Prova di forza all’Onu sullo Stato palestinese
Sembra ormai certo che entro settembre l’Autorità nazionale palestinese (Anp) farà appello alle Nazioni Unite affinché riconoscano il diritto all’indipendenza per uno stato palestinese basato sui confini del 1967 e con capitale a Gerusalemme est.
Il piano prevede inoltre una richiesta formale d’ammissione all’Onu per lo stato palestinese, che diventerebbe così membro a tutti gli effetti delle Nazioni Unite.
Dopo vent’anni di falliti tentativi di riattivare il processo di pace (dal 2008 a oggi ci sono stati solo ventiquattro giorni di colloqui “diretti” tra Israele e l’Anp), i palestinesi sembrano aver perso fiducia nel negoziato bilaterale e hanno perciò deciso di puntare sul riconoscimento dell’indipendenza da parte dell’Assemblea generale dell’Onu, dove siedono i rappresentanti di tutti i 193 Stati membri dell’organizzazione mondiale.
Israele e Stati Uniti vogliono però evitare a tutti i costi che si arrivi ad un voto all’Onu. Si prospettano quindi due mesi di intensa battaglia diplomatica In verità, l’unica possibilità di evitare il voto all’Onu sarebbe una ripresa dei negoziati, che sono fermi dal settembre 2010, ma nessuna delle due parti è pronta a riavviarli.
Nonostante ciò, il Quartetto per il Medio Oriente – composto da Ue, Russia, Onu e Stati Uniti – si è incontrato l’11 luglio a Washington per tentare di rilanciare il processo di pace. Voluto fortemente dall’Unione europea, l’incontro non ha prodotto risultati. La prova di forza alle Nazioni Unite è diventata quindi sempre più probabile.
Caccia al voto
Per essere adottata dall’Assemblea generale, la risoluzione palestinese deve essere approvata da almeno due terzi degli stati membri dell’Onu – ossia 129 paesi. Attualmente i palestinesi possono contare sul sostegno di almeno 122 stati – perlopiù paesi non allineati e a maggioranza musulmana – ma alcuni paesi dell’Unione europea, tra cui Belgio, Irlanda, Malta, Portogallo e Svezia, potrebbero votare a favore.
Anche Francia, Spagna e Inghilterra hanno lasciato intendere che potrebbero appoggiare la risoluzione palestinese, specificando però che preferirebbero una ripresa dei negoziati. L’Unione europea potrebbe giocare un ruolo importante, ma difficilmente i ventisette membri dell’Ue riusciranno a trovare una posizione comune. L’Anp ritiene comunque che riuscirà a ottenere il sostegno di almeno 130-140 stati, raggiungendo così la maggioranza richiesta per il passaggio della risoluzione.
Gli unici paesi ad aver pubblicamente espresso la loro contrarietà all’iniziativa palestinese sono il Canada, l’Italia, la Germania, l’Olanda, gli Stati Uniti e Israele.
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che è già stato in visita a Berlino, Roma, Londra e Parigi, ha recentemente ottenuto anche l’appoggio della Romania. Gli israeliani mirano a dar vita a quella che definiscono una maggioranza “morale” all’interno dell’Assemblea generale. Secondo il giornale israeliano Haaretz, che ha reso noto il contenuto di alcuni documenti diplomatici, Israele tenterà di convincere, in particolare, i paesi dell’est Europa ad opporsi al piano palestinese.
Lo spettro del veto Usa
Consci del fatto che una dichiarazione di indipendenza non sarebbe vincolante senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza Onu, dove molto probabilmente verrebbe bloccata dal veto americano, membri dell’Ap hanno più volte dichiarato di preferire una ripresa dei negoziati alla presentazione del ricorso alle Nazioni Unite.
Il governo di Netanyahu continua però a respingere la richiesta palestinese di bloccare gli insediamenti israeliani nei territori occupati. L’Anp sembra perciò rassegnata alla prospettiva di un nuovo scontro diplomatico sia con Israele che con gli Stati Uniti. Va ricordato che nel febbraio 2011, Washington pose il veto al Consiglio di sicurezza Onu su una risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani.
