IAI
Vertice alla Casa Bianca

Monti e Obama uniti per la crescita

13 Feb 2012 - Giampiero Gramaglia - Giampiero Gramaglia

Dopo avere riportato l’Italia e l’Europa nello Studio Ovale del presidente Obama, Mario Monti torna a Roma “più determinato che mai ad andare avanti sulla strada delle riforme”: crede che, ammantato com’è dell’appoggio americano, “i partiti non volgeranno le spalle” al suo governo “su liberalizzazioni e lavoro”. E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli tiene bordone da Helsinki, avvertendo che “l’Italia non è la Grecia”: “Di fronte ai sacrifici – ammonisce il Capo dello Stato -, non abbiamo alternative”.

Adesso, Monti s’accinge a compiere il percorso opposto: mercoledì, a Strasburgo, porterà l’America nell’aula del Parlamento europeo. Il messaggio suo ad Obama e quello di Obama all’Europa sono identici: bene il rigore, ma l’imperativo, ora, è la crescita. Un tema su cui ancora il presidente Napolitano è venuto a dare manforte: “Possiamo farcela, ma il rigore non basta, serve la solidarietà”.

Sintonia con Obama
Il presidente americano e il premier italiano pensano che le politiche economiche europea ed americana vanno focalizzate sulla crescita. Nel dialogo alla Casa Bianca, Obama fa l’elogio dell’euro e si dichiara impressionato dalla “partenza a razzo” del governo italiano. Monti insiste sulla collaborazione tra Italia e Usa, che – dice – “dà più peso alla voce dell’Italia in Europa”.

La copertina della rivista americana Time e la stretta di mano di Obama sulla soglia dello Studio Ovale sono segni dell’importanza attribuita, da parte americana, agli incontri a Washington del presidente del Consiglio italiano, che col presidente degli Stati Uniti discute – riferisce la Casa Bianca – “i passi complessivi che il governo italiano sta compiendo per riconquistare la fiducia dei mercati e per rafforzare la crescita con le riforme”.

L’Italia di Monti è ben diversa da quella che Obama teneva ostentatamente a distanza negli ultimi mesi del governo Berlusconi. E l’Europa del professore non vuole essere un problema per l’America; anzi, avviandosi al superamento della crisi del debito, può dare un contributo alla ripresa dell’economia e alla crescita globale. Il che è, poi, un modo per contribuire alla rielezione di Obama nelle presidenziali del 6 novembre: a sconfiggere il democratico in carica, non può essere nessuno dei repubblicani in lizza per affrontarlo, ma solo un peggioramento della congiuntura e dell’occupazione.

Il premier baratta con il presidente credibilità (“una merce un po’ rara”, commenta, e di cui “i mercato hanno fame”) in cambio di fiducia. Monti è il primo leader dell’Ue, almeno di un grande paese europeo, a incontrare il presidente Obama dopo il discorso sullo stato dell’Unione del 24 gennaio, nel quale l’Europa era stata praticamente ignorata: il fatto è che questi alleati incapaci di risolvere i problemi di casa loro, oltre che – tradizionalmente – di badare alla propria sicurezza, sono oggi scomodi da esibire per un presidente che aspira a un secondo mandato in un’America ancora senza certezze e senza ottimismo.

Apertura di credito
Da novembre a oggi, l’evoluzione dell’atteggiamento degli Usa verso l’Italia è stata rapidissima. Monti s’è presentato a Washington come portavoce dell’Europa: l’Italia non è più un rischio, ma un ‘esempio da imitare’ – parola di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel – nell’Unione europea, con una serie di riforme gradite in America, dalle liberalizzazioni alle semplificazioni.

Che con Monti sia cresciuta l’attenzione di Washington verso l’Italia, prima circoscritta agli appuntamenti multilaterali ed ai contatti di Obama con Napolitano, lo aveva segnalato, alla vigilia, il ministro Terzi. E l’ambasciatore Usa in Italia, David Thorne, spiegava che “Monti ha cambiato la dinamica europea”, quando la sola spinta del direttorio franco-tedesco appariva inadeguata a tirare fuori l’Unione dalle secche della crisi e rimettere in moto l’integrazione, fosse pure con procedure inter-governative e non comunitarie.

La preoccupazione di fare degli incontri a Washington un’occasione di coesione, e non un momento di confronto, era emersa con chiarezza nelle interviste a media Usa che Monti ha concesso prima di partire per gli Stati Uniti: Europa ed America – ha detto, in sintesi, alla tv pubblica Pbs e al Wall Street Journal – stanno lavorando bene per superare la crisi finanziaria, l’euro è una moneta solida e l’Italia sta dimostrando di saper agire con determinazione. “Su entrambe le sponde dell’Atlantico” si sta andando “nella direzione desiderata”: Obama aiuta l’Europa con una “solida gestione dell’economia”; e l’Europa si dà da fare per evitare l’esplosione di tensioni al di fuori dall’eurozona. Insomma, gli amici di sempre s’aiutano mettendo, ciascuno, ordine a casa propria.

