Un accordo euromediterraneo per il salvataggio dei migranti
Il problema del salvataggio dei migranti continua a presentarsi con una ripetitività esasperante e drammatica. Nulla fa più notizia, nemmeno i naufragi di centinaia di persone disperse nel mare della fatalità. Molti paesi mediterranei condividono la sensazione di ineluttabilità di queste tragedie, ma sono ben attenti a mantenere lo status quo delle (virtuali) competenze per la ricerca e soccorso in mare (Sar, secondo l’acronimo inglese di “Search and Rescue”). Anche l’Organizzazione marittima internazionale (Imo) svolge i suoi compiti in materia per lo più notarile.
Solo l’Italia si sforza di rimanere fedele agli ideali di abnegazione nel salvataggio della vita umana in mare, fedele alla sua visione universale dell’assistenza umanitaria e alle sue nobili tradizioni marinare. Nonostante tutte le incongruenze della sua politica migratoria, l’Italia ha infatti sempre mantenuto un approccio di alto profilo sul soccorso dei migranti, assumendosi gravose responsabilità non solo lungo le proprie coste, ma anche nelle altrui zone Sar, come quelle di Malta, Libia e Tunisia.
Per quanto commendevole, l’azione dell’Italia appare però svincolata da un disegno mediterraneo complessivo, quasi fosse un semplice riflesso condizionato. Ed invece è proprio questa la strategia da perseguire: assumere un ruolo guida nel Sar mediterraneo dei migranti, coinvolgendo l’Unione europea, l’Imo e gli Stati confinanti in un’attiva cooperazione operativa.
Omissioni maltesi
Arroccata nella difesa della sua enorme zona Sar, considerata non un’area di responsabilità internazionale, ma come una sorta di spazio strategico, Malta non reagisce alle tante proteste italiane. Da ultimo il 30 maggio il ministro dell’interno Maroni ha dichiarato che “le autorità maltesi hanno applicato in modo singolare le norme di diritto internazionale, omettendo di intervenire in soccorso dei migranti in un contesto ad alto rischio: potenzialmente poteva essere una tragedia. Le navi de La Valletta pur presenti nella zona, si sono limitate ad affiancare l’imbarcazione fino al momento del suo ingresso nelle acque Sar italiane, circa 22 miglia a sud di Capo Passero, avvisando solo allora il comando generale delle capitanerie di porto”.
Le giustificazioni di un tale comportamento possono essere tante, ma è evidente che l’approccio maltese al Sar, anche per i limitati mezzi a disposizione e per l’impossibilità di accogliere migranti e richiedenti asilo, è diverso da quello italiano: soccorrere quando possibile, limitandosi a sorvegliare e coordinare negli altri casi o anche a richiedere l’intervento dei mezzi italiani.
Illuminante è al riguardo il parere del ministro maltese Mifsud Bonnici: le imbarcazioni provenienti dalla Libia, ha sostenuto, “hanno il diritto di passaggio [nelle acque internazionali della Sar] e nessuno può fermarle. Fino a che esse non sono in pericolo (“distress”) la questione non si pone”.
Posizione dell’Ue
Il problema dell’intervento Sar nei confronti di migranti che non richiedano di essere soccorsi è affrontato dalle Linee guida sul Sar elaborate da Frontex, l’agenzia europea per la sicurezza dei confini, e approvate dal Consiglio dell’Unione il 26 aprile 2010. La posione dell’Ue è analoga a quella maltese: i migranti non in evidente pericolo vanno assistiti nella navigazione, ma il paese responsabile del Sar può anche non intervenire in soccorso se essi non lo richiedono. Il paese che ospita l’operazione Frontex ha però la facoltà di dichiarare una situazione Sar. Le ambiguità della linea di Frontex potrebbero essere superate se il Sar divenisse la sua missione principale.
In questo caso l’Agenzia potrebbe finalmente assumere una posizione più chiara sui rischi intrinseci che devono far ritenere in pericolo un’imbarcazione sovraccarica. Il Sar dovrebbe allora scattare automaticamente e si applicherebbero gli altri principi delle linee guida relative al c.d. “luogo sicuro”, secondo cui le persone salvate vanno sbarcate nel paese da cui esse provengono o attraverso le cui acque territoriali o zona Sar (e questo Malta non l’accetta) sono transitate. Qualora ciò non sia possibile, lo sbarco può avvenire nel paese che ospita l’operazione.
