuste, anche se non è detto che prendere il trattato in ostaggio sia il mezzo il migliore per muovere i delicati equilibri politici tedeschi.
Diffidenza
Comunque, Hollande presidente sarebbe accolto a Berlino con diffidenza e ci vorrà tempo per ristabilire un minimo di fiducia reciproca. Nel frattempo i mercati potrebbero scatenarsi, in primo luogo sui titoli francesi, con gravi conseguenze. Tuttavia, se fossi tedesco, mi preoccuperei meno della politica europea di Hollande e più della sua politica interna. Nonostante il suo dichiarato impegno a ristabilire l’equilibrio dei conti della nazione, diversi punti del suo programma vanno nella direzione opposta a ciò che sarebbe necessario per ristabilire la competitività dell’economia francese. Non si tratta solo di alcuni accenti protezionisti, ma soprattutto del palese rifiuto di muoversi nella direzione giusta per quanto riguarda la riforma del sistema previdenziale e del mercato del lavoro.
La vera ragione dello scollamento franco-tedesco non sta tanto nei mutati rapporti di forza dovuti alla riunificazione, ma nel fatto che dopo l’avvento dell’euro la Germania, tra l’altro con un governo socialista, ha riformato la propria economia e la Francia no. Tutto lascia quindi prevedere un rapporto molto difficile, né è utile sperare in un cambiamento politico in Germania dopo le elezioni del 2013.
Intanto nella situazione attuale un anno è un’eternità; anche se è probabile che in caso di vittoria la Spd tedesca sarà disposta ad allentare alcune rigidità dell’attuale maggioranza; la distanza che separa la filosofia economica dei socialisti francesi da quella dei loro cugini d’oltre Reno è enorme.
Per tutte queste ragioni sbaglia chi, soprattutto in Italia, vede nell’elezione di Hollande l’inizio di una svolta capace di mutare il corso della politica europea. Un presidente socialista potrebbe essere un alleato utile per chiedere a Berlino di mostrare più solidarietà, per esempio in materia di eurobond, e maggiore attenzione alla crescita. Tuttavia le tentazioni protezioniste e dirigiste unite al rifiuto di riforme indispensabili lo renderebbero un alleato scomodo con cui sarebbe un errore identificarsi. L’Italia non ha interesse a compromettere un’ancora fragile credibilità faticosamente riconquistata per rincorrere velleità francesi.
Tra peste e colera
Detto questo, la mossa della Merkel è stata improvvida. Prima di tutto perché è probabile che Sarkozy si avvii verso una (tutto sommato meritata) sconfitta; quella di accogliere a Berlino un nuovo presidente che è stato trattato come un avversario politico, non è una prospettiva piacevole. Inoltre, lunghi anni d’intensa frequentazione avrebbero dovuto far capire alla Merkel quanto Sarkozy sia inaffidabile. Nella disperata speranza di recuperare consensi a destra, il presidente-candidato sta infatti mettendo l’Europa al centro della campagna e lo fa in termini sicuramente velleitari, ma non per questo meno pericolosi: da un lato con la minaccia di uscire da Schengen, dall’altro con accenti protezionisti che fanno apparire Hollande un moderato.
Entrambi i candidati sembrano essere affetti da una disgraziata malattia per cui la politica debole e senza idee s’illude di poter scaricare il costo delle sue scelte su chi non vota: di preferenza le generazioni future e gli stranieri. Il populismo parla sempre alla pancia dell’elettorato e gioca su antiche idiosincrasie che possono essere diverse da paese a paese: in Germania la paura che le formiche paghino per le cicale, in Francia il protezionismo.
Il fenomeno dilaga ormai in Europa, ma è particolarmente grave quando riguarda un grande paese. Se la Francia abdica alle proprie responsabilità, come può aspettarsi comportamenti razionali da paesi più piccoli (l’Olanda, la Finlandia, l’Austria, vari paesi dell’est), tutti affetti dallo stesso problema?
Ci troviamo dunque a Parigi di fronte a una scelta tra la peste e il colera con due candidati impegnati a rincorrere le ali più estreme del loro elettorato? Sarebbe non fare i conti con la già citata distanza fra retorica e realtà. Un osservatore smaliziato della scena francese può far notare che nel 1981 Mitterrand fu eletto con un programma molto più radicale di quello di Hollande e di fatto incompatibile con la permanenza della Francia nella Comunità; dopo due anni, con l’economia sull’orlo del collasso, effettuò una conversione a 180 gradi e rimise il paese su una traiettoria europea.
Chirac era noto per il suo euroscetticismo, ma decise comunque di portare la Francia nell’euro, anche se non fece nulla per adeguare l’economia francese alla nuova realtà. Tuttavia non è il caso di essere troppo rassicurati. Se rieletto, Sarkozy avrebbe probabilmente un margine maggiore per allontanarsi dalle sue promesse; tuttavia è possibile che l’elettorato gli neghi la maggioranza parlamentare di cui avrebbe bisogno. Hollande invece è sicuramente un moderato, ma dovrebbe fare i conti con una probabile maggioranza parlamentare molto più a sinistra di lui. Per operare svolte radicali ci vuole carisma, dote di cui né Sarkozy né Hollande, al contrario dei loro predecessori, sono molto provvisti; inoltre, comunque ci vuole tempo e la situazione attuale non ne concede.
Italia in prima fila
Peraltro i temi più controversi che toccano l’Europa nel dibattito elettorale ruotano intorno al rapporto fra il potere dei governi e quello delle istituzioni comuni. Per uscire dallo stallo l‘Europa ha bisogno di un rafforzamento delle istituzioni e del metodo comunitario. In tempi recenti la Germania è stata anch’essa tentata da soluzioni intergovernative, ma è stata poi spinta, forse più dalle cose che dalla convinzione, verso una strada più comunitaria; le recenti dichiarazioni di Angela Merkel vanno in questa direzione.
Entrambi gli schieramenti politici francesi sembrano invece prigionieri della preferenza per un metodo intergovernativo e la retorica populista della campagna può solo rafforzare questa tendenza. Continuo a pensare che la maggioranza dell’elettorato francese sia ancora europeista e moderata; tuttavia è probabile che al secondo turno si troverà di fronte a un dilemma forse non drammatico, ma molto triste.
Quale che sia il risultato delle elezioni francesi, l’Italia sarà in prima fila. Questa è tra l’altro la ragione per cui è bene che il nostro Parlamento ratifichi rapidamente il nuovo trattato. Le riforme attuate, soprattutto se completate da quella sul mercato del lavoro, ci daranno una grande autorità. Sarebbe presuntuoso e comunque prematuro pensare che l’Italia, anche guidata da Mario Monti, possa facilmente sostituire la Francia come partner privilegiato della Germania. Tuttavia la prospettiva di una Francia incerta, introversa e forse instabile, apre al nostro governo e alla nostra diplomazia uno spazio che poteva sembrare impensabile fino a tempi molto recenti.
.