IAI
Impegno crescente dell'Italia

Il conflitto in Libia e il ruolo del parlamento

2 Mag 2011 - Natalino Ronzitti - Natalino Ronzitti

Quando l’Italia partecipa ad un’azione bellica, si torna puntualmente a discutere dell’art. 11 della nostra Costituzione, talvolta con riferimento anche alla delibera dello stato di guerra prevista dall’art. 78. Tali disposizioni sono citate a sproposito per quanto riguarda la crisi libica e la partecipazione italiana, che è stata attuata con un crescendo: prima con la messa a disposizione delle basi Nato e la ricognizione e individuazione di obiettivi militari, senza però neutralizzarli, successivamente con l’impiego di aerei per vere e proprie missioni di attacco al suolo e di attuazione coercitiva della no-fly zone.

Ripudio della guerra
L’art. 11 della Costituzione stabilisce il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Non proibisce quindi qualsiasi guerra, ma solo quella di aggressione.

L’azione cui partecipa l’Italia è un’azione militare autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazione Unite con la risoluzione 1973 (2011), nel quadro di quella che oggi viene definita “responsabilità di protezione” (responsibility to protect) e quindi, per definizione, non può essere qualificata come guerra di aggressione, vietata sia da un principio fondamentale della nostra Costituzione sia da una norma imperativa dell’ordinamento internazionale.

La partecipazione all’azione militare contro la Libia, dovendosi svolgere nei limiti imposti dalla risoluzione 1973, non può neppure essere tecnicamente definita come guerra, nozione ormai giuridicamente superata, ma comunque caratterizzata da un uso macroscopico della forza armata. Sarebbe pertanto fuori luogo invocare l’art. 78 della Costituzione e pretendere che le Camere deliberino lo stato di guerra conferendo al governo i poteri necessari.

Controllo parlamentare
La partecipazione ad azioni non tecnicamente qualificabili come la guerra è responsabilità dell’esecutivo, che agisce ovviamente sotto il controllo del Parlamento, libero di sfiduciare il governo se non ritiene di assecondarne e condividerne le scelte. Solo che, nell’assenza di una disciplina costituzionale, che si è tentato invano di attuare nelle scorse legislature, si è provveduto a rimediare al vuoto legislativo con un passaggio parlamentare, che talvolta ha avuto luogo prima dell’impegno sul terreno, talaltra quando la missione era già in corso, e addirittura anche all’atto della conversione in legge del decreto relativo al finanziamento della missione.

Quello che si vuole significare è che il controllo parlamentare è solo un controllo politico e non una formale autorizzazione all’esecutivo ad intraprendere un’azione, come implica invece la delibera assunta dalle Camere in virtù dell’art. 78 in merito alla partecipazione ad una “guerra”.

Nel caso libico, le Commissioni riunite esteri e difesa di Camera e Senato hanno approvato immediatamente prima dell’azione militare (18 marzo 2011) una risoluzione di indirizzo, impegnando il governo a partecipare attivamente, con i paesi disponibili, alla piena attuazione della risoluzione 1973. Successivamente, due risoluzioni a supporto delle operazioni militari – una della maggioranza di governo, l’altra dell’opposizione – sono state votate il 24 marzo 2011.

Da quanto precede è nostra convinzione che il governo non necessiti di una formale autorizzazione per poter continuare una più incisiva azione militare, passando dalla messa a disposizione delle basi e dei voli di ricognizione ai bombardamenti. Anche perché la partecipazione all’azione aveva già ottenuto l’approvazione delle Camere e quella del Presidente della Repubblica che, con l’ausilio del Consiglio Supremo di Difesa, esercita sulla condotta dell’esecutivo un controllo non solo formale, in quanto a lui compete il Comando delle Forze Armate a norma dell’art. 87 della Costituzione. Tra l’altro la messa a disposizione delle basi e i voli di ricognizione configurano già una diretta partecipazione alle ostilità.

Quale significato allora dare alle mozioni che sono state preannunciate per il 3 maggio alla Camera? Sono solo un atto d’indirizzo politico. Naturalmente, se il governo non si conforma ai desiderata del Parlamento, quest’ultimo lo può sempre sfiduciare.

A nostro parere il controllo parlamentare dovrebbe avere per oggetto la condotta del governo in relazione ai paletti imposti dalla risoluzione 1973. Le Camere dovrebbero cioè controllare che l’azione militare sia contenuta nei limiti disposti dal mandato Onu che, per quanto riguarda le azioni militari al suolo, implicano solo azioni volte a proteggere i civili e le aree popolate dai civili, inclusa Bengasi, sotto minaccia di attacco del governo di Tripoli, ferma restando l’esclusione dell’occupazione sotto qualsiasi forma del territorio libico.

Responsabilità dell’Italia
Siamo sicuri che le attuali operazioni siano conformi al diritto internazionale umanitario e che esse non oltrepassino la lettera della risoluzione 1973?

Non è sufficiente che i nostri aerei si comportino conformemente alla risoluzione e che siano imposti caveat per impedire danni collaterali ai civili, con il divieto di sferrare attacchi aria-terra nelle città. Se si vuole evitare ogni forma di responsabilità internazionale, occorre anche sorvegliare che gli aerei alleati in partenza da basi situate in territorio italiano rispettino sia i limiti imposti dalla risoluzione 1973 sia le regole di diritto internazionale umanitario.

Qualora altri commettano una violazione, non ce la possiamo cavare, come fu fatto durante l’intervento in Kosovo. Convenuto in giudizio dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, il governo italiano, per escludere ogni responsabilità derivante dal bombardamento della radio-televisione di Belgrado da parte di aerei decollati dal territorio italiano, dichiarò di non essere a conoscenza dei piani di attacco e che un’analisi del sistema decisionale della Nato non aveva rivelato alcuna partecipazione dell’Italia alla selezione dei vari obiettivi!

Natalino Ronzitti è professore di Diritto Internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss ”Guido Carli” di Roma e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali.

Vedi inoltre:

Una legge organica per l’invio delle missioni militari all’estero,