Ipoteca islamista su Egitto e Tunisia
Il 23 ottobre prossimo la Tunisia andrà alle urne per eleggere un’assemblea che sarà legislativa e costituente al tempo stesso. Ė il primo test elettorale dopo la sollevazione popolare araba contro i regimi autoritari al potere in Nord Africa e nel Levante. Sarà un test importante anche per le aspettative e le interpretazioni dell’Occidente: le politiche e le strategie emerse con le rivolte necessitano infatti di qualche verifica per uscire dalla situazione fluida in cui versano sia la così detta primavera araba, sia la risposta dell’Occidente.
Circa un mese dopo ci saranno le elezioni in Egitto, in un quadro assai più complesso di quello tunisino, soprattutto a causa del ruolo di questo paese nel mondo arabo. Difficile fare previsioni. Alcune tendenze sembrano tuttavia essersi delineate con nettezza già nei mesi passati.
Dalle avanguardie agli islamisti
Le manifestazioni e i gruppi che hanno contestato i regimi rivendicando, senza indugi, un ricambio democratico alle dittature, non sono state che l’espressione di avanguardie minoritarie. L’assenza di parole d’ordine contro Israele, l’Occidente e gli Stati Uniti e, per contro, l’impronta nettamente liberale dei leader delle piazze in rivolta, l’assenza degli islamisti e il prevalere di giovani istruiti che impiegavano le più moderne tecnologie dell’informazione, hanno proiettato in Occidente un’immagine democratica e filo-occidentale delle rivoluzioni. Queste ultime sono state infatti battezzate dai media come la continuazione delle rivoluzioni “colorate” dell’Est europeo. In realtà, la fase liberale e più o meno occidentalizzante del movimento non ha fatto che aprire la strada alle istanze delle più ampie masse di islamisti e nazionalisti.
Come le avanguardie liberali, queste masse desiderano un regime politico libero, ma intendono salvaguardare gelosamente sia le loro prospettive culturali sia la loro autonomia in tema di rapporti internazionali. Senza essere necessariamente anti-occidentali, tali attori non sono però filo-occidentali, o certamente non lo sono al modo dei dittatori usciti di scena. Le aspirazioni, specialmente quelle delle più giovani generazioni, sono per una più ampia libertà personale e un reddito decente. Fondamentalmente, sono aspirazioni democratiche.
Non sappiamo come potrà essere la sostanza delle democrazie che queste masse emergenti forse riusciranno ad esprimere. Sappiamo di sicuro, però, che in molti aspetti saranno diverse da quelle liberali dell’Occidente. Sappiamo anche, di sicuro, che questa aspirazione democratica si accoppia al desiderio di una più netta affermazione all’indipendenza e alla dignità nazionale in campo internazionale. Obiettivi che, nella percezione della masse arabe, sono stati indebitamente sacrificati dall’alleanza delle dittature con l’Occidente.
Maggioranza relativa
L’evoluzione che c’è stata in Tunisia ed Egitto è in linea con questa dinamica: rapida ascesa della base islamista e ridimensionamento dei gruppi liberali che avevano aperto la pista della rivoluzione. In condizioni diverse, la stessa evoluzione si è osservata in Libia. Mentre lo Yemen resta un caso molto particolare (qui il confronto fra forze democratiche e anti-democratiche è intrecciato con altre tendenze ed è un aspetto secondario di queste ultime), l’evoluzione verso il prevalere di correnti islamiste è osservabile anche in Siria (e favorita dalla tenace resistenza del regime).
Poiché in Egitto e Tunisia i gruppi liberali sono decisamente minoritari e poco o nulla organizzati, è facilmente prevedibile che le prossime elezioni vedano prevalere le correnti islamiste definite moderate. Non, invece, i gruppi salafisti e estremisti, che del resto spesso non prendono neppure parte alle elezioni. Si potrebbero però verificare coalizioni elettorali di islamisti moderati e meno moderati, che porrebbero quindi un’ipoteca sull’attesa evoluzione democratica, creando una situazione di porosità sul lato sinistro. A conti fatti, dunque, sembra destinata ad emergere una maggioranza relativa islamista, che per governare dovrà probabilmente coalizzarsi con forze minori.
