L’incerto destino della Corea del Nord
Il 17 dicembre alle 8.30, ora di Pyongyang, il sessantanovenne dittatore nordcoreano Kim Jong Il è deceduto nel corso di un viaggio in treno. I motivi del decesso, secondo lo stringato comunicato della Korean Central News Agency (Kcna, l’agenzia stampa della Corea del Nord), sono da attribuirsi a un “grande sforzo fisico e mentale” non ulteriormente specificato. Kim Jong Il era figlio di Kim il Sung, rivoluzionario comunista e fondatore della Corea del Nord dopo la Seconda guerra mondiale.
Aroccamento
Il decesso del “caro leader”, nome eufemistico con cui il dittatore voleva farsi chiamare, ha riportato l’attenzione del mondo sulla Corea del Nord, uno dei regimi più impenetrabili del mondo. Al contrario della vicina Corea del Sud, da sempre allineata politicamente a Washington, il Nord è costantemente rimasto uno stato comunista particolarmente ortodosso e chiuso.
Rispetto agli altri vicini, come Cina e Vietnam, il governo di Pyongyang si è sempre attenuto ai criteri della pianificazione statale, escludendo praticamente qualsiasi forma di iniziativa privata. Il mantenimento del consenso attorno a Kim Jong Il e la percezione di insicurezza nazionale ha poi comportato una ipertrofica crescita dell’apparato militare, che va dal milione e duecentomila uomini in armi sino agli ordigni nucleari, testati nel 2006 e nel 2009.
A livello interno le poche informazioni che trapelano, spesso clandestine, descrivono una situazione molto difficile, con poca corrente elettrica, un’enorme apparato militare, scarso cibo, un’economia debole e un fortissimo controllo ideologico.
Questo stato di cose sembra essere l’eredità che Kim Jong Il consegna alla futura generazione politica, sulla quale, però, esistono non pochi interrogativi. Il decesso del “caro leader”, infatti, apre degli scenari nuovi destinati ad avere un impatto che travalica i confini della Corea del Nord.
Insidiosa successione
Il primo interrogativo riguarda l’evoluzione interna del paese, a partire dalla scelta della nuova leadership. Il sistema politico di Pyongyang è un unicum, una strana combinazione di comunismo stalinista e di nazionalismo incentrato sui due Kim, oggetto di un vero e proprio culto della personalità.
Kim Il Sung impostò la sua transizione permettendo al figlio, Kim Jong Il, di affiancarlo ai vertici del potere. Quando Kim Il Sung morì (1994), Kim Jong Il era così pronto a succedergli, cosa che avvenne senza alcuna difficoltà. Il “caro leader”, però, ha avuto poco tempo (neanche un paio di anni) per addestrare il nuovo delfino, ovvero il suo terzogenito Kim Jong Un. Formalmente, però, è lui il designato.
Il giovane Kim Jong Un, a detta di molti commentatori, sembra troppo giovane per ereditare il potere di Pyongyang, soprattutto perché solo da poco aveva affiancato il padre, e sempre con un ruolo defilato nella gestione del potere. Ad esempio il giovane Kim è apparso in poche parate pubbliche, e sembra non aver accompagnato il padre nei viaggi in Russia ed in Cina di qualche mese fa.
La debolezza del futuro vertice politico sposta l’attenzione sui militari, la classe sociale più potente in Corea del Nord. Nonostante i comunicati della Kcna già annuncino in termini trionfali la nuova “guida” di Kim Jong Un, la parola finale sulla successione rimane nelle mani delle gerarchie militari e nelle loro volontà.
Nonostante il nuovo delfino sia stato nominato “generale” l’anno scorso, non ha avuto il tempo di impratichirsi della macchina militare coreana come ebbe il padre. Qualsiasi prospettiva di riforma del paese, inoltre, non potrebbe che passare per la riduzione delle spese militari, estremamente onerose per il bilancio del governo. Una soluzione politico-economica “tipo Vietnam” o “tipo Cina” inevitabilmente rimetterebbe in discussione il ruolo dei militari, diminuendolo. Costoro potrebbero pure provare a proporre un proprio uomo, invece del terzo Kim, molto meno conosciuto dei due predecessori anche in Corea del Nord.
Recentemente, comunque, sembra sia stato sparato un missile dalla Corea del Nord, formalmente nell’ambito di una esercitazione già programmata, per dare l’impressione che tutto sia normale, anche la routine militare.
Vicinato inquieto
In secondo luogo, il vuoto politico di Pyongyang ha subito generato una vasta serie di reazioni nella regione.
La Corea del Sud ha posto in allerta tutte le sue forze armate, e sta monitorando la situazione con estrema attenzione. Il Giappone ha fatto lo stesso, in quanto spesso missili nordcoreani sono stati sparati vicino alle acque territoriali di Tokyo. Gli Stati Uniti, da sempre protettori delle due nazioni asiatiche, sono in contatto con i due governi per seguire le evoluzioni del Nord, ed in particolare eventuali azioni di natura militare. Solo un anno fa, infatti, una corvetta del Sud venne affondata, e un’isola del Sud venne bombardata da colpi d’artiglieria del Nord.
La Cina, invece, ha espresso le sue condoglianze e la sua vicinanza al popolo nordcoreano, senza però menzionare il nuovo Kim. Pechino è il solo “vero” alleato di Pyongyang, ed il governo cinese vorrebbe evitare incidenti o rivoluzioni radicali nel piccolo vicino. Il collasso della Corea del Nord, infatti, potrebbe provocare ulteriori ondate migratorie, o magari, ipotesi peggiore, l’allontanamento di Pyongyang dalla sfera di influenza cinese.
Il destino della piccola Corea, i dubbi sulla transizione e le future scelte del nuovo leader, quindi, condizioneranno inevitabilmente non solo l’assetto nazionale, ma anche quello regionale. Dalle mosse di Pyongyang, quindi, dipenderanno alcuni importanti sviluppi regionali, che vanno dal mantenimento dello status quo a degli scenari completamente nuovi.
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