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Medioriente

Palestina nell’Unesco puntando all’Onu

14 Nov 2011 - Andrea Dessì - Andrea Dessì

Con 107 voti a favore, 14 contrari e 52 astenuti (1), la Palestina è entrata ufficialmente a far parte dell’Organizzazione per l’educazione, le scienze e la cultura (Unesco) legata alle Nazioni Unite. Si tratta del primo organo dell’Onu ad accettare come membro uno stato palestinese dopo che il 23 settembre scorso Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e capo del partito nazionalista Al-Fatah, aveva presentato richiesta formale di adesione alle Nazioni Unite.

Europa divisa
Tra i ‘sì’ spicca quello della Francia, ma hanno votato a favore anche Grecia, Spagna, Austria e tutti i Brics. Nel gruppo dei ‘no’ – capeggiati da Usa e Israele – figurano, tra gli altri, Germania, Paesi Bassi, Svezia e Repubblica Ceca. L’Italia, che secondo quanto riportato dalla Farnesina si stava adoperando per una posizione comune dei paesi Ue, ha optato alla fine per l’astensione, come pure Inghilterra, Danimarca e Portogallo. L’Unione Europea, che molti speravano potesse emergere come ‘terzo polo’ tra le parti in conflitto, si è così spaccata in tre tronconi, con undici voti pro, undici contro e cinque astenuti.

Per la Palestina, ora il 195° stato membro dell’Unesco, questa vittoria ha un valore principalmente simbolico, senza immediate conseguenze pratiche sul processo di pace o sui rapporti di forza nei territori. Si tratta comunque di una vittoria significativa in quanto rappresenta il primo successo concreto della nuova strategia promossa dall’Anp che mira ad un’internazionalizzazione del conflitto tramite il rafforzamento del ruolo dell’Onu. La speranza palestinese è di tracciare una ‘terza via’ per la ripresa dei negoziati basata sul diritto internazionale e non più ostaggio delle chiusure israeliane o dei veti Usa.

Oltre l’Unesco
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu dovrà presto esprimersi sulla richiesta di ammissione della Palestina come membro a pieno titolo dell’organizzazione, ma è scontato che gli Usa porranno il veto. La leadership palestinese è rimasta fedele alla propria strategia: niente negoziati con Israele fino a quando non cesserà la costruzione di nuovi insediamenti nei territori palestinesi.

Israele ha definito l’esito del voto all’Unesco una “tragedia”, mentre gli Stati Uniti l’hanno giudicato “deplorevole e prematuro” nonostante l’ampio consenso internazionale riscosso dall’Anp. L’accesso palestinese all’Unesco ha creato profondo imbarazzo al Dipartimento di stato Usa che si è visto costretto a imporre un embargo economico nei confronti dell’organizzazione Onu. Non c’è dubbio che questo taglio di fondi – che equivale a 22% del budget dell’Unesco – avrà pesanti ripercussioni sull’efficacia dell’organizzazione.

Imbarazzo Usa
L’America è rientrata a far parte dell’Unesco nel 2003 – dopo esserne uscita anni prima durante la presidenza di Reagan – anche nella speranza che l’organizzazione, con i suoi programmi di educazione e formazione, potesse aiutare nella lotta contro il terrorismo e la radicalizzazione. L’amministrazione Obama si trova però con le mani legate per via di una serie di leggi approvate dal Congresso Usa nel 1990 e 1994. Queste prevedono il congelamento dei fondi americani per qualsiasi organizzazione internazionale che riconosca l’indipendenza di uno stato palestinese senza che quest’ultimo abbia firmato un trattato di pace con Israele.

Poche ore dopo il voto all’Unesco il dipartimento di stato Usa ha infatti comunicato l’effettivo congelamento di questi fondi a partire dai 60 milioni di dollari che l’America avrebbe dovuto versare all’organizzazione durante la prima settimana di novembre. Anche Israele ha in seguito cancellato i suoi contributi annuali all’Unesco ($2milioni).

