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Alla radice delle rivolte

La fine dell’era glaciale araba

14 Apr 2011 - Maria Grazia Enardu - Maria Grazia Enardu

Tra i mille pareri sul perché in Tunisia, Egitto, Libia, forse in Siria, certamente in Bahrein e Yemen, abbiano preso piede delle rivolte popolari, con vario e ancora incerto esito, è stato detto e scritto molto. Poco però sul più ampio contesto della storia araba.

Gli arabi esistevano anche prima di Maometto, ma fu lui a dargli una forte religione, facendoli entrare nella storia. Da tribù di pochi nomadi divennero fondatori di un insieme di regni che nel giro di due secoli si estesero dalla Spagna a parte della Persia, dalla Sicilia allo Yemen.

Grande cultura
Un’epoca d’oro, ma caratterizzata fin dall’inizio da profonde fratture. I legittimisti sciiti, che contestavano la successione a Maometto, persero la battaglia di Karbala nel 680, e si separarono dai cosiddetti sunniti, che sono sempre stati la maggioranza. Inoltre il Califfo, suprema autorità politica e religiosa del mondo sunnita era teoricamente uno, ma nel decimo secolo ce n’erano ben tre. L’enorme area della conquista infatti si frazionò presto.

Anche di arabo c’era poco: l’Islam convertiva e assimilava le popolazioni locali, ma la lingua classica, nota solo ai letterati, lasciava spazio a forti varianti locali. L’Islam, anche nel cosiddetto mondo arabo, si adottò e trasformò dinamicamente.

Furono secoli eccezionali, anche da un punto di vista culturale. L’Europa arrancava nel Medioevo: solo in Italia si godeva di un minimo di eredità e cultura romana, mentre altrove la barbarie imperava e l’ignoranza era un dato assoluto.

Nel mondo arabo, Spagna e Sicilia comprese, le corti erano splendide, fiorivano le arti, e l’arabo era lingua così colta che molti la usavano letterariamente, come alcuni poeti ebrei, o cristiani, come Federico di Svevia, che amava le varie e diverse radici della sua Sicilia e aveva con gli arabi rapporti molto più cordiali che con i cristiani.

Tenebre
Poi arrivò la catastrofe. Non certo le crociate, che anzi aiutarono culturalmente l’Europa cristiana, ma le invasioni mongole del Medioriente, che nel tredicesimo secolo, in due ondate, distrussero e sterminarono, annichilendo non solo i popoli dell’area ma la loro cultura. Poi la perdita della Spagna, e l’irrigidimento religioso e politico nelle ultime fasi della Reconquista di Ferdinando e Isabella. Perdita rimpianta da molti, anche dagli ebrei che subito vennero espulsi, assieme ai cosiddetti mori.

Sul mondo arabo già così colpito arrivò poi la conquista ottomana, cioè turca, che coprì praticamente tutta l’area della conquista araba, esclusa la punta occidentale del Marocco.

I turchi copiarono dagli arabi tutto il copiabile, Islam e alfabeto compreso, ma li disprezzavano come deboli proprio perché li avevano conquistati, e gli arabi a loro volta, memori di una superiorità persa, odiavano gli ottomani. Il Sultano ottomano divenne anche Califfo, titolo che per il mondo arabo perse così molto del suo significato religioso.

Quando l’impero ottomano si ritrovò in un costante conflitto con l’Europa, e in lenta decadenza, gli arabi ne furono trascinati anch’essi, senza rimedio. Anzi, le loro terre divennero preda degli interessi occidentali, sia come occupazione diretta nell’800 (Algeria, Tunisia, poi Marocco, da parte di Francia, Egitto da parte di Gran Bretagna) e inizio ‘900 (conquista italiana della Libia) sia come risultato del consolidamento di forti interessi europei in attesa del disfacimento dell’Impero.

