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Prova di democrazia

Il voto che premia la Tunisia

27 Ott 2011 - Silvia Colombo - Silvia Colombo

La Tunisia ha superato la prova. Al di là di quali saranno i risultati finali, le prime elezioni democratiche svoltesi domenica 23 ottobre sono state accolte come un successo sia all’interno che all’esterno del paese.

La transizione del dopo Ben Ali, iniziata il 14 gennaio 2011, è in corso da appena dieci mesi e le sfide che il paese deve affrontare sono molteplici. Ma il popolo tunisino ha dimostrato una maturità politica e un senso civico che dovrebbero far riflettere anche alcune delle democrazie più consolidate.

La conquista della maggioranza relativa da parte del partito d’ispirazione islamica moderato Ennahda ha introdotto un’ulteriore novità non soltanto nel panorama politico tunisino, ma in generale in tutta la regione, in profonda trasformazione, del Mediterraneo del Sud. Non a caso dal Cairo a Damasco, da Rabat a Sirte, tutto il mondo arabo ha guardato con interesse, e con una punta d’invidia, al primo passaggio chiave compiuto domenica dalla Tunisia verso la democrazia.

Ora che le strade dei paesi che hanno sperimentato la primavera araba si stanno sempre più divaricando e la regione appare più frammentata che mai, la Tunisia, dove un’ondata rivoluzionaria è partita, potrebbe diventare il laboratorio del nuovo Mediterraneo.

Nuova Costituzione
All’indomani della caduta del regime di Ben Ali, con l’abrogazione della Costituzione, lo scioglimento del parlamento, del Consiglio economico e sociale e del Rassemblemblement Constitutionnel Démocratique, (Rcd) del presidente deposto, il processo di transizione è stato posto sotto la guida di una Commissione, la Haute instance pour la réalisation des objectifs de la révolution, la réforme politique et la transition démocratique, composta dai rappresentanti dei nuovi partiti politici, dei sindacati e di alcune organizzazioni della società civile impegnate nella difesa dei diritti umani, per un totale di 155 membri.

Operando sotto il controllo di questo organismo, la Commissione elettorale indipendente – conosciuta con la sigla Isie, dall’acronimo francese – ha dato prova d’indipendenza e competenza. Il risultato principale è l’adozione della nuova legge elettorale. Si tratta di un sistema completamente proporzionale a lista chiusa che, secondo alcuni osservatori, avrebbe lo svantaggio di produrre un’Assemblea altamente frammentata, visto l’elevatissimo numero di partiti che hanno partecipato alle elezioni.

Sono infatti oltre 111 i partiti ufficialmente riconosciuti dalla caduta del regime di Ben Ali, la maggior parte dei quali non esisteva prima del 14 gennaio 2011. Questi si sono contesi i 217 seggi dell’Assemblea Costituente incaricata, nell’arco di un anno, di redigere la nuova Costituzione, di dar vita a un governo e di fungere da organo legislativo. Si tratta di una grande responsabilità alla luce delle sfide che ha davanti il paese e della debolezza dimostrata dai governi di transizione susseguitisi fino ad oggi.

Numerosi rimpasti di governo, volti ad esorcizzare qualsiasi accusa di compromissione con il vecchio e corrotto sistema di potere, insieme all’avvicendamento di due primi ministri, non sono bastati a risolvere i gravi problemi del paese: la crisi economica e gli elevati tassi di disoccupazione, fattori alla radice delle proteste che hanno scardinato il regime di Ben Ali, ulteriormente aggravati dalla generale instabilità degli ultimi mesi e dalla caduta delle rendite derivate dal turismo.

Battaglia elettorale
Le elezioni di domenica 23 ottobre (inizialmente previste per il 24 luglio) nei 27 distretti del paese hanno registrato la presenza di migliaia di osservatori interni e internazionali, quasi a voler sancire la netta cesura con l’era Ben Ali, quando le elezioni si riducevano a un plebiscito a favore del presidente.