Sul fronte economico sarà un freddo inverno anche per la Palestina. Lo scorso agosto il Congresso Usa aveva anche bloccato i fondi – 200 milioni di dollari – destinati a progetti sanitari e per la sicurezza alimentare in Palestina (i finanziamenti americani alla Palestina ammontano in media ogni anno a 500 milioni di dollari). Numerose organizzazioni umanitarie internazionali avevano protestato contro questa mossa del Congresso e anche l’amministrazione Obama l’aveva fortemente criticata. Dopo un acceso dibattito, l’amministrazione sembra essere riuscita a convincere i membri repubblicani del Congresso a scongelare questi fondi che vengono considerati fondamentali per la stabilità interna della Cisgiordania.

Reazione israeliana
Israele, che ha risposto al voto Unesco con l’annuncio della costruzione di altri 2000 alloggi negli insediamenti israeliani a Gerusalemme Est e dintorni, ha anche congelato il trasferimento all’Anp delle tasse raccolte in Cisgiordania. Si tratta di 100 milioni di dollari al mese con cui l’Autorità palestinese paga i salari di decine di migliaia di lavoratori pubblici. Questi ultimi hanno peraltro, ricevuto, già ad ottobre, solo metà stipendio.

Mahmoud Abbas non intende però desistere. Tanto più che si aprono ora nuove possibilità di adesione della Palestina ad altre organizzazioni internazionali. All’indomani dell’entrata nell’Unesco si era appreso da fonti vicine all’Anp che sarebbero state presentate domande di adesione ad altre sedici organizzazioni affiliate all’Onu, fra cui l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (Ompi), l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e l’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea).

Dopo qualche giorno è però arrivata la smentita dal ministro degli esteri dell’Anp, il quale ha dichiarato che i palestinesi non richiederanno immediatamente l’adesione ad altre organizzazioni perché intendono concentrarsi sul voto al Consiglio di sicurezza sull’adesione all’Onu.

Battaglia per l’Onu
Per diventare membri a tutti gli effetti dell’Onu, i palestinesi devono però ottenere nove voti su 15 (e nessun veto) al Consiglio di sicurezza. Gli Usa hanno già fatto sapere che porranno il veto, mentre la Francia e l’Inghilterra hanno annunciato che si asterranno. Le chance di successo per i palestinesi sono quindi minime e il dibattito potrebbe spostarsi all’Assemblea generale dell’Onu dove non esiste il veto e l’Anp potrebbe richiedere il riconoscimento della Palestina come ‘stato osservatore’ (oggi è l’Organizzazione per la liberazione della Palestina – Olp – che ha lo status di ‘entità osservatrice’ all’Onu).

L’importanza di tale riconoscimento risiede nel fatto che incrementerebbe le chance palestinesi di entrare a far parte di organizzazioni come la Corte penale internazionale (Cpi), permettendogli di proporre sanzioni internazionali contro Israele. Il ministro degli esteri dell’Anp ha però ribadito che i palestinesi non hanno intenzione di accontentarsi di uno status simile a quello del Vaticano e mirano a diventare membri a tutti gli effetti dell’Onu. Nel caso di sconfitta al Consiglio di sicurezza, i palestinesi hanno quindi annunciato che ripresenteranno richiesta d’adesione anche più volte se necessario fino a quando non arriverà una risposta positiva da parte dei quindici membri del consiglio.

Mahmoud Abbas non sembra d’altronde avere grandi alternative. Ha anzi dichiarato che, se i negoziati di pace non dovessero riprendere, scioglierebbe l’Anp, riportando la Palestina allo situazione pre-Oslo quando l’esercito israeliano era l’unica autorità presente sul territorio e i palestinesi non erano coinvolti nell’amministrazione dei territori.

Abbas punta a smuovere la comunità internazionale con iniziative diplomatiche di rottura in modo da rendere insostenibile l’attuale politica del governo israeliano. Forte del sostegno Usa, Israele non sembra tuttavia intenzionata a cambiare rotta. Con l’Europa divisa e distratta e gli Stati Uniti incapaci di esercitare una qualche pressione sull’alleato israeliano, è probabile che lo stallo negoziale si prolunghi ancora: un limbo denso di incognite e di rischi per tutte le parti in conflitto.

(1) 21 stati membri dell’Unesco erano assenti al momento del voto.

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