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Dopo il conflitto

Il futuro dei trattati tra Italia e Libia

2 Feb 2012 - Natalino Ronzitti - Natalino Ronzitti

I problemi europei e l’attivismo diplomatico per la conclusione del nuovo trattato sulla disciplina di bilancio hanno lasciato in ombra la questione dello status dei nostri trattati con la Libia. Il Trattato di Bengasi del 2008 di amicizia, partenariato e cooperazione è politicamente il più importante degli accordi conclusi con la Libia, ma non il solo.

Con la Libia sono stati conclusi, a partire dal 1954, un numero non indifferente di trattati, inclusi una Convenzione consolare nel 1998 e un Accordo sulla promozione e protezione degli investimenti del 2000. Per non parlare del Protocollo del 2007 sul contenimento dell’immigrazione illegale, seguito da due successivi Protocolli stipulati in forma semplificata. Che fine hanno fatto questi accordi una volta terminate le ostilità e dopo che a Tripoli si è installato un nuovo governo?

Occorre distinguere i due eventi: mutamento rivoluzionario di regime e fine del conflitto armato.

Cambio di regime
Di per sé, un mutamento rivoluzionario di regime non è una causa di estinzione dei trattati stipulati dal precedente governo. Sul punto la pratica degli Stati è chiara e non ha avuto seguito la pretesa dell’Unione Sovietica di ripudiare i trattati stipulati dal vecchio regime zarista. Tutto quello che si può dire è che debbono essere considerati estinti quei trattati che sono radicalmente incompatibili con la nuova situazione che si è creata.

Non mi sembra essere questo il caso della Libia, neppure per quanto riguarda il Trattato di Bengasi e le clausole politiche contenute nella prima parte del Trattato, che sono per lo più ripetitive di principi già espressi nella Carta delle Nazioni Unite o in altri documenti internazionalmente rilevanti, come l’obbligo di non violare l’integrità territoriale, il dovere di non ingerenza negli affari interni o l’adesione ai principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Ma il cambiamento di regime libico è stato, in tutto o in gran parte, anche il frutto di una guerra (o come si dice oggi di un conflitto armato) tra gli Stati della coalizione, di cui l’Italia ha fatto parte, e la Libia. Non importa se questi Stati abbiano aiutato gli insorti, che poi hanno guadagnato il potere, a scapito del governo costituito (quello di Gheddafi). Si è trattato di una guerra tra Stati e quindi di una guerra tra Italia e Libia.

Il conflitto armato
Quali sono gli effetti della guerra sui trattati? La guerra può produrre un effetto estintivo o meramente sospensivo degli accordi precedentemente stipulati, tranne che non vengano in considerazione accordi che disciplinano espressamente le ostilità come quelli di diritto umanitario (ad es.il trattamento dei prigionieri di guerra). Di regola i trattati politici (ad es. un trattato di alleanza tra Stati che sono divenuti in seguito belligeranti) si estinguono, mentre altri, come quelli di commercio, sono sospesi.

Dopo la fine delle ostilità, qualora venga concluso un trattato di pace, le parti normalmente indicano quali trattati, meramente sospesi durante il conflitto, intendano rimettere in vigore. Ma nel caso libico non è stato stipulato alcun trattato di pace, né poteva essere altrimenti data la configurazione del conflitto. Inoltre le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che talvolta suppliscono alla mancanza di un vero trattato di pace, non contengono indicazione alcuna per la Libia.

Per la verità la Commissione del diritto internazionale, che è l’organo di codificazione in seno alle Nazioni Unite, ha adottato recentemente (2011) in materia un progetto di articoli che parte dal presupposto della continuità dei trattati, stabilendo che il conflitto armato non produce l’automatica estinzione dei trattati stipulati anteriormente allo scoppio del conflitto. Ma si tratta di opinione per certi versi discutibile, non accettabile nella sua assolutezza, e comunque piena di caveat, che finiscono per inficiarne l’applicabilità. Inoltre il progetto di articoli è per l’appunto un progetto e di per sé non è giuridicamente vincolante per gli Stati. Tuttavia esprime un’importante presunzione: la continuità dei trattati nonostante il conflitto armato.

Durante il conflitto si sono susseguite molteplici dichiarazioni da parte italiana, che non brillano per chiarezza. Da parte libica, quando i ribelli lottavano contro Gheddafi ed aspiravano ad un pieno riconoscimento, il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) si era pronunciato per il rispetto di tutti i trattati internazionali, a cominciare dal Trattato di amicizia italo-libico.

