Il Grande Malato d’Arabia
A fine ‘800 imperversavano vignette, analisi e previsioni sul cosiddetto “Malato d’Europa”, l’Impero ottomano, dissestato da un debito pubblico allora considerato eccezionale, rosicchiato da interessi stranieri e strutturalmente assai debole. Altro secolo, altra logica, ma c’è un nuovo malato, stavolta d’Arabia.
L’Arabia Saudita è molto ricca di soldi e petrolio, ma meno che in passato. Ė molto grande, occupa quasi tutta la penisola arabica, ma è anche piuttosto spopolata in confronto ai suoi vicini.
È ben armata e ha molti nemici, vicini e lontani. Innanzitutto l’Iran, per mille ragioni storiche e politiche, ma anche per la memoria del molto sangue scorso nella guerra Iraq-Iran. Un conflitto foraggiato in gran parte da soldi sauditi per permettere a Saddam Hussein di sconfiggere l’Ayatollah Khomeini e la sua rivoluzione islamica e sciita in Iran.
Splendido declino
L’Arabia Saudita pattuglia con cura la “sua” penisola, come nel caso della guerra in Kuwait, ed è sempre assai vigile sullo Yemen e pronto a intervenire per riportare l’ordine nel suo vicinato, come ha appena fatto in Bahrein.
Il Grande Malato si regge su una famiglia reale che obbedisce a macchinose tradizioni, come quelle che regolano la successione. Sul trono sfilano uno dopo l’altro gli ormai vecchissimi figli del fondatore, Ibn Saud. Oggi, re Abdullah non ha in pratica un successore, perché il principe designato, Sultan, ha 87 anni e soffre di Alzheimer. Potrebbe quindi toccare a Nayef, ministro degli Interni, 78 anni, chissà.
Dietro di loro una tumultuosa falange di principi (almeno 7.000 solo i maschi) anche se poche centinaia hanno ruoli preminenti. Ma la famiglia estesa controlla tutto, a cominciare dalle favolose finanze. I suoi membri più lungimiranti sanno che il sistema non reggerà a lungo e che prima o poi dovranno rinunciare a qualcosa, ma sono divisi su cosa e come cambiare.
La monarchia, anzi la corporation saudita, non si regge sul petrolio, come di solito si crede in Occidente, ma su un delicatissimo equilibrio interno e sull’intimo e solido rapporto con il clero wahabita (anzi, salafita, come preferiscono definirsi ), che va avanti da metà ‘700. Un patto che garantisce alla famiglia reale il potere in cambio di un controllo religioso totale sul paese e dell’impegno ad esportare dove possibile questa particolare marca di Islam.
Religione e potere
L’Islam saudita poggia anche sulle due città sante dell’Islam, Mecca e Medina, e sull’enorme macchina dell’haj, il pellegrinaggio che ogni buon musulmano dovrebbe svolgere almeno una volta nella vita, e che porta ai sauditi grandi entrate ed enorme prestigio. Bisogna andare alla Mecca e la Mecca è dei sauditi, che ne ricavano una cospicua rendita di posizione, religiosa e politica.
Il re saudita è infatti Guardiano della Mecca, unico titolo religioso ufficiale della dinastia, dopo che negli anni ’20 Ibn Saud rinunciò a rivendicare il titolo di Califfo, fino ad allora proprio del sultano ottomano. Ibn Saud si accontentò, per evitare reazioni di tutto il grande mondo islamico di allora, della custodia dei luoghi più santi dell’Islam, peraltro strappata agli Hascemiti, che sognavano un grande regno dall’Arabia alla Mesopotamia. Agli ex signori della Mecca è rimasto il trono, di povero esilio, di Giordania, dopo aver perso l’altro, peraltro molto precario, in Iraq.
Gli Al Rashid non hanno mai perdonato gli Al Saud di aver realizzato un regno a loro spese, dopo aver spodestato gli Hascemiti.
Il regno che sembra l’essenza stessa dell’Islam ultraortodosso non è un monolite. Tra i sunniti, infatti, c’è una componente di non-wahabiti, ovvero sunniti molto devoti, ma non radicali. E c’è una irrequieta minoranza sciita, stimata al 10-15%, che si considera doppiamente oppressa, come minoranza in generale e come sciiti in particolare.
