Passa per Parigi la corsa al dopo-Gheddafi
Scenari di guerra a una conferenza di pace. Gli amici della Libia s’incontrano a Parigi per discutere di transizione e di ricostruzione, ma – complici le sortite di Muammar Gheddafi – il conflitto resta ben attuale sullo sfondo della riunione: la missione della Nato continuerà “fin quando vi saranno civili a rischio”, afferma il segretario di Stato Usa Hillary Clinton. La frase diventa un ritornello: il premier italiano Silvio Berlusconi, “l’impegno proseguirà fino alla liberazione del paese”, il presidente francese Nicolas Sarkozy, “i raid dell’Alleanza continueranno finché Gheddafi sarà una minaccia”; il premier britannico David Cameron, “l’intervento militare non è finito”.
Fino alla fine
Affermazioni che fanno eco all’appello lanciato dal colonnello dittatore, in coincidenza con l’inizio della conferenza all’Eliseo, giovedì primo settembre, a “proseguire la resistenza”. Il rais sostiene che vi sono divergenze tra la Nato e gli insorti ed esorta le tribù a “mettere il paese a ferro e fuoco”: “Non ci arrenderemo mai, non siamo donnicciole”. A lavori finiti, poi, torna a farsi sentire: lancia accuse all’Alleanza, annuncia piani di guerriglia.
Con ironia forse inconscia, il protocollo della presidenza francese per accogliere le delegazioni, allestisce una tenda nei giardini dell’Hotel Marigny, proprio là dove, nel 2007, per la sua ultima visita a Parigi, il colonnello dittatore pretese di piantare la sua in stile beduino. Le foto della tenda di Gheddafi presso l’Eliseo furono poi cancellate, tra le polemiche, dal sito della presidenza francese quando il regime libico divenne ufficialmente non gradito a Parigi.
Transizione alla democrazia e ricostruzione sono i temi di fondo della conferenza internazionale co-presieduta da Francia e Gran Bretagna e ‘benedetta’ dagli Stati Uniti: vi partecipano una sessantina di delegazioni, con 12 capi di Stato, 17 capi di governo, una ventina di ministri ed i rappresentanti di varie organizzazioni internazionali. Il presidente francese Sarkozy e il premier britannico Cameron hanno accanto i capi del Consiglio nazionale di transizione, il Cnt, l’organo politico dell’insurrezione libica.
Ultimatum
L’appuntamento coincide con una giornata di eventi libici frenetici e contraddittori. Gli insorti prorogano di una settimana, fino a venerdì 9 settembre, l’ultimatum ai lealisti circondati alla Sirte, sostenendo di punto in bianco che quella località non è poi così strategica, mentre ci sono conferme da varie fonti che Gheddafi sarebbe a Bani Walid, un centinaio di chilometri a sud-est di Tripoli.
Numerose informazioni indicano che il suo clan sta sgretolandosi: un figlio, Saif, è aggressivo e minaccioso; un altro, Saadi, tratta la resa; l’ex premier Al Baghdadi Al Mahmoud defeziona; il ministro degli esteri Abdelati Obeidi è agli arresti. Al Arabyia dice che esponenti del regime stanno scappando in queste ore in Algeria e in Egitto.
A Parigi non ci sono solo i paesi del Gruppo di Contatto protagonisti dell’intervento militare contro il regime del colonnello. Ci sono pure, ad esempio, la Germania, con il cancelliere Angela Merkel, che è rimasta fuori dal conflitto e che ora promettere “un aiuto tedesco riconoscibile”; e ancora Russia, Cina e India, tutte contrarie all’azione di forza. L’invito franco-britannico non è stato, invece, accettato da Arabia Saudita, Nigeria e Sudafrica.
In occasione della conferenza, alcuni governi che non l’avevano ancora fatto riconoscono il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) come interlocutore legittimo. Mosca e Pechino, rispettivamente, accettano il Cnt o come “autorità al potere” o come entità dotata “di un ruolo importante per la soluzione della crisi libica”. L’Algeria, protagonista di uno screzio con i ribelli per avere accolto sul proprio territorio familiari del dittatore, s’impegna a riconoscere il Cnt non appena formato “un nuovo governo rappresentativo di tutte la Regioni del paese”; e nega di avere mai pensato di dare asilo a Gheddafi. Distonica, e non è la prima volta in questa crisi, la posizione dell’Unione africana, non ancora pronta a riconoscere il Cnt.
