L’Italia nelle operazioni in Libia
I veri motivi per cui l’Occidente, la Nato ed alcuni volonterosi sono rimasti coinvolti nella campagna aerea sopra la Libia, sono ancora oggi oggetto di approfondimento. Ufficialmente, tutto è iniziato dopo le prime sommosse a Bengasi e a Misurata e le conseguenti repressioni poste in atto dai lealisti di Gheddafi. Le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, votate in tempi inusitatamente rapidi, e la successiva conferenza convocata il 17 marzo a Parigi dal presidente Sarkozy, hanno dato l’avvio ai fuochi d’artificio.
Non vi è ombra di dubbio, a detta degli analisti “laici”, che i due promotori di questa campagna siano stati Francia e Regno Unito, cui, con prospettive e motivazioni diverse, si sono poi aggiunte altre 14 nazioni, tra le quali l’Italia.
L’opinione che emerge dal dibattito ancora in corso è che i propositi umanitari che hanno dato l’avvio all’iniziativa siano stati senz’altro un fattore importante, ma sicuramente non l’unico. E, secondo alcuni, con buona probabilità nemmeno il più rilevante.
Altri parlano, senza troppe perifrasi, di una sorta di copertura ad operazioni che stavano comunque maturando da tempo. Non si comprende bene perché, ma il contributo dato dall’Italia sinora è sempre passato sottotraccia, sia in patria che all’estero. Tanto che Barack Obama, nell’incontro di vertice a Nizza ai margini del G20, aveva pubblicamente lodato Sarkozy e la Francia, “…senza la quale questa guerra non si sarebbe potuta fare”. “Non si sarebbe mai fatta”, ci piacerebbe rispettosamente correggere. Per l’Italia, non una parola.
Campagna aerea
Ma oggi che, con il contagocce, iniziano ad essere conosciuti i numeri dell’operazione Nato sulla Libia, è facile riscontrare come l’Italia abbia assolto un ruolo di pieno rilievo, pur partendo dalla convinzione iniziale che questa “strana guerra” non si sarebbe mai dovuta fare.
Ora auspichiamo un pari ruolo anche nella fase politica, visto che questa, ai fini degli interessi nazionali, potrebbe avere valenza assai superiore al numero di bombe sganciate, alle sortite volate o agli obiettivi colpiti. I dati che di seguito riportiamo si riferiscono unicamente all’Operazione Nato “Unified Protector” (Oup), naturale evoluzione della “Odyssey Dawn”(Ood) effettuata nei primissimi giorni da una coalizione tra Francia e Gran Bretagna, cui si erano uniti gli Usa.
In totale, le sortite aeree (“sortita” significa attività di un solo aereo, non di una formazione) volate da Nato e aggregati ammonta a 23.589, delle quali 15.952 sono state catalogate come combat. Di queste, l’aeronautica militare italiana ne ha prodotte il 12 per cento, pari a 1.947 sortite, attestandosi al quarto posto assoluto tra le forze di Oup. A questa attività va poi sommata quella degli AV8 B della nostra marina militare, che ha contribuito con 173 sortite e 148 sganci. In totale, gli aerei italiani hanno battuto 668 obiettivi. Globalmente, le sortite delle Forze aeree sono state l’88,9 per cento del totale, quelle navali il 9,7 per cento e quelle terrestri l’1,4 per cento.
Delle sortite volate dalle 17 nazioni (Aeronautiche e, quando il caso, Aviazioni imbarcate) che hanno partecipato alla fase attiva, secondo dati da confermare la palma con il 27 per cento andrebbe agli Stati Uniti, seguiti da Francia con il 21 per cento, Regno Unito con l’11 per cento e l’Italia con il 9 per cento. Nell’ordine, vengono poi Canada, Emirati, Turchia, Qatar, Svezia, Belgio, Spagna, Olanda, Norvegia, Giordania e Grecia. Singolare l’ampio contributo fornito dai paesi arabi – Emirati, Qatar e Giordania – computato nella misura del 6 per cento del totale.
Qualche commento
Solo nove nazioni su 17, tra cui l’Italia, hanno partecipato alle operazioni di attacco con sganci reali. Va tuttavia rimarcato che nella Oup le sortite dell’Usaf erano soprattutto di sorveglianza radar e di rifornimento, mentre nei pochi giorni di durata della Ood, prima di ritirarsi dalle operazioni di attacco, Usaf e US Navy avevano già battuto il grosso degli obiettivi fissi di contraviazione, difesa aerea e comando e controllo.
In quanto all’utilizzazione complessiva di armi di precisione – più efficaci, ma anche più dispendiose – sono stati impiegati oltre 7.700 ordigni. Noi abbiamo utilizzato esclusivamente questo tipo di armamento, per una quantità che risulterebbe essere circa il 10% di tutta la campagna Nato.
Come abbiamo detto, se dovessimo badare solo ai numeri, potremmo essere considerati mediamente al quarto posto nella scala dei contributi. Ma non è così. Computando, con diverso criterio, anche le missioni combat di sorveglianza e ricognizione, dove abbiamo prodotto circa il 22% del totale, saremmo al secondo posto. Poi, sarebbe corretto mettere in conto il supporto fornito dalle nostre sette basi aeree ad una presenza media nel periodo di 200 velivoli, con punte fino a 250. Più nel dettaglio, a Trapani e Sigonella abbiamo ospitato canadesi, danesi, francesi, inglesi, americani, svedesi, emiratini e turchi.
A Decimomannu emiratini, olandesi e spagnoli. Ad Aviano, infine, Usa, Emirati e Qatar. A seguito della sospensione delle attività aeree in applicazione alla Risoluzione Onu 2016, tutti i velivoli stranieri non stanziali hanno lasciato le nostre basi tra il 31 ottobre ed il 4 novembre. Ad una prima stima, i costi vivi sostenuti per la Oup dalla sola Aeronautica militare – ci sarebbero poi da aggiungere quelli della nostra Marina e quelli per le limitazioni al traffico aereo commerciale – si aggirano attorno ai 150 milioni di euro.
Gli aerei italiani hanno operato senza soluzione di continuità lungo tutto l’arco di durata di “Unified protector”, di giorno e di notte, dal 21 marzo al 31 ottobre. Certamente, possiamo essere fieri di aver contribuito a “salvare i civili” da Gheddafi, come voleva l’Onu e ripeteva la Nato, sebbene nulla si stia ora facendo per salvarli anche dalla vendetta dei vincitori.
Al momento, è possibile che questa campagna abbia vanificato molto di ciò che, dopo la “cacciata dei ventimila”, avevamo ricostruito in quarant’anni di tessitura paziente. Ora, il nuovo governo dispone di tutti gli elementi di forza per recuperare, e farsi valere nel processo di pace. Ma deve trovare il tempo per farlo prima che i promotori della “strana guerra” riescano a conseguire definitivamente i loro veri obiettivi.
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