IAI
Braccio di ferro con gli Usa

Se Israele attacca l’Iran

10 Feb 2012 - Arturo Marzano - Arturo Marzano

Le voci secondo cui Israele sarebbe ormai pronto a lanciare un attacco armato contro l’Iran si fanno sempre più insistenti. La stampa israeliana lo ha ripetuto spesso negli ultimi giorni. Lo scorso 2 febbraio, lo ha scritto a chiare lettere sul Washington Post David Ignatius, che ha definito non casuale la decisione del ministro della difesa israeliano, Ehud Barak, di posticipare un’esercitazione militare congiunta israelo-americana che si sarebbe dovuta tenere in primavera. L’intenzione del governo israeliano sembrerebbe essere, infatti, quella di lanciare un attacco militare proprio nei mesi primaverili, tra aprile e giugno.

Opposte visioni
Già qualche tempo fa, l’ex capo del Mossad Danny Yatom ha sostenuto che il prezzo che Israele pagherebbe come ritorsione per un attacco preventivo sarebbe notevolmente inferiore al costo di avere un Iran dotato di armi nucleare. Un’opinione differente l’ha, invece, manifestata un altro ex capo del Mossad, Meir Dagan, che ha definito “stupida” l’idea di attaccare l’Iran, dal momento che le conseguenze sarebbero devastanti, per Israele e il Medio Oriente tutto.

Yatom, dal canto suo, minimizza i rischi che Israele correrebbe in caso di attacco armato contro l’Iran, sostenendo che un eventuale lancio di missili da Gaza e dal sud del Libano a mo’ di ritorsione porterebbe ad una risposta israeliana “così dolorosa e tremenda” da cessare in tempi rapidi. D’altronde, secondo Yatom, sarebbe ormai stata superata la linea rossa – la produzione di uranio arricchito al 20%, cioè utilizzabile per armi nucleari, nell’impianto sotterraneo di Fordow, vicino Qom – e dunque resterebbe un solo anno di tempo per intervenire e bloccare l’Iran prima che si doti di un arsenale atomico.

Che credito dare alle voci di un attacco armato? Ci sono due diverse interpretazioni. Secondo alcuni, Israele sta minacciando un attacco armato per fare in modo che la comunità internazionale adotti sanzioni ancora più forti contro il regime iraniano. I risultati di questa strategia, effettivamente, sono visibili. L’amministrazione americana ha adottato pochi giorni fa nuove e più pesanti sanzioni, andando a colpire anche la banca centrale iraniana. Secondo altri, invece, l’attacco armato è una possibilità del tutto concreta. D’altronde la lettura che il governo israeliano sembra dare della vicenda lascerebbe pochi margini di azione alla diplomazia.

Secondo il Begin-Sadat (Besa) Center for Strategic Studies di Tel Aviv, il principio della deterrenza – che ha regolato i rapporti tra Usa e Urss negli anni della guerra fredda – non può funzionare con l’Iran, che non agisce sul terreno delle relazioni internazionali come un attore razionale. Nella visione del think tank – condivisa da ampi settori della politica e della società israeliana, incluso il governo – nessuna sanzione, per quanto dura, sarà sufficiente per arrestare Teheran nella corsa verso il nucleare, e non esisterà alcun deterrente nel momento in cui il regime degli ayatollah si fosse dotato delle armi nucleari.

Washington contro