Usa e Cina ai ferri corti su Taiwan
Anche quest’anno il rinnovo delle forniture di armamenti da parte degli Stati Uniti all’isola di Taiwan non ha mancato di suscitare tensioni tra Washington, Pechino e Taipei. Con l’aggravante, però, che le maggiori esitazioni mostrate dall’amministrazione americana davanti alla ferma opposizioni della leadership cinese, dovute alla crescente influenza di quest’ultima sull’economia Usa, hanno finito per scontentare tutti i contendenti. Sullo sfondo di questi attriti, in realtà, si gioca la delicata partita regionale per l’influenza nel Pacifico.
IL braccio di ferro tra la Cina e Taiwan non si è mai sopito dalla fine della guerra civile cinese. Quando, nel 1949, le unità comuniste guidate da Mao Tze Tung sconfissero definitivamente quelle nazionaliste, le prime si impadronirono della Cina continentale, instaurandovi un regime comunista, mentre le seconde si ritirarono sull’isola di Taiwan (nota anche come Formosa). Per questo oggi esistono “due” Cine: la Repubblica popolare cinese, o Cina, con capitale Pechino, e la Repubblica di Cina o Taiwan, con capitale Taipei. Nonostante l’interscambio commerciale fra le “due Cine” sia rilevante, entrambi i governi pretendono di essere la “vera” Cina, rifiutandosi di riconoscere formalmente l’altra.
Influenza regionale
Nonostante gli Stati Uniti abbiano riconosciuto il solo governo di Pechino come “vera” Cina, tanto che a Taipei non c’è un’ambasciata ufficiale, l’amicizia e la vicinanza politico-militare con Taiwan non si è mai allentata. Per Washington, infatti, Taiwan è uno dei più antichi alleati nello scacchiere, sempre più importante, del Pacifico. Le recenti manovre navali cinesi ed il futuro ingresso della prima supercarrier (portaerei) di Pechino agitano i sonni del governo statunitense, che in questa fase non può permettersi di trascurare nessun alleato nell’area.
I legami fra Washington e Taipei sono stati alimentati nel corso degli anni anche da cospicue esportazioni di armamenti americani verso la piccola isola, costantemente accompagnate dalle proteste di Pechino. Carri armati, missili ed aerei americani non sono mai mancati a Taiwan, oltre alla deterrenza offerta dalla potente flotta Usa di stanza nel Pacifico.
Nuove forniture
A metà settembre due vecchi aerei F 5 dell’aeronautica militare di Taiwan sono precipitati; secondo fonti ufficiali, la causa è dovuta all’invecchiamento di questi aeroplani, di provenienza statunitense.
Il supporto militare americano è strategico per il governo di Taipei, soprattutto come deterrente di una potenziale invasione cinese. L’aeronautica di Taiwan, in particolare, dopo i recenti incidenti aerei ha richiesto un aggiornamento delle proprie capacità e la sostituzione degli F 5, ormai superati tecnologicamente.
Così Taipei ha chiesto agli Stati Uniti la fornitura di una sessantina di F 16 C/D, una versione avanzata del celebre F 16, in grado di affiancare gli F 16 A/B già a disposizione dell’aeronautica taiwanese.
Le insistenti richieste dell’isola, particolarmente preoccupata dalla crescita militare di Pechino, hanno attirato le forti critiche della Cina, che si è categoricamente opposta a questo tipo di accordo. La fornitura degli F 16 C/D non garantirebbe un vantaggio strategico assoluto a Taiwan, ma ne aggiornerebbe le capacità militari quanto basta per far adirare la Cina. Pechino, infatti, non ha mai smesso di etichettare Taiwan come “provincia ribelle”, né ha mai smentito un possibile ricorso all’uso della forza per “riprendersi” la piccola isola.
Nel contempo, il ministro della difesa taiwanese Kao Hua-chu ha annunciato che intenderà provvedere a un aggiornamento generale degli indigenous defence fighters, cioè una serie di aerei da caccia “autoctoni”, ma ispirati palesemente ai modelli americani. Nelle ambizioni del governo di Taipei la combinazione dei nuovi F 16 con l’aggiornamento del resto della flotta aerea dovrebbe permettere di superare i limiti dei vecchi F 5.
Braccio di ferro
La notizia della richiesta di Taipei a Washington ha scatenato l’immediata reazione della Cina: ogni nuova “iniezione” di tecnologia militare statunitense è vista da Pechino come una ingerenza negli affari domestici, e, come tale, particolarmente sgradita.
Il ruolo di Washington nella sfida fra le “due Cine” è essenziale, e richiede una ponderazione particolare, soprattutto nell’ottica delle attuali relazioni fra Usa e Cina. Una volta le proteste di Pechino potevano essere respinte o ignorate, ma ora il quadro geopolitico, in conseguenza delle relazioni economiche, è decisamente cambiato. Gli Stati Uniti devono quindi stare attenti a non inimicarsi Pechino né, al tempo stesso, a dispiacere troppo Taiwan.
L’amministrazione Obama è così ricorsa ad una soluzione di compromesso, stipulando con Taipei un accordo da quasi sei milioni di dollari per un aggiornamento degli F 16 A/B, senza perciò trasferire la versione successiva F 16 C/D.
L’accordo, formulato in questi termini, ha scontentato entrambi i contendenti: Pechino ha protestato con veemenza, mentre Taipei ha dovuto far buon viso a cattivo gioco, insistendo comunque per i nuovi modelli di F 16.
La partita che si profila, però, va ben oltre le forniture militari di Taiwan, e tocca direttamente le relazioni sino-americane e l’influenza nel Pacifico, in cui Washington, pur non avendo territori (a parte le lontane Hawaii), vuole continuare ad avere peso e voce in capitolo. La Cina, invece, forte della sua crescita economica e dei suoi nuovi sviluppi militari (portaerei, missili antinave e tecnologie stealth) non ha più intenzione di subire l’ingerenza di altre potenze in campi sensibili e riguardanti anche l’integrità nazionale, come, ad esempio, Taiwan.
Se reazioni armate da parte di Pechino sono, ad oggi, estremamente improbabili, questo accordo scontenta entrambe le Cine, e, secondo alcuni, fa anche apparire l’amministrazione Obama più arrendevole e meno decisa agli occhi dell’opinione pubblica americana. Molti parlamentari statunitensi, infatti, stanno criticando la scelta di non voler più sostenere con vigore la piccola isola.
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