Sebbene ancora non si conosca l’esatto contenuto della risoluzione palestinese, è pressoché certo che gli Stati Uniti ricorrerebbero al veto per bloccarla al Consiglio di sicurezza.
L’Anp può invece sperare, come detto, di riuscire a far passare una risoluzione all’Assemblea generale. Sarebbe una risoluzione priva di vincoli legali, ma pur sempre politicamente significativa in quanto sancirebbe un ampio consenso internazionale in favore del diritto dei palestinesi ad autodeterminarsi anche attraverso la creazione di uno Stato indipendente.
Gli stessi palestinesi riconoscono che questa sarebbe una vittoria perlopiù simbolica, ma che accrescerebbe l’isolamento internazionale d’Israele e potrebbe anche aprire la strada a possibili richieste di sanzioni internazionali nei confronti di Tel Aviv.
Il presidente dell’Ap, Mahmoud Abbas, in un articolo pubblicato sul New York Times il 16 maggio scorso, ha sottolineato che, se lo Stato palestinese divenisse membro delle Nazioni Unite – ma occorrerebbe il consenso del Consiglio di Sicurezza – si verificherebbe un’internazionalizzazione del conflitto non solo in ambito politico, ma anche legale. In particolare, i palestinesi acquisirebbero il diritto di far ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia.
Internazionalizzazione del conflitto
Non è un caso che sia stata scelto settembre 2011 come data per la dichiarazione di indipendenza. Nell’agosto 2009, il primo ministro palestinese Salam Fayyad, affermò che nell’arco di due anni i palestinesi avrebbero completato tutti i passi istituzionali e governativi necessari per la creazione di uno stato indipendente, anche in assenza di un accordo di pace con Israele.
Va notato peraltro che attori internazionali chiave, come il Quartetto per il Medio Oriente, la Banca Mondiale, il Fondo monetario internazionale e le Nazioni Unite hanno tutti dichiarato che le istituzioni palestinesi sono pronte per la creazione di uno stato indipendente.
Anche all’interno d’Israele si sono alzate voci di sostegno. Il 21 aprile scorso più di sessanta personaggi di spicco dal mondo dell’arte, della letteratura e delle scienze hanno firmato una dichiarazione di appoggio alla creazione di uno stato palestinese. Il 15 luglio più di 2000 persone hanno partecipato a una “marcia per l’indipendenza” organizzata da israeliani e palestinesi a Gerusalemme.
Israele vuole evitare che la questione palestinese finisca in contesti multilaterali, come l’Onu, dove i principi del diritto internazionale giocano a suo sfavore e c’è una netta maggioranza a sostegno dei palestinesi. Inoltre, un riconoscimento internazionale dei confini del 1967 come base per la creazione di due stati, sarebbe fonte di forte imbarazzo per Israele, visto che più di 500.000 israeliani vivono dal lato palestinese di quei confini.
Secondo i palestinesi, la piena realizzazione del loro diritto all’autodeterminazione dovrebbe essere l’obiettivo finale dei negoziati, non già una questione da risolvere bilateralmente con Israele. Per questo, sostengono, il ricorso all’Onu non contraddice la loro volontà di negoziare con Israele. L’Anp sottolinea inoltre che fu proprio l’Assemblea generale dell’Onu, con la risoluzione 181 del 1947, a pronunciarsi per la partizione della Palestina in due stati. La risoluzione, che all’epoca fu respinta dai palestinesi, sancì il riconoscimento internazionale di Israele. Oggi, i palestinesi vorrebbero tornare a quello scenario, ottenendo dall’Onu il riconoscimento del diritto ad avere un proprio stato in ciò che rimane della Palestina storica.
Andrea Dessì è laureato in storia e politica del Medio Oriente presso la School of Oriental and African Studies di Londra, e ha ottenuto la laurea specialistica in Conflict, Security and Development presso la King’s College London. Collabora con , giornale online di politica internazionale, e attualmente è collaboratore presso lo IAI.