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Emergenza immigrazione

Italia fuori dall’Ue?

13 Apr 2011 - Bruno Nascimbene - Bruno Nascimbene

Se il ministro degli interni Roberto Maroni è arrivato a prospettare l’uscita dell’Italia dall’Unione europea, è segno che il contrasto che oppone il nostro governo ad altri paesi membri e alle istituzioni dell’Ue (la Commissione in particolare) non è solo sull’immigrazione. Ma come si presenta, dal punto di vista giuridico, la disputa nell’Unione sulla gestione dei flussi migratori provenienti dal Nord Africa?

Protezione temporanea
Il governo italiano, nel porre all’attenzione del Consiglio il fenomeno immigratorio in provenienza soprattutto dalla Tunisia, ha formulato espressamente la richiesta di attivazione della procedura prevista dalla direttiva 2001/55/CE ai fini della concessione di protezione temporanea alle persone finora arrivate o che arriveranno nei prossimi mesi dal Nord Africa. La riunione del Consiglio, che ha respinto la richiesta italiana, giunge al termine di una settimana di forte tensione fra l’Italia e i paesi europei, la Francia in particolare, in relazione allo status da attribuire a tali persone.

Il 5 aprile il governo italiano aveva adottato un decreto che definisce misure umanitarie di protezione temporanea, applicabili “a favore di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa affluiti nel territorio nazionale dal 1° gennaio 2011 alla mezzanotte del 5 aprile 2011” (si tratta di oltre 25.000 persone). Lo stesso giorno era stato raggiunto un accordo tecnico tra il ministro Maroni e il suo omologo tunisino Habib Essid, con l’obiettivo di rafforzare il controllo dei flussi migratori irregolari e facilitare il rimpatrio dei cittadini tunisini giunti in Italia irregolarmente. Un accordo destinato a trovare applicazione soltanto nei confronti di quanti hanno fatto e faranno ingresso sul territorio italiano successivamente all’entrata in vigore del decreto (è quanto si apprende dal sito del Ministero Affari Esteri, non essendo finora stato reso pubblico il testo dell’accordo).

Il precedente accordo di riammissione concluso tra Italia e Tunisia nel 1998 prevede l’impegno delle parti a non praticare rimpatri in massa o speciali e, come aveva dichiarato il ministro Maroni in un’audizione alle Commissioni riunite (affari costituzionali e affari esteri) di Camera e Senato il 2 marzo scorso, si presentava di difficile applicazione nelle attuali circostanze: sia per ragioni tecniche e operative conseguenti alla situazione politica in Tunisia, sia perché le autorità tunisine consentivano il rimpatrio (al massimo) di quattro persone al giorno.

Emergenza umanitaria
Il decreto adottato si fonda su una previsione contenuta nel T.U. Immigrazione del 1998, che prevede la possibilità di ricorrere a misure di protezione temporanea per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri, naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all’Unione europea.

Un decreto analogo fu adottato già in passato (1999) nell’ambito dell’emergenza Kosovo. Ne furono destinatari i cittadini appartenenti alla Repubblica federale di Jugoslavia, ai quali fu rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di protezione temporanea. In quell’occasione, la validità del permesso fu espressamente limitata alla permanenza sul territorio nazionale.

Facendo seguito alla dichiarazione dello stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale, decretata dal presidente del Consiglio il 12 febbraio 2011 con durata fino al 31 dicembre 2011, la misura adottata il 5 aprile prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di sei mesi. Il permesso di soggiorno consente “all’interessato, titolare di un documento di viaggio, la libera circolazione nei Paesi dell’Unione europea, conformemente alle previsioni della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1995 e della normativa comunitaria”.

A parte l’errore sulla data (l’accordo di Schengen è del 14 giugno 1985, mentre la Convenzione di applicazione è del 19 giugno 1990) e il generico riferimento alla normativa comunitaria, anziché alla specifica disciplina contenuta nel Codice Frontiere Schengen adottato con regolamento 562/2006 del 15 marzo 2006, il decreto autorizza a circolare al di fuori del territorio italiano, senza ricordare i limiti che le “norme Schengen” stabiliscono.

Reazione francese
Il governo francese ha prontamente reagito al decreto approvato dall’Italia. In una circolare adottata il 6 aprile, il ministro dell’interno francese si è rivolto ai prefetti precisando norme ed obblighi applicabili: ha specificato che i titoli di soggiorno e le autorizzazioni provvisorie rilasciate da altri Stati a cittadini di paesi terzi, non sono ricevibili, ovvero ammissibili, se non quando siano state notificate alla Commissione europea dallo Stato membro che li rilascia. In ogni caso, esse risultano soggette alle condizioni ordinarie per la libera circolazione, ai sensi del Codice Frontiere Schengen (art. 5; possesso di un documento di viaggio valido, di un documento di soggiorno e di risorse sufficienti, la Francia precisando che si tratta di 31 euro e di 62 euro se non si dispone di un alloggio; il cittadino di un paese terzo non deve inoltre costituire una minaccia per l’ordine pubblico e non deve aver fatto ingresso in Francia da più di tre mesi).

