IAI
Influenza del Golfo e ruolo Ue

L’incerto destino del Maghreb

29 Nov 2011 - Roberto Aliboni - Roberto Aliboni

Nel quadro del sommovimento geopolitico provocato dalla cosiddetta “primavera araba”, vale la pena chiedersi quale prospettiva stia emergendo nel Maghreb, l’Occidente arabo. Le elezioni tunisine, vinte dal partito di ispirazione religiosa Ennhada, hanno messo capo in tempi relativamente brevi a una coalizione fra questo partito e i liberali di Marzouki.

Senza dubbio, l’incipiente stabilizzazione democratica della Tunisia si accoppierà con la continuità della monarchia temperata e riformista del Marocco, dove il successo del partito islamista Giustizia e Sviluppo (Parti de la Justice et du Dιveloppement, Pjd) nelle recenti elezioni può consolidare il processo di cambiamento in corso.

Le riforme effettuate dalla monarchia marocchina un paio di mesi fa sono state da più parti criticate come tipica manifestazione del trasformismo dei regimi autoritari arabi. Certamente, quelle riforme non hanno costituzionalizzato la monarchia. Tuttavia, hanno migliorato in modo sostanziale la governance del paese e accresciuto le garanzie dei cittadini.

Il Marocco è destinato ad un lento approdo democratico, nella misura in cui continuano il riformismo del regime e la crescita dell’economia. Questa situazione porta al rafforzamento delle classi medie e quindi, prima o poi, allo sviluppo di un regime pienamente democratico.

Variabile Libia
Tunisia e Marocco sono perciò avviati, in piena autonomia, verso una stabilità democratica. Non è però questa una tendenza uniforme della regione. La sollevazione della Libia è stata iniziata da un comitato di tendenze liberali e secolari, ma si è conclusa con l’affermazione di un regime di coalizione fra islamisti e liberali il cui orientamento appare assai meno chiaro di quello tunisino.

Le dichiarazioni programmatiche del governo che si è formato dopo l’eliminazione di Muammar Gheddafi per portare il paese alle elezioni, delineano un regime ben diverso da quello liberal-secolare tratteggiato dall’originario Comitato nazionale di transizione (Cnt): si parla di svaria, la legge islamica, come quadro fondamentale dell’ordinamento giuridico libico e si reintroduce la poligamia, quasi a voler dare una rappresentazione più plastica della svolta in corso.

Ciò risulta probabilmente dall’influenza che il Qatar ha esercitato sul paese all’ombra delle forze aeree della Nato. Il Qatar ha strenuamente appoggiato e rafforzato i Fratelli musulmani libici con denaro e armi, mettendoli così in grado di contendere ai liberali della prima ora la direzione politica del paese.

Il Qatar è la sede dell’organizzazione internazionale dei Fratelli e ospita lo sceicco Qaradawi, che ne è il capo. Come ha appoggiato i Fratelli in Libia, sta ora appoggiando quelli della Siria. Ha sempre sostenuto, del resto, anche quelli egiziani, provocando reazioni infuriate da parte del regime di Mubarak.

Questo appoggio rafforza l’argine verso i salafiti e gli altri estremisti (che invece hanno spesso trovato sostegni in altri paesi della penisola arabica) e, in questo senso, impedisce che il cambiamento in atto degeneri verso repubbliche islamiche su base teocratica. Miscelandosi con una situazione locale ben diversa da quella di Tunisia e Marocco, questa influenza non sembra poter generare lo stesso tipo di evoluzione secolarizzante cui si assiste in questi due paesi.

Che i Fratelli libici raggiungano un equilibrio pluralista, come è avvenuto fra Ennhada e i liberali tunisini, appare meno probabile anche a causa del fatto che la politica libica è complicata da un fattore tribale che non esiste in Tunisia.

Durante i mesi dello scontro, il fattore tribale è stato lungamente discusso ma anche generalmente sottovalutato. Ma i fatti dimostrano invece che le tribù – per quanto diluite dall’urbanizzazione del paese – sono un fattore tutt’altro che trascurabile.

L’emergente dirigenza libica sta cercando non solo un equilibrio fra islamisti e liberali, ma anche fra essi e le tribù. È dunque difficile prevedere come evolverà la Libia, ammesso che non scivoli in un altro conflitto civile. Anche se arriverà ad avere delle istituzioni democratiche, non sarà comunque un paese conforme alla Tunisia e al Marocco.

Stagnazione algerina
Resta l’Algeria, dove la primavera araba non c’è stata né appare in vista. Dalle analisi algerine di cui si dispone (quasi tutte di analisti non residenti) si capisce, tuttavia, che i dirigenti algerini sono preoccupati più dei riflessi degli eventi esterni sulla politica estera e di sicurezza che non su quella domestica.

I cambiamenti di regime all’interno della regione, specialmente se dovessero essere seguiti dal nuovo regime libico, rischiano di sminuire il protagonismo algerino nelle sue relazioni con l’Occidente e di cambiare l’equilibrio di potere nella regione maghrebina.