In un’intervista a La Stampa, Obama, a sua volta, testimoniava che l’Italia ha fatto “passi impressionanti”.

Solita solfa o vera gloria?
La copertina di Time è stata l’indice più evidente della fiducia con cui Monti era atteso oltre Atlantico: “Può quest’uomo salvare l’Europa?”, titolava il settimanale. Nell’intervista, Monti, “un premier in tempi disperati”, parla di politica interna, cita Berlusconi con toni concilianti, denuncia “il potere eccessivo dei gruppi di interesse legati al settore pubblico” che frenano la crescita ed esprime la speranza di riuscire a cambiare il modo di vivere degli italiani, “perché altrimenti le riforme strutturali sarebbero effimere (“La politica quotidiana ha diseducato gli italiani: dobbiamo cercare di dare il senso della meritocrazia e della competitività che crediamo necessarie”).

E pure Wall Street Journal, New York Times e Washington Post non lesinano spazio a Monti, in sede di presentazione. Anche se, a visita conclusa, la stampa italiana prima si produce in servizi ditirambici; poi, si fa venire i dubbi. E s’interroga: è la solita solfa degli agiografi di casa nostra impegnati a incensare il leader in missione all’estero? Oppure fu vera gloria?

Certo, Monti ha goduto d’un doppio vantaggio al suo esordio nello Studio Ovale: l’effetto ‘luna di miele’; e l’effetto ‘confronto’. ‘Luna di miele’ perché era, appunto, la prima volta: come lui, nel dopoguerra, decine di presidenti del Consiglio italiani hanno l’uno dopo l’altro vissuto un idillio virginale al loro ingresso alla Casa Bianca. ‘Confronto’ perché il paragone con chi c’era prima è inevitabile. E Berlusconi era indiscutibilmente (molto) peggio, anzi era divenuto impresentabile a Washington.

Senza contare la comune e costante consapevolezza che Stati Uniti e Italia sono ‘condannati’ a essere amici e alleati, quali che siano i leader e i partiti al potere: l’atlantismo, insieme con l’europeismo, è una delle due stelle polari di ormai quasi 70 anni di politica estera repubblicana. I governi Berlusconi resero diafano l’europeismo, ma non misero mai in discussione l’atlantismo.

Imperativo crescita
Tutto ciò ammesso, Monti è, oggi, proprio il leader di cui Stati Uniti e Casa Bianca hanno bisogno in Italia e in Europa. Il professore ha misura e autorevolezza: due doti che avrebbero turbato George W. Bush e, forse, messo a disagio il più spontaneo Bill Clinton, ma che s’addicono allo stile e ai gusti del primo presidente nero Usa.

Monti ha, inoltre, qualcosa che manca alla Merkel per essere ora l’interlocutore ideale degli Stati Uniti nel dialogo economico Europa-America: non si contenta di predicare il rigore, che all’Amministrazione democratica degli Stati Uniti sta a cuore, ma è considerato non sufficiente; e picchia sul tasto della crescita, che fa vibrare le corde di Obama, perché il presidente ha bisogno di vedere ripartire economia ed occupazione per mettere in cassaforte la rielezione il 6 novembre.

E siccome il premier britannico David Cameron è troppo poco europeo per fare da ponte tra Ue e Usa e Sarkozy è troppo sotto elezioni per essere sicuramente affidabile nel medio termine, ecco che Monti si ritrova in prima linea, al posto giusto al momento giusto con le politiche giuste. E l’avallo di Obama ne aumenta l’influenza nell’Unione: Mario porta a Barack un messaggio di Angela e torna con una risposta, “bene il rigore, ma ora la crescita”.

Certo, l’Europa, a casa, non esce dalle secche: l’Eurogruppo non avalla l’accordo sui tagli anti-crisi in Grecia e non sblocca ancora i 130 miliardi di euro necessari, mentre scioperi e proteste paralizzano Atene e tutto il paese. La Grecia vacilla, i mercati s’impazientiscono. I leader ripetono le loro nenie: il presidente della Commissione Manuel Barroso promette l’accordo in settimana, la Merkel dice che un fallimento della Grecia avrebbe conseguenze incalcolabili. Mario, pensaci tu! Mercoledì che vai a Strasburgo, al Parlamento europeo, cantagliela chiara. Obama è con te. E, in un film di George Lucas, basterebbe.

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