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Confini e risorse energetiche

La bandiera turca sventola nel Mar di Levante

28 Set 2011 - Fabio Caffio - Fabio Caffio

Da tempo la Turchia ha preso il largo nel mare della politica internazionale seguendo nuove rotte, la cui destinazione appare essere sempre più l’antica area di influenza ottomana. Al di là della metafora, la Turchia ha ora effettivamente cominciato a navigare da sola nelle acque agitate del Mediterraneo orientale che circondano Cipro e lambiscono la Grecia, l’Egitto, Israele ed il Libano.

L’attivismo marittimo turco – che a ben vedere è una forma di quel movimentismo recentemente messo in luce su questa rivista da Gianni Bonvicini – si è manifestato d’improvviso come fattore del contenzioso tra Cipro e il Libano sulla estensione della rispettiva Zona economica esclusiva (Zee) e sui diritti di sfruttamento della sottostante piattaforma continentale.

Potere navale
La Turchia si è infatti presentata da un lato come avvocato del Libano nella disputa con Israele per i ricchi giacimenti di gas, e dall’altro come garante dell’interesse dell’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord (Rtcn) per ottenere parte dei proventi che Cipro realizzerà dall’attività estrattiva.

Ma ha sorpreso soprattutto l’aperta rivendicazione turca di quell’estremo lembo dell’Egeo tra Cipro e l’isola greca di Castelorizo (la Castelrosso del Dodecanneso italiano e la Megisti ottomana), che di fatto significa l’inizio di una nuova fase della questione dell’Egeo che era “in sonno” da anni.

Non ultimo elemento del nascente potere navale turco, l’annuncio che forze navali, oltre a presidiare le aree contestate, avrebbero sorvegliato la zona del blocco navale israeliano di Gaza per impedire il fermo di navi di bandiera turca.

Dopo che son trascorsi cinque secoli da quando, nel 1573, il sultano Selim II sottrasse Cipro alla Serenissima, sul Mar di Levante sembra essere in sostanza riapparsa la Mezzaluna ottomana con l’obiettivo di mostrare la bandiera per tutelare gli interessi strategici della nuova Turchia di Erdogan.

Cipro non recede
Nulla sembra poter minare la piena integrazione politica di Cipro nell’Ue, soprattutto ora che l’isola si accinge ad assumerne la presidenza di turno, nella seconda metà del 2012. Nemmeno le minacce della Turchia di congelare le proprie relazioni con la Ue, o di delimitare a oriente le Zee tra le sue coste e quelle della Rtcn nel caso che Cipro avesse continuato nelle trivellazioni a sud est. La Turchia richiede principalmente che vi sia un’equa spartizione delle risorse energetiche dell’isola tra la comunità greca e quella turca.

Nell’opporsi alle licenze concesse da Cipro alla statunitense “Noble Energy” nel block 12 della propria piattaforma continentale, la Turchia cerca anche, però, di assecondare le pretese libanesi ad un’area di circa ottocento chilometri quadrati che Cipro ed Israele si sono spartita.

Forte dell’appoggio dell’Ue, Cipro non intende dunque rinunciare ai diritti di sfruttamento dei fondali antistanti Israele e non si lascia intimorire dal dispiegamento di forze aeronavali turche nell’area contestata.

Da parte dell’Ue giungono tuttavia a Nicosia inviti a concedere eque compensazioni finanziarie alla comunità turco-cipriota. Quanto all’eventuale delimitazione degli spazi marittimi tra la Turchia e la Rtnc, il governo di Nicosia non sembra eccessivamente preoccupato: la Turchia è infatti l’unico paese a riconoscere la stessa Rtnc e quindi l’accordo varrebbe solo tra le due parti.

Questione Egeo
Nel marzo 1987 Grecia e Turchia giunsero molto vicini allo scontro armato per una nave da ricerca turca operante in pretese acque greche. Ora la Turchia preannuncia l’avvio di nuove prospezioni affidate a naviglio norvegese in un’area a sud di Castelorizo (che è a 60 miglia da Rodi ed a sole due miglia dalla costa turca). Si tratta di una provocazione o non è piuttosto il sintomo del riacutizzarsi di una controversia troppo a lungo sopita grazie ai buoni uffici degli Stati Uniti, della Nato e dell’Ue?