Il sogno di ricreare un grande regno arabo, da Mecca a Damasco a Baghdad, a lungo strumentalmente agitato da personaggi come Lawrence d’Arabia, finì subito dopo la prima guerra mondiale. Gli arabi, con l’unica eccezione dell’Arabia ormai Saudita, erano ormai inglobati negli imperi coloniali.

Glaciazione
Tutto è rimasto congelato per quasi un secolo: dopo la seconda guerra mondiale sono nati diversi stati e regni arabi, più o meno indipendenti. Erano infatti stati disegnati o ristrutturati dalle potenze coloniali europee, non certo da forze interne. E le grandi potenze, compresi i nuovi arrivati, gli Stati Uniti e la stessa Unione Sovietica, tenevano il guinzaglio stretto, con varie tecniche: élites dirigenti amiche, aiuti militari, accordi economici capestro.

La premessa di tutto questo era che il mondo arabo doveva essere stabile, e che i proventi del petrolio – per chi lo aveva – dovevano servire per sostenere le élites al governo: monarchie o repubbliche, comunque dittature, con esercito e polizia segreta che controllava popolazioni represse e ignoranti. Tutto doveva essere congelato, le varie crisi venivano in qualche modo ricondotte all’ordine di sistema. L’Unione Sovietica provò a inserirsi, ma solo come elemento di disturbo, tramite gli aiuti militari (Egitto, Siria, poi Iraq), ma senza riuscire a scalzare gli interessi occidentali e i gruppi di potere locali che vi si appoggiavano.

Infatti, nella seconda metà della Guerra Fredda, dagli anni ’70, l’occidente condizionava totalmente il Medio oriente, riportando al gregge l’Egitto dei militari attraverso Sadat, isolando la Siria quanto bastava, trasformando Saddam Hussein da dittatore a strumento di guerre contro l’Iran, finché non decise di agire in proprio (invadendo il Kuwait nel 1990). C’era qualche problema con Gheddafi, ma anche il disastro di Lockerbie, alla fine, è stato digerito.

Un geologo avrebbe visto uno strato fertilissimo ma variegato da metà ‘600 al 1200 circa, poi uno strato alto ben otto secoli di sedimenti ghiacciati – fino a oggi. In Siberia lo chiamano permafrost, e lo temono solo quando si scioglie.

Nuova generazione
Poi negli ultimi anni è cambiata la temperatura. Forse il termostato era dalle parti della Tv Al Jazeera, che dal 1996 ha fornito un’informazione moderna, e in arabo, a un mondo in cui il numero di giovani cresceva. Nelle scuole, gli studenti imparavano le glorie passate, e si guardavano intorno perplessi. Giovani, disoccupati, arrabbiati, ma anche più colti, più impazienti, e decisi ad avere un ruolo politico che i vari sistemi non contemplavano affatto.

Questa generazione di giovani e dietro di loro i ragazzini, come gli autori dei graffiti sui muri di Deraa, in Siria, cambierà il Medio Oriente, aggredendolo dall’interno. Tra di loro ci sono gli Averroè e gli Ibn Khaldun di domani, quelli che susciteranno la rinascita di una grande cultura araba. Che interpreterà e quindi cambierà la tradizione, spesso costrittiva, ma anche ispiratrice di modelli più consoni alla cultura di quei popoli. Non solo un risveglio arabo, come dice Richard Haass parafrasando George Antonius, che lo profetizzava, già nel primo novecento, ma un rinascimento che potrà combinare eclettismo, sintesi, innovazione culturale, ma anche politica.

Il disgelo, appunto, la fine dell’era glaciale araba. Cambierà il paesaggio, i detriti si affastelleranno e danneggeranno molti interessi. Ma sarebbe meschino rimpiangere i bei tempi andati, monarchie medioevali e dittatori addomesticati che garantivano una pax petrolifera a spese della loro gente.

Sforziamoci quindi di prendere bene il ritorno dell’orgoglio arabo, che non va visto come nemico dell’occidente. Aspettando con fiducia anche il prossimo Federico di Svevia.

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