Leadership dell’Italia
Benché da anni usufruisca a piene mani del concorso dell’organizzazione Sar italiana, Malta non ha stipulato alcun accordo di cooperazione operativa con il nostro paese. Ma lo ha fatto nel 2008 con la Grecia. I due paesi hanno infatti stabilito di “cooperare nelle rispettive Sar rispondendo alle richieste reciproche di assistenza operativa … ma senza alcun obbligo per lo Stato che ha condotto un’operazione di accettare qualsiasi richiedente asilo”. Un accordo, questo, semplice e pragmatico che però Malta non ha sentito il bisogno di proporre all’Italia, preferendo la via della collaborazione de facto, meno impegnativa dal punto di vista politico. La risposta italiana ad una simile discriminazione non può che essere adeguata al proprio ruolo mediterraneo.
L‘organizzazione Sar dell’Italia fa capo al Comando generale delle Capitanerie di Porto (Maricogecap) che, nella veste di “Centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo” per conto del ministero delle infrastrutture e trasporti, assicura lo svolgimento dei servizi marittimi di ricerca e salvataggio nell’ambito delle zone Sar di giurisdizione italiana, e tiene i contatti con i centri di coordinamento del soccorso degli altri Stati, secondo la Convenzione di Amburgo del 1979. Queste funzioni sono regolamentate dal DPR. 28 settembre 1994, n. 662 che, oltre all’impiego dei mercantili cui l’Autorità marittima può richiedere che intervengano in soccorso, prevede anche il concorso dei mezzi aeronavali della Marina Militare, della Guardia di Finanza e degli altri Corpi.
Se non la migliore in Europa, l’organizzazione Sar italiana è senz’altro la prima nel Mediterraneo per efficienza, slancio motivazionale e adeguatezza di mezzi. Correlato alla costante operatività del nostro servizio Sar è il fatto che l’ordinamento giuridico italiano sanziona penalmente l’omissione di soccorso in mare da parte di chiunque, sia civile che militare, non intervenga dopo esserne stato richiesto dallo stesso servizio.
A questo punto all’Italia potrebbe non interessare più né la riduzione della Sar maltese, né la formalizzazione della cooperazione bilaterale. Quanto piuttosto la creazione di uno spazio Sar comune in cui collaborare su base di reciprocità con tutti i paesi vicini, compresa l’Algeria, la Tunisia e la futura Libia. Un’area che si sovrapponga alle Sar nazionali (è questo del resto che ha già fatto Malta con parte della nostra Sar) e che sia specificatamente dedicata al salvataggio dei migranti.
(Ipotesi di zona di cooperazione Sar-migranti del Mediterraneo centrale).
Oltre i nazionalismi
È tempo di abbattere i muri (d’acqua) che nel Mediterraneo impediscono quella collaborazione che nei mari chiusi dovrebbe essere la regola e che nel campo Sar è stata già realizzata nel Mar Nero e nell’Artico.
Lo scorso 12 maggio Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti hanno gettato le basi, nell’ambito dell’Arctic Council, per un nuovo approccio al Sar fondato sull’impegno a mettere in atto congiuntamente le necessarie misure di assistenza nelle rispettive Sar (delimitate prescindendo dagli spazi marittimi nazionali). Lo stesso può essere fatto nel Mediterraneo avendo di mira il salvataggio della vita dei migranti.
La Decisione Frontex può essere di ausilio nella parte in cui stabilisce vari criteri per lo sbarco dei migranti salvati. Ma Frontex non basta a risolvere il problema. Che necessita invece di un più ampio contesto, magari regolamentato da un accordo regionale, dedicato specificatamente al soccorso dei migranti che è cosa diversa dall’ordinario Sar, tenendo anche conto del Protocollo di Palermo del 2000 relativo al traffico illegale di migranti.
L’Italia, che sinora si è assunta le maggiori responsabilità anche nelle Sar altrui, ha mezzi, uomini e ambizioni per proporsi come leader di questo esercizio. L’Ue, l’Imo e gli Stati nordafricani non potranno che assecondare un progetto di così alto livello. Anche Malta, ottenute garanzie sul luogo di sbarco, ne dovrà riconoscere la validità.
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