La circolare invita pertanto le competenti autorità di polizia a rinviare verso l’Italia quanti tentino di fare ingresso in territorio francese, senza soddisfare ai presupposti e alle condizioni richieste. Viene, a tal fine, anche richiamato l’accordo bilaterale di riammissione concluso tra di due paesi nel 1997, che impegna ciascuna parte contraente a riammettere sul proprio territorio, su richiesta dell’altra parte, i cittadini di uno Stato terzo che non soddisfano le condizioni d’ingresso o di soggiorno applicabili nel territorio della parte contraente richiedente, allorché questi cittadini dispongano di un visto o di un titolo di soggiorno in corso di validità, rilasciato dalla parte contraente richiesta.

Solidarietà comunitaria?
Ci si chiede allora quale sia la validità dei permessi previsti dal decreto del 5 aprile. Essi configurano una misura nazionale, valida sul territorio italiano, soggetta alle condizioni stabilite per la libera circolazione per un periodo non superiore a tre mesi nel rispetto della ricordata normativa dell’Unione europea (in virtù dell’art. 21 della Convenzione di applicazione degli accordi di Schengen e dell’art. 5 del Codice Frontiere Schengen).

Appare dunque corretta la posizione assunta dal governo francese e subito dopo da quello tedesco. Diversa sarebbe l’ipotesi di permessi rilasciati sulla base di una procedura di protezione temporanea adottata ai sensi della direttiva 2001/51/CE. In tal caso, è espressamente prevista la possibilità di trasferimento delle persone beneficiarie della protezione da uno Stato membro all’altro, da attuarsi con il consenso degli interessati e in uno “spirito di solidarietà comunitaria” (art. 26).

Solidarietà che è espressamente richiamata, insieme all’equa ripartizione della responsabilità tra Stati membri, nella nuova disposizione introdotta dal Trattato di Lisbona (art. 80 Tfue). Sebbene in una lettera inviata ai ministri competenti in vista del Consiglio Gai dell’11 aprile, la Commissaria europea all’immigrazione Cecilia Malmström avesse ipotizzato, per la prima volta dall’inizio della crisi, il ricorso al meccanismo di protezione temporanea in caso di massiccio afflusso di “rifugiati” (rectius “sfollati”), e nonostante i richiami alla necessità di autentica e concreta solidarietà verso gli Stati membri più direttamente interessati dai movimenti migratori contenuti nelle conclusioni del Consiglio Ue, la richiesta ufficialmente formalizzata dal governo italiano (con il sostegno di Malta, anch’essa coinvolta dagli arrivi) non ha incontrato il consenso necessario per l’avvio della procedura (maggioranza di due terzi degli Stati membri).

Come rilevato in un precedente articolo su questa rivista, l’atteggiamento degli altri Stati membri appare temporeggiatore: ogni nuova, diversa azione, rispetto agli stanziamenti economici e alle operazioni di intervento nell’ambito di Frontex, è rinviata ad un eventuale aggravarsi della situazione.

Occorre, tuttavia, tenere ben distinte le posizioni di quanti arrivano o potrebbero arrivare dal Nord Africa: tra chi è in fuga dalla situazione di conflitto in Libia, e in cerca di una qualche forma di protezione internazionale, e chi, partito dalla Tunisia, approfittando dell’attenuarsi dei controlli, cerca di raggiungere l’Europa in cerca di migliori condizioni di vita, rientrando pertanto nella categoria dei migranti economici. Il ricorso alla procedura di protezione temporanea appare ipotizzabile solo in favore di quanti rientrino nel campo di applicazione della direttiva, che regola appunto l’ipotesi di afflusso massiccio di sfollati.

Pur ammettendo che il più recente accordo di riammissione negoziato con le autorità tunisine per evitare nuove partenze, alla cui attuazione ha dichiarato di voler collaborare anche la Francia, limiti o scoraggi (se non impedisca) gli arrivi, graverebbe allora solo sull’Italia l’accoglienza e la gestione degli oltre 25.000 giunti finora. Insomma, questi ultimi godrebbero del solo permesso rilasciato dalle autorità italiane: alle condizioni, si intende, e nei limiti previsti dalle ricordate “norme Schengen”.

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