Tradizione conservatrice
I sauditi non sono molto amati nel mondo arabo e lo è ancor meno la loro versione di Islam, considerata chiusa, iconoclasta e falsamente puritana, che però si sta diffondendo soprattutto nei paesi poveri e non arabi, come Afghanistan e Pakistan.
i l richiamo dei sauditi all’Islam più rigoroso non convince il mondo arabo: anche i salafiti di Egitto, ad esempio, ci tengono a rivendicare proprie tradizioni. E in generale gli altri paesi hanno antiche e diverse visioni islamiche. Proverbiale l’inimicizia tra il clero wahabita e l’Egitto, in particolare l’università religiosa di Al Azhar. Agli antipodi poi il Marocco, non solo geograficamente lontano, ma con una famiglia regnante che vanta una discendenza diretta dal Profeta, tramite la figlia Fatima.
Guardando l’equazione che ha portato alle rivoluzioni di Egitto, Tunisia e a rivolte in Libia, Siria, Yemen, ci si chiede cosa accadrà, prima o poi, al Grande Malato, il paese più importante in termini di petrolio e stabilità regionale. Anch’esso strutturalmente fragile perché incapace, almeno fino ad oggi, di attuare alcun tipo di cambiamento.
La società saudita è assai tradizionale, a tutti i livelli, perché nel regno pochi hanno qualche pratica di quel che negli altri paesi arabi è una vita normale. Per un saudita, andare all’estero, fosse solo al Cairo o Damasco, significa visitare un altro pianeta, con un’atmosfera totalmente diversa.
Ma tanta tradizione conservatrice ha al suo interno una componente che non sa come gestire. Anche in l’Arabia Saudita è altissima la percentuale di giovani: l’età media è di 25,3 anni. Sono tanti, istruiti, con sufficienti mezzi economici e tecnologia a disposizione. Come tutti i giovani del mondo, anche quelli arabi, tendono ad essere impazienti, e la società saudita e wahabita non gli offre risposte adeguate.
Spaccatura generazionale
Questa spaccatura generazionale si riflette anche nell’enorme famiglia reale, dove i principi senior sono spesso in contrasto con i più giovani, che vorrebbero un cambiamento ma anche la quadratura del cerchio: un po’ di modernità (osiamo chiamarla democrazia?), ma che non metta in discussione i loro privilegi. Molti giovani del paese, senza distinzione di classe, vorrebbero di più, ma non sanno come cominciare ad agire di fronte a un apparato pronto a tutto, che opera in modo spregiudicato perché esso stesso è legge.
Per rompere certi equilibri ci vuole quindi un accumulo di energia che non si è ancora raggiunto. L’idea di una dimostrazione, di una protesta politica è di per sé incredibile, e ci si crederà solo quando la si vedrà, non un momento prima. Più che da un protesta indistinta, una dimostrazione potrà forse scaturire da problemi locali e magari minori, ma segno di contraddizioni ben più grandi, come il terribile problema delle fogne di Ryad, che sommergono la città a ogni pioggia.
Baricentro invisibile
La componente più vivace di una società apparentemente immobile sono le donne, il cui livello di istruzione è salito moltissimo, senza però adeguati sbocchi professionali e sociali, se questo comporta una qualche forma di mescolanza con gli uomini. Ma le donne, eterne minorenni sotto tutela maschile e soggette a restrizioni inimmaginabili nel resto del mondo arabo, pur se avvolte in impenetrabili burka, hanno strumenti di comunicazione e li usano.
Ogni tanto, incredibilmente, le donne saudite scendono in strada a protestare, come hanno fatto di recente, e pure a viso scoperto, per reclamare il diritto di voto alle elezioni municipali, che poi sono le uniche concesse. Il Grande Malato è infatti l’unico stato arabo e musulmano che non fa elezioni politiche di sorta, nemmeno finte, e che comunque dalle municipali esclude le donne, non intende prendersi nemmeno la pena di costituire seggi separati per sesso.
C’è però un elemento della società saudita di cui si sa pochissimo, una sorta di baricentro invisibile: il clero wahabita. Alcuni suoi membri hanno assunto sorprendenti prese di posizione contro Gheddafi, di aperta condanna del dittatore e di appoggio alla rivolta armata. È vero che Gheddafi ha cercato di far uccidere il re saudita, ma un simile incoraggiamento alla rivoluzione da parte di religiosi ultraconservatori sorprende comunque.
La domanda vera, in un paese per l’appunto molto giovane, è: cosa passa nella testa dei giovani religiosi wahabiti? Nelle scuole che li formano, per diventare le guide religiose di domani, cosa arriva del mondo esterno, e come lo recepiscono? E i loro maestri che risposte danno alle loro domande, soprattutto alle più difficili, cioè a quelle che non vengono nemmeno espresse ma che girano per le loro giovani teste?
Dove va insomma l’Islam più repressivo che oggi si conosca?
Il Grande Malato di Arabia ha molti seri problemi e corre gravi pericoli, ma nessuno ha veramente idea della sua temperatura basale.
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