Infine, c’è una genuina preoccupazione per ciò che potrà significare l’esistenza di governi islamisti o a partecipazione islamista in Libia e Tunisia, sia nei confronti della legittimazione del regime algerino, sia nei confronti del movimento Al Qaida nel Maghreb (Aqim) e degli altri fermenti di rivolta che tendono ad agglutinarsi nel Sahel, spesso e volentieri impegnati in tattiche terroristiche.

L’Algeria è un caso a sé nel panorama attuale. Se una rivolta abbattesse il regime Bouteflika, non abbatterebbe con questo le radici del deficit democratico, che risiedono nel potere dei militari.

Ma l’abbattimento dei militari algerini comporterebbe non un semplice sollevamento, ma una guerra civile come quella che sta venendo a galla in Siria, sicuramente più sanguinosa, lunga e crudele di quella che c’è appena stata in Libia. Provati dalla guerra civile decennale che ha avuto luogo negli anni novanta, gli algerini non la faranno. In queste condizioni, il cambiamento in atto non pone gravi rischi di destabilizzazione, ma ugualmente imbarazza ed isola la classe dirigente algerina.

Il Maghreb, perciò, presenta importanti difformità di tendenza: due paesi, Tunisia e Marocco, vanno verso un orizzonte di democrazia, un altro, la Libia ha di fronte un avvenire incerto per la difficoltà di contemperare le sue diverse componenti liberali, religiose e tribali, e un altro ancora, l’Algeria – caratterizzata da un regime e un paese entrambi estenuati – sembra destinato a ristagnare nella sua arcaicità politica e ideologica.

Corrente del Golfo
Ci si deve anche chiedere, dopo aver visto le situazioni nazionali, quali saranno le relazioni fra i paesi del Maghreb e fra questi e gli altri paesi arabi. Le differenziazioni che abbiamo messo in luce potrebbero portare a contrasti fra i paesi della regione. Questi contrasti non sembrano tuttavia destinati ad essere significativi, perché l’influenza dei paesi del Golfo sarà importante e tenderà ad ammorbidire le differenze.

Il Qatar si è speso più in Libia che in Tunisia, ma ha fatto avere ad Ennhada un forte sostengo finanziario. In generale, i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, già influenti in Marocco, hanno seguito molto da vicino i rivolgimenti in corso con l’intento, effettivamente riuscito, di approfittarne per rafforzare le correnti islamiste.

In Tunisia l’influenza del Golfo si sta traducendo in un uso moderato della vittoria e una collaborazione fra islamisti e forze liberal-secolari. Se ciò avverrà anche in Libia, non potremo che avere stabilità in una parte cruciale della regione e del Nord Africa.

Questa influenza del Golfo nel Mediterraneo occidentale è destinata ad accrescersi. Essa, stimolerà e rafforzerà i governi della regione nella lotta contro le correnti transnazionali ed estremiste dell’islamismo che premono dal Sahara e dal Sahel.

Sarà una buona occasione per una collaborazione fra i regimi, ma potrebbe anche essere una buona occasione di collaborazione fra questi paesi e gli Stati Uniti e, forse, alcuni paesi europei. In questo contesto, quali sono le prospettive delle relazioni fra il Maghreb, da una parte, e l’Europa e l’Unione Europea, dall’altra?

Opportunità per l’Ue
L’aumentata influenza del Golfo è destinata a limitare l’influenza occidentale europea nel Mediterraneo occidentale. Ma questo rappresenterà una passo indietro più per quelle politiche nazionali, come soprattutto quella francese, che restano legate a prospettive passate o strumentali. Per gli altri europei e per l’Ue un’influenza moderatrice dal Golfo e un rapporto più ideologicamente distaccato con i vicini mediterranei può portare solo vantaggi. Tanto più se questi paesi si orienteranno su piattaforme moderate e più stabili perché più inclusive (cioè non volte ad escludere gli islamisti, ovverosia la maggioranza della popolazione).

Certamente, ci saranno dei problemi di diversità morali, cioè di diritti umani, ma su questo punto l’intransigenza (spesso solo retorica) dei governi europei e quella delle opinioni pubbliche dovrebbe essere rimpiazzata da maggiore tolleranza e da un più ampio dialogo, in una prospettiva evolutiva.

Il cambiamento sociale in atto nel Nord Africa marcia verso una convergenza che, mentre può essere favorita da una giusta tolleranza, sarebbe solo ostacolata da una stolida intransigenza. L’orientamento culturale europeo avrà perciò molta importanza nel consolidare i germi democratici che i rivolgimenti in Africa del Nord portano con sé, a cominciare dall’atteggiamento verso l’immigrazione e gli emigrati.

Per altro verso, l’influenza del Golfo potrebbe coinvolgere maggiormente i paesi del Maghreb nel confronto sui palestinesi con Israele. Con dei governi maggiormente basati sul consenso popolare, ciò è comunque destinato a verificarsi. Questo è un problema che va oltre il Maghreb. La sua soluzione richiede all’Europa, accanto a una politica culturale più flessibile, una revisione strategica generale dell’orientamento verso il Medio Oriente e il Nord Africa.

.