Marocco, la monarchia alla prova dei fatti
Da sempre considerato un paese stabile e filo-occidentale, il Marocco sta attraversando una delicata fase di transizione. In un contesto mediterraneo dagli equilibri sempre più incerti, la monarchia marocchina si sta dando da fare, pur con molte esitazioni, per evitare di essere risucchiata nel vortice dell’instabilità regionale.
Il sovrano Mohammed VI ha recentemente presentato un programma di riforme che va dall’aumento del salario minimo garantito a un referendum costituzionale per accrescere il decentramento amministrativo. Il futuro del paese si gioca, in effetti, sulla capacità della monarchia di imprimere un’accelerazione al processo di riforma. Nel frattempo, dopo l’attentato del 28 aprile a Marrakech in cui hanno perso la vita diciassette persone, .è tornato a stagliarsi lo spettro del terrorismo di matrice qaedista.
Proteste e reazione
L’onda lunga delle proteste popolari ha raggiunto il Marocco a febbraio. Il 20 del mese migliaia di persone, in larga parte giovani, sono scese in piazza in diverse città per protestare contro la disoccupazione e l’aumento della povertà, ma soprattutto per chiedere una svolta politica alla monarchia, che continua a godere di un ampio consenso.
A Tangeri, Casablanca, Rabat e Marrakech, le grandi città costiere più popolose e sviluppate del paese i manifestanti hanno rivendicato una serie di diritti costituzionali secondo il modello delle monarchie spagnola e britannica. Sono richieste indirizzate al sovrano, che ricopre anche un ruolo religioso ed è definito “principe dei credenti” dalla Costituzione.
Il 9 marzo Mohammed VI si è rivolto direttamente alla nazione, parlando esplicitamente di riforme costituzionali volte ad aumentare il potere delle altre istituzioni e a introdurre il decentramento amministrativo.
La proposta di riforma mira a rafforzare il ruolo del parlamento, oggi totalmente marginalizzato, al pari del governo, a riformare la legge sui partiti per razionalizzare il sistema politico, frammentato in più di una ventina di formazioni, e a permettere che il potere di nomina del primo ministro spettante al sovrano sia esercitato in modo meno arbitrario e più legato alle indicazioni del partito o della coalizione uscita vincitrice dalle urne.
Il decentramento amministrativo prevede un aumento dei poteri delle sedici regioni del paese e la modifica sia della composizione che delle prerogative della Camera dei consiglieri, il ramo del parlamento in cui sono rappresentate le regioni.
Politica interna e estera
Il decentramento amministrativo ha assunto una crescente rilevanza nei programmi pubblicamente presentati dalla monarchia a partire dal 2007. Vi rientra l’autonomia per la regione del Sahara occidentale, oggetto di disputa con il Fronte Polisario, sostenuto dall’Algeria. Ma sia il piano d’autonomia sia il decentramento amministrativo restano per il momento semplici buone intenzioni della monarchia, senza riscontri concreti. Le riforme costituzionali devono, infatti, essere messe a punto da un Consiglio, nominato dal sovrano stesso, entro la fine di giugno, per poi essere sottoposte a referendum.
Sebbene il discorso del sovrano abbia aperto uno spiraglio di trattativa con i movimenti di protesta, l’instabilità del paese potrebbe crescere a causa dei persistenti problemi socio-economici e di una serie di disfunzioni strutturali a livello di governo. Su questo punto insiste in particolare il movimento islamista moderato Giustizia e Carità, guidato da Nadia Yassine che, a detta di molti osservatori, è l’unica vera opposizione in un sistema politico interamente controllato dalla monarchia.
La scarsa rappresentatività degli organi legislativi ed esecutivi e la debolezza del potere giudiziario sono all’origine della corruzione dilagante e dell’incapacità dello Stato di adottare misure che vengano incontro alle esigenze della popolazione.
Nelle consultazioni parlamentari del 2007 e in quelle amministrative del 2009 è notevolmente cresciuta l’astensione, confermando la forte sfiducia dei marocchini verso gli organi elettivi. Le elezioni politiche del prossimo anno saranno un banco di prova cruciale per lo Stato marocchino e per il programma di riforme. Sempre che la monarchia decida di proseguire con determinazione in questa direzione, cogliendo la finestra d’opportunità che si è aperta.
Nodi socio-economici
La riforma delle istituzioni rappresenta la condizione necessaria anche per rispondere ai problemi socio-economici del paese. Nonostante il Marocco sia stato risparmiato dagli effetti della crisi finanziaria ed economica globale, la notevole crescita del 2009 (+ 5,2%), dovuta in larga parte dall’aumento della produzione agricola, non è bastata a riassorbire la disoccupazione.
L’espansione del settore agricolo non ha avuto un impatto positivo sulla bilancia commerciale, e le esportazioni sono calate anche a causa della debolezza della domanda europea. L’occupazione in questo settore è inoltre spesso caratterizzata dall’assenza di contratti regolari, di copertura assicurativa e salari proporzionati a qualifiche e mansioni svolte dai lavoratori.
Il vero tallone d’Achille dello sviluppo del Marocco è tuttavia rappresentato dal settore dell’istruzione. Da dieci anni la monarchia sta nominando commissioni speciali cercando di attuare piani d’emergenza per risollevare le sorti degli studenti e dei professori soprattutto nelle aree rurali, dove molte scuole ancora non hanno acqua ed elettricità. Il programma nazionale di emergenza per il sostegno all’istruzione, lanciato nel marzo 2009, rappresenta il più consistente investimento pubblico del paese (2,7 miliardi di euro in quattro anni).
Nonostante gli ingenti investimenti in un settore cruciale come l’istruzione, l’impatto sullo sviluppo socio-economico del paese rimane incerto. Il problema nasce, anche in questo caso, dalla scarsa chiarezza sulle responsabilità degli attori coinvolti nel processo di riforma, che rimane fortemente diretto dall’alto, dall’assenza di pianificazione strategica e, infine, dalla priorità attribuita agli obiettivi di breve periodo.
Ciò di cui il Marocco ha oggi bisogno,sono riforme politiche incisive che permettano di ristabilire la fiducia nelle istituzioni e di intraprendere un cammino di sviluppo più sostenibile. Per la monarchia c’è il rischio, altrimenti, di dover fronteggiare una situazione di crescente crisi e instabilità che potrebbe metterne a repentaglio la stessa legittimità.
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