Ipoteca salafista
Come si è appena detto, ci sono possibili, anche se deboli, prospettive di ipoteche salafiste sulle forze islamiste di centro, ma forse meno deboli potrebbero essere le ipoteche delle forze che rappresentano i ceti dirigenti e gli interessi dei regimi passati. La manipolazione da parte di questi ultimi è meno evidente in Tunisia – dove tuttavia la stessa transizione è, se non guidata, certo influenzata dal notabilato dell’ancien régime.
È invece incombente in Egitto, dove la transizione si è sempre più chiaramente configurata come un subdolo colpo di stato dei militari. Appare anche che i militari, nell’approfittare della rivolta cittadina per togliere di mezzo Mubarak, lo abbiano tuttavia fatto senza avere idee chiare sui loro stessi obiettivi, o essendo comunque divisi. Sembra di capire che vorrebbero un compromesso conservatore con il segmento centrale della Fratellanza Musulmana e che in questa direzione sarebbero disposti non solo a compiacere le preferenze socio-culturali dei Fratelli, ma anche un qualche loro indirizzo di politica estera, soprattutto nella regione.
Finora, tuttavia, i militari hanno represso senza però esprimere nessun chiaro orientamento. I recenti attacchi ai copti sono una prova di questa fondamentale incertezza dei militari. Essi non reprimono adeguatamente gli attacchi degli estremisti islamisti ai copti perché non sono sicuri di quanto ciò comprometterebbe il loro tentativo di avvicinamento alla Fratellanza, che al suo interno è divisa e, quindi, in parte flirta con i salafisti. Per mettersi al sicuro lasciano fare.
Questa è ovviamente una cattiva ricetta sia di politica interna che estera, e attesta non solo il ruolo fondamentalmente infido dei militari nella transizione egiziana, ma soprattutto la loro incompetenza. Le incertezze dei militari traspaiono chiaramente dal ruolino di marcia istituzionale, con tentativi del Consiglio supremo militare di ritagliarsi riserve di potere, rinvii, etc. È comunque certo che l’elezione di una legislatura senza chiari poteri costituenti e riformatori e il rinvio delle elezioni presidenziali non sono di buon auspicio alla nascita di una democrazia egiziana.
Politica estera anti-occidentale
Dunque abbiamo una prima tendenza all’emergere dei partiti islamisti come partiti di governo e una seconda tendenza a una manipolazione del nuovo da parte del vecchio. Quest’ultima possibilità potrebbe essere sconfitta, potrebbe dar luogo a governi fortemente manipolati e potrebbe anche sfociare in un deciso passo indietro.
Una terza tendenza è che, comunque vadano le cose, e quanto più i nuovi governi saranno espressioni autentiche degli elettori, l’indirizzo di politica estera dei paesi in rivolta è destinato a cambiare in senso anti-occidentale. Questa inclinazione, del resto, è favorita dal recesso dell’Occidente, dovuto sia alla grave e non breve crisi economica e finanziaria, sia ad una scelta di fondo. La strategia dell’amministrazione americana, che due anni fa sembrava desiderare un riavvicinamento con i musulmani e gli arabi anche mostrando maggiore fermezza verso Israele, si è trasformata in una diversa strategia i cui contorni sono poco chiari.
Nodo israelo-palestinese e Turchia
L’obiettivo di un riavvicinamento col mondo musulmano, pur confermato, viene però rinviato al lungo termine, lasciando che le forze emergenti nella regione agiscano senza che l’Occidente tenti ancora di guidarne il cambiamento: “leading from behind”, come è stato detto. In realtà, il ritiro americano e occidentale dai grandiosi progetti e dalle grandiose sconfitte del Grande Medio Oriente è ineluttabile. Un passo indietro può essere, tuttavia, anche utile. Resta però aperto un problema israelo-palestinese, del quale sembra difficile lavarsi le mani.
Questo problema si lega ormai anche all’alleanza dell’Occidente con una Turchia che, contrariamente agli europei, è determinata a seguire un corso anti-isrealiano, che anticipa quello delle future democrazie arabe, su cui ambisce ad affermare un’egemonia politica turca. Fino a un paio di anni fa, le cancellerie occidentali dicevano che la Turchia faceva in Medio Oriente cose che l’Occidente non avrebbe saputo o potuto fare. Non è sicuro che le cose stiano ancora così. In ogni caso, la strategia occidentale verso i cambiamenti in atto può benissimo adottare un più basso profilo. Ma non così basso da permettere che non solo le eventuali democrazie arabe siano ostili all’Occidente, ma siano in questo anche alleate con la Turchia.