La disputa sulla estensione della rispettiva piattaforma continentale ebbe origine nel 1973, quando la Turchia regolamentò unilateralmente la concessione di permessi di esplorazione mineraria su zone di fondo marino prospicienti alcune isole greche.

La tesi turca era che lo studio geomorfologico del fondo dell’Egeo proverebbe l’esistenza di vasti spazi che costituiscono il prolungamento naturale dell’Anatolia: le isole greche adiacenti alla costa turca non possederebbero quindi una specifica piattaforma al di là del limite delle proprie acque territoriali, costituendo al più delle “circostanze speciali” di cui tener conto in modo limitato.

Secondo la tesi della Grecia le isole hanno invece titolo ad una piattaforma oltre il mare territoriale, sicché la piattaforma turca dovrebbe essere limitata al ristrettissimo spazio che le separa dalla costa.

Il tentativo di risolvere la contesa avanti la Corte internazionale di giustizia (Icj) non aveva avuto esito per il rifiuto della Turchia di accordarsi nel deferire il caso alla Corte, privilegiando invece la via dell’accordo politico.

Oltretutto la Turchia non ha mai ratificato la Convenzione del diritto del mare (Unclos) per rimarcare il suo dissenso rispetto al nuovo istituto della Zee ed all’estensione delle acque territoriali a 12 miglia.

In tratteggio le aree aperte alla ricerca dalla Turchia nel 1973 (fonte: Ministero degli Esteri ellenico).

Prudenza greca
Il ministro degli esteri greco Stavros Lambrinidis, parlando all’Onu lo scorso 23 settembre, nonostante abbia sottolineato il carattere ostile di quella che ha chiamato la “retorica” turca, ha ricordato che in tempi recenti i due paesi avevano intrapreso colloqui per cooperare nella soluzione della controversia. Ed ha precisato che se le trattative non avessero esito, non resterebbe che il deferire il caso alla Icj (peraltro la Turchia sembra ora non contraria ad accettare soluzioni giurisdizionali).

La Grecia appare dunque cauta nel reagire all’attivismo turco, delegando forse a Cipro il ruolo di contrastare, con le armi diplomatiche della Ue, il “movimentismo” turco che in ultima analisi sembra volto ad ostacolare il processo di riunificazione dell’isola.

Settori dell’opinione pubblica greca non rinunciano tuttavia ad accarezzare il sogno di una proclamazione unilaterale della Zee greca fin sotto le coste turche, suggerendo a questo fine una politica di “nazionalizzazione” della miriade di isolotti disabitati un tempo sotto sovranità ottomana, che ora potrebbero servire quali capisaldi della frontiera marittima.

Proprio come quelli prospicienti Castelorizo che, se così fosse, avrebbero un effetto determinante sia nella definizione della mediana con la Turchia, sia nella individuazione del punto di incontro delle Zee di Grecia, Turchia, Egitto e Cipro.

Grazie alla piccola Castelorizo ed agli ancor più piccoli isolotti che la circondano, la Grecia guadagnerebbe un’area di Zee di circa cinquemila chilometri quadrati. Tra l’altro in ambito mediterraneo vengono segnali da parte di Malta (che ha pubblicato un bando per concessioni petrolifere in una vastissima area, in cui ricadono zone di interesse italiano e libico) che incoraggiano in certo modo la difesa ad oltranza delle posizioni nazionali.

Raffreddare la tensione
Evitare un aggravarsi della crisi del Mar di Levante e dell’Egeo è una priorità di tutti ed anche alla Turchia, che nonostante il nuovo corso di politica estera rimane ancora legata alla Nato ed ai principi di legalità internazionale. Da questo punto di vista l’impiego delle forze navali a protezione delle attività estrattive appare come una misura unilaterale tattica, essendo priva di base giuridica.

La via della cooperazione e della soluzione arbitrale della controversia non può che essere l’unica, come del resto auspicato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu sin dal 1976 con la Risoluzione 395, quando invitò le parti “to resume direct negotiations over their differences”.

L’importante è che paesi terzi non giochino ad alzare la tensione. La Ue dovrà lavorare in questo senso. Oltretutto Grecia e Turchia hanno già siglato in passato accordi per evitare incidenti in mare, nel quadro di misure di confidenza reciproca come quelle stabilite dalla Dichiarazione di Madrid del 1997: è ora il momento di verificarne l’applicabilità.

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