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Governo economico mondiale

Lo stretto sentiero tra G20 e G2

30 Ago 2011 - Mario Sarcinelli - Mario Sarcinelli

L’insoddisfazione per il governamento (governance) economico mondiale è palpabile, non solo per gli scarsi risultati conseguiti dopo la crisi, ma anche per le strutture istituzionali, elitarie e spesso tradizionali. La prima forma di frustrazione è sentita soprattutto dai realisti, che vedono i crescenti limiti degli strumenti a disposizione. La seconda è avvertita da quanti ritengono che vi sia un serio problema di rappresentatività e di equità nel governamento economico mondiale, dominato da un’oligarchia di antiche potenze.

Fine di un’epoca
Occupiamoci della seconda dimensione: dalla fine della seconda guerra mondiale v’è stato un predominio occidentale che ha mantenuto a capo di constituencies del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale (Bm) persino piccoli paesi europei come il Belgio e i Paesi Bassi, nonostante il loro passato coloniale; l’impegno a ridurre entro il 2012 il numero dei seggi occupati dagli europei, senza la Russia, da otto a sei è stato preso soltanto nel 2010 a Gyeongju dai Ministri delle Finanze e dai Governatori del G20. Furono necessari la caduta del sistema di Bretton Woods e i due shock petroliferi perché l’Occidente decidesse di concentrare la direzione strategica del governamento economico dapprima nel Gruppo dei Cinque, successivamente allargato, non senza tensioni, al Canada e all’Italia.

Intanto, la dissoluzione dell’impero sovietico e le necessità energetiche soprattutto dell’Europa resero necessario l’allargamento alla Russia, mentre i tassi di crescita soprattutto di Cina ed India hanno fatto sì che nei primi dieci anni del secolo in corso il G7 vedesse cadere la propria quota relativa del Pil mondiale dal 50 al 40 per cento circa. Per alcuni anni, la presidenza di turno del G7-8 ha cercato di gestire il mutamento degli equilibri economico-politici attraverso una serie di inviti a paesi e personalità emergenti affinché partecipassero a parte del vertice.

La pressione dei paesi emergenti e la sensibilità americana al riguardo portò a istituire un G20 (che annovera oggi anche due “ospiti”) promosso nel 1999 dai paesi industrializzati e preceduto qualche anno prima dagli scomparsi G22 e G33. È al G20 che, dopo la crisi del 2008 dovuta al fallimento di Lehman Brothers, è stato affidato il compito di indirizzare la politica economica internazionale, riformare il sistema finanziario mondiale, esercitare una sorta di alta sorveglianza su tutti gli aspetti economici e accentrare responsabilità che già erano del G8. Il sesto incontro a livello dei capi di Stato e di governo si avrà prossimamente a Cannes, sotto presidenza francese.

Riforme insufficienti
È questo un assetto che può ritenersi rispondente non solo agli equilibri politico-economici, ma anche ai desideri e alle aspirazioni di rappresentatività e democrazia universale? Pare proprio di no, se si prendono come pietra di paragone le Nazioni Unite e, soprattutto, se si esamina quanto istituzioni come il Fmi, la Bm e l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) si siano allontanate dalle regole e dagli ideali della cooperazione inclusiva ipotizzata alla loro creazione.

Lo spostamento dalle problematiche economico-monetarie globali al perseguimento di riforme strutturali in singoli paesi in via di sviluppo ha introdotto la condizionalità – si afferma – come fonte di ineguaglianza. Il sistema di governamento economico globale, perciò, è imperfetto, incapace di assicurare stabilità e crescita, determinando una marginalizzazione dei paesi in via di sviluppo. Per mettere riparo a tutto ciò, si invocano riforme istituzionali (composizione degli organi decisionali, parità del voto, abolizione del diritto di veto, ecc.), con ridefinizione dei ruoli delle diverse istituzioni. Ritenere che queste riforme a carattere “democratico” pienamente rispondenti al governo degli uomini, da parte degli uomini e per gli uomini, possano valere anche per gli stati è, e forse rimarrà per sempre, una nobile utopia.

Contentiamoci, quindi, del G20 e speriamo che abbia quella capacità di coordinamento che al vertice di Seul gli è stata attribuita e che è pur sempre informata al principio dell’universalismo di mercato. L’equilibrio che è stato raggiunto lo possiamo ritenere stabile? Prima di tutto, il G20 è un gruppo tutt’altro che omogeneo e con interessi dei singoli membri spesso divergenti, ad esempio in tema di liberalizzazioni. Nella necessariamente lenta ricostruzione dell’architettura finanziaria internazionale, la crisi post 2007 ha stimolato l’espansione e la creazione di nuovi meccanismi, anche unilaterali, come il controllo sugli afflussi di capitale, cui anche il Fmi si è da ultimo acconciato.

Frammentazione
L’ordine finanziario internazionale è ancora in uno stadio in cui le riforme da applicare domani rischiano di essere fortemente condizionate o frustrate da quanto sta ancora accadendo oggi, sul modello di ciò che condusse alla crisi ieri. Non mancano gli studiosi, tra cui Eric Helleiner, secondo i quali siamo entrati in un periodo di transizione in cui qualsiasi iniziativa è più probabile che conduca a una frammentazione del sistema globale per le crescenti tensioni normative nei fori multilaterali. L’insuccesso di Doha ne è un esempio.

Sempre più si parla, però, di un governamento del mondo concentrato nelle mani degli Stati Uniti e della Cina, i primi in una fase di ridimensionamento del loro ruolo, la seconda alla riconquista di una supremazia che fu sua per alcuni millenni. I rapporti bilaterali tra i due paesi sembrano costituire, secondo Andrew Walter, una base fragile e problematica per un governamento economico globale, poiché essi non sono in grado di risolvere da soli, per ragioni di politica interna e di potere, i cruciali problemi degli sbilanci nei pagamenti, né i legami degli stessi con la riforma del sistema monetario internazionale.

Anche Geoffrey Garrett riconosce che vi sono punti di tensione nelle relazioni sino-americane, ma tende a credere che esse rimarranno confinate al campo degli affari e delle bilance dei pagamenti, senza tradursi in una rivalità geo-strategica. Infatti, ambedue sembrano aver deciso che il G2 debba rimanere incluso nel G20, un’istanza multilaterale che sarà al di sopra delle esistenti istituzioni di governamento globale, senza rimpiazzarle. Il primo ministro britannico, David Cameron, sembra aver dichiarato che il G20 non è più nella “sua fase eroica”. Ma ciò non significa che non potrà presiedere alla trasformazione degli attuali, precari equilibri. Che la fortuna lo assista…

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