Ricostruzione
Oltre che di transizione, all’Eliseo si parla, ovviamente, di ricostruzione e, quindi, dello sblocco delle decine di miliardi di dollari di averi libici depositati da esponenti del regime in banche estere e ora congelati. Alla fine di agosto, solo tre tranches di 1,5 miliardi di dollari o di euro ciascuna erano state liberate da Usa, Francia e Gran Bretagna, mentre gli altri Paesi erano stati più reticenti (e l’Italia aveva promesso un anticipo sui beni bloccati). La conferenza concorda sullo scongelamento di 15 miliardi, anche se su cifra, tempi e modalità c’è qualche confusione; un gesto in qualche modo legato alla promessa del Cnt di un ‘dopo Gheddafi’ intriso di democrazia, stabilità e riconciliazione.
Per l’Italia, Berlusconi dice: “faremo il possibile per aiutare la Libia”; e scongela beni per 500 milioni di euro. L’Ue toglie sanzioni contro 28 “entità economiche libiche”, fra cui porti, banche e aziende petrolifere. E lady Ashton prospetta un coordinamento Ue/Nato per l’addestramento delle forze di sicurezza della nuova Libia.
Dal canto suo, il Cnt dà assicurazioni politiche ed economiche e s’impegna ad assegnare i contratti sul greggio senza favoritismi. La conferenza è pure una tappa della sfida per il petrolio e il gas libici: l’Italia, anche grazie agli accordi conclusi dall’Eni lunedì scorso a Tripoli, resta in prima fila – e Berlusconi afferma che il gasdotto GreenStream sarà di nuovo in funzione alla metà di ottobre -, ma la Francia si sarebbe già aggiudicata il 35% delle risorse petrolifere del paese ‘liberato’ – rivelato da fonti di stampa, il patto è successivamente smentito sia dal Cnt che da Parigi. “L’Italia manterrà quel che aveva: eravamo il primo partner economico bilaterale della Libia e lo resteremo”, assicura in un’intervista televisiva il ministro degli esteri Franco Frattini
Italia e Francia
La corsa al ‘dopo Gheddafi’ tra Francia e Italia prosegue pure sul terreno diplomatico. Due giorni dopo la riapertura dell’ambasciata di Parigi a Tripoli, l’Italia nomina giovedì il nuovo ambasciatore, Giuseppe Buccino Grimaldi; e venerdì la bandiera tricolore torna a sventolare sull’ambasciata, dove c’è già un team di funzionari.
L’Ue ha riaperto mercoledì i propri uffici e ha in città una missione, guidata dall’italiano Agostino Miozzo, responsabile del coordinamento delle aree di crisi. E Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite, annuncia che presto ne arriverà una dell’Onu.
Invece, per una volta, Sarkozy mette dell’acqua nel suo vino: “Non andrò in visita a Tripoli – dice -, prima che ci sia un nuovo presidente”. Ci vorrà un po’ di tempo, perché gli esponenti del Cnt, spesso in passato collusi col regime, ribadiscono l’intenzione di non assumere incarichi nel ‘dopo Gheddafi’.
La Clinton lascia Parigi con un monito al Cnt: i nuovi leader “lottino contro l’estremismo ed evitino il bagno di sangue dei regolamenti di conti”. Anche su questo, Sarkozy e gli altri ‘big’ le fanno eco: il Cnt garantisca “riconciliazione e perdono”. Dimenticato nulla?, ‘amici della Libia’? Ah sì, ci sarebbe la Siria, dove la repressione della protesta va avanti sanguinosa. La linea di Hillary è condivisa: “Inasprire sanzioni per cacciare” il presidente Bachar al-Assad. Ma a farci una guerra, nessuno ci pensa.
.