“Riattivare” il Trattato
Mi sembra però che le cose siano andate diversamente. La posizione definitivamente espressa dal governo Berlusconi e fatta propria dal governo attuale è quella secondo cui il Trattato di Bengasi sia stato sospeso e debba essere riattivato. Di “riattivazione” del Trattato del 2008 ha parlato anche il nuovo ministro degli affari esteri, Giulio Terzi, nell’audizione congiunta delle Commissioni affari esteri della Camera e del Senato il 30 novembre 2011. A tal fine occorre un preciso atto di volontà.

Da parte libica si è ribadita più volte l’intenzione di riattivare il Trattato, ma non sono seguiti atti concludenti, in attesa dell’insediamento di un governo democraticamente eletto. A quanto risulta, il premier del Cnt Jibril non ha firmato un memorandum d’intesa volto a definire i termini per la riattivazione del Trattato, che l’allora ministro degli affari esteri Franco Frattini aveva sottoposto ai libici durante la visita a Tripoli a fine settembre 2011.

Nella sua visita a Roma il 15 dicembre, il presidente del Cnt Jalil aveva annunciato la riattivazione del Trattato del 2008, ma di essa non si riscontra traccia nella Tripoli Declaration siglata tra il Primo Ministro libico al Qeeb e il Presidente del Consiglio Mario Monti al termine della visita a Tripoli il 21 gennaio 2012.

Sul punto è silente pure il Meeting Summary, siglato dai due presidenti lo stesso giorno, che peraltro sembra estrapolare dal Trattato del 2008 taluni punti, come la regolamentazione del pagamento dei crediti vantati da parte degli enti libici nei confronti dell’Italia e quelli vantati dalle imprese italiane nei confronti della Libia o l’istituzione di un controllo elettronico alle frontiere, oggetto di una lettera di intenti tra i due ministri della difesa. Per il resto il Meeting Summary elenca una serie di materie oggetto di futura cooperazione bilaterale che già figuravano nel Trattato del 2008 o nei trattati precedenti, con la conseguenza che non è chiaro se la cooperazione bilaterale possa essere ancorata ai trattati preesistenti o se questi siano ormai lettera morta e sia necessario stipulare nuovi trattati.

Lo stato d’incertezza non giova e un quadro di riferimento globale è necessario, per poter fondare su basi stabili la collaborazione Italia-Libia. A parte l’Eni e lo sfruttamento delle risorse petrolifere che è ripreso quasi a pieno ritmo, altro settore importante è la pesca e il Distretto produttivo della pesca (Cosvap), Regione Sicilia, ha concluso un accordo di cooperazione con la Libyan General Authority for Marine Wealth. Tale intesa non è formalmente un accordo internazionale, ma fa riferimento all’art 17 del Trattato del 2008 e al protocollo d’intesa sulla cooperazione economica, scientifica e tecnica nel settore delle risorse marine, firmato nel 2009 tra i due ministri competenti.

Uscire dall’ambiguità
Si può procedere in modo frammentario? Direi di no. Occorre un atto ricognitivo dei due Stati allo scopo di stabilire con certezza quali sono i trattati in vigore tra i due Stati. La premessa da cui partire è quella secondo cui i trattati italo-libici non sono estinti, ma soltanto sospesi a causa degli eventi bellici. L’atto ricognitivo avrebbe dunque solo lo scopo di certificare che i trattati sono ancora in vigore e non sarebbe costitutivo di un nuovo regime contrattuale. Eventualmente l’atto ricognitivo potrebbe essere l’occasione per rinegoziare di comune accordo talune clausole dei trattati che hanno sollevato perplessità.

Dovrebbe inoltre essere l’occasione per indurre la Libia a ratificare taluni importanti accordi multilaterali come la Convenzione del 1951 sui rifugiati e la Convenzione del diritto del mare del 1982, strumento esenziale per la definizione della piattaforma continentale e del limite esterno delle acque libiche. Una politica della pesca non può prescindere da tale definizione delle aree marine libiche e dai limiti oggi imposti dall’Unione europea, poiché la stipulazione degli accordi di pesca è divenuta di esclusiva competenza comunitaria. Tra l’altro la politica della pesca costituiva uno dei punti prioritari dell’accordo quadro da stipulare tra Unione europea e Libia, il cui negoziato è stato interrotto dopo la ribellione di Bengasi e l’intervento Nato.

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