Come ci si aspettava, la battaglia si è giocata tra il partito Ennahda e i contendenti d’impostazione secolare, tra i quali spiccano il Partito progressista democratico (Pdp), il partito del Congresso per la Repubblica (Cpr), fondato da un attivista per i diritti umani rimasto per molti anni in esilio in Francia, e il Forum democratico per il lavoro e le libertà, meglio conosciuto con il nome arabo Ettakatol (forum).

Il Pdp, inizialmente ritenuto in grado di bilanciare la popolarità di Ennahda, non è riuscito a raccogliere consensi significativi e ha anche dichiarato di non voler entrare in un governo di coalizione con il partito d’ispirazione religiosa. Gli altri due partiti sembrano invece ben posizionati per entrare a far parte del nuovo esecutivo, visto che lo stesso Ennahda ha più volte sostenuto la necessità formare un governo di unità nazionale che rappresenti tutte le componenti politiche che erano represse sotto il regime di Ben Ali.

Il successo di Ennahda, che in base ai risultati finora resi pubblici si è aggiudicato 90 seggi, ossia più del 40%, si fonda proprio sulla necessità di rompere definitivamente con il passato. Con il rientro in Tunisia del suo leader storico, Rachid Ghannouchi, il 30 gennaio 2011 dopo 20 anni di esilio, e con la legalizzazione ufficiale di Ennahda il 1° marzo, è iniziata la parabola ascendente di un partito islamista moderato che ricorda il Partito giustizia e sviluppo marocchino e l’omonimo turco Akp.

Il partito si è radicato in ogni angolo del paese, grazie anche all’organizzazione di molte manifestazioni e all’apertura di più di 200 uffici in tutta la Tunisia. La realizzazione del suo quartier generale nella periferia di Tunisi rappresenta forse l’operazione politica di maggior successo.

Con una mossa che è stata criticata da alcuni suoi detrattori, il partito di Ghannouchi prima delle elezioni ha deciso di abbandonare il termine islamista e di adottare invece un semplice riferimento all’ispirazione islamica. Secondo i critici si tratta soltanto di un tentativo di rassicurare il pubblico occidentale preoccupato dall’ascesa dei movimenti e dei partiti islamisti in tutta la regione mediterranea. Soltanto i prossimi mesi, durante i quali il contenzioso potrebbe ridursi alla definizione del primo articolo della nuova Costituzione, potranno permettere di verificare se l’accusa sia fondata o meno.

Resta il fatto che Ennahda si è più volte espressa a favore della separazione dei poteri, della democrazia, dell’economia di mercato e dei diritti delle donne, in un paese che da questo punto di vista è il più avanzato nella regione.

Oltre i tabù
Il successo delle elezioni tunisine può essere valutato sia in termini quantitativi che qualitativi: un buon punto di partenza per un paese che aspira a divenire una giovane democrazia. In primo luogo, la partecipazione è stata superiore alle aspettative. Secondo i dati dell’Isie, circa il 90% dei quattro milioni e centomila tunisini che si erano registrati a luglio si è recato alle urne. Altri tre milioni e centomila tunisini aventi diritto non si sono registrati e di questi non si conosce il tasso di partecipazione.

Inoltre, lo svolgimento pacifico delle elezioni e il riconoscimento e l’accettazione da parte di tutte le forze politiche della vittoria di Ennahda, nonostante gli scontri tra i giovani e la polizia delle ultime ore, costituisce una novità non solo per il paese, ma per l’intera regione. Il rischio di una nuova Algeria della fine degli anni ottanta e inizio anni novanta o di una nuova frattura tra islamisti e laici come nel caso di Hamas e Fatah dopo le elezioni del 2006 è stato scongiurato.

Nonostante i problemi aperti siano ancora numerosi, dalla necessità di un accordo sulla legge sui partiti politici e sul loro finanziamento, al ripristino totale della sicurezza – particolarmente fragile anche a causa dell’instabilità nella vicina Libia – il paese sembra avviato sulla buona strada.

Il compito dell’Occidente, e dell’Europa in particolare, è di sostenere questo processo, a partire dal riconoscimento che la transizione tunisina è pienamente in linea con gli obiettivi di lungo termine promossi dall’Unione europea, spesso in maniera poco convinta, nella regione negli ultimi vent’anni .

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