IAI
Non proliferazione

Il disarmo nucleare dopo la catastrofe di Fukushima

18 Apr 2011 - Carlo Trezza - Carlo Trezza

Il terremoto/tsunami che ha colpito il Giappone e il conseguente incidente occorso ai reattori di Fukushima Daiich hanno condotto a un ripensamento delle strategie energetiche e a una battuta d’arresto di quel “Rinascimento nucleare” di cui tanto si è parlato negli ultimi anni. Ė lecito domandarsi in che modo questi cambiamenti di posizione sull’uso del nucleare civile si stiano riflettendo sul nucleare in campo militare, visto che negli ultimi anni si è sviluppato un movimento, sia a livello teorico che politico, a favore di un mondo privo di armi nucleari, un obiettivo rilanciato due anni fa dal presidente degli Stati Uniti.

Benché l’incidente sia stato causato da un cataclisma naturale inevitabile e di dimensioni senza precedenti, sono prepotentemente riemerse le apprensioni dell’opinione pubblica nei confronti dell’energia nucleare e l’esigenza di rafforzare le misure di protezione e sicurezza (safety and security) di strutture che sono tra le più critiche al mondo.

Pausa di riflessione
Ha colpito l’immaginario collettivo il fatto che la catastrofe si sia verificata in un paese altamente industrializzato, all’avanguardia nel campo nucleare, dotato di un numero di centrali inferiore solo agli Stati Uniti e alla Francia, attento e preparato come nessun altro ai rischi sismici. L’impatto non ha mancato di farsi sentire: la Germania ha deciso di chiudere le centrali più antiquate, l’Italia ha congelato per un anno il processo di ritorno al nucleare, l’Unione europea ha deciso di sottoporre ad uno “stress test” tutte le centrali, la Cina ha temporaneamente sospeso i nuovi progetti.

Nell’insieme una battuta di arresto che presenta non poche analogie con quanto avvenne in occasione del ben più drammatico incidente di Chernobyl. L’Italia fu allora l’unico paese a chiudere definitivamente le sue centrali, incluse quella di Caorso da poco in funzione e quella di Montalto di Castro ancora in costruzione.

L’aumento del numero di paesi che negli ultimi anni hanno deciso di intraprendere la strada del nucleare civile, avvalendosi del “diritto inalienabile” all’energia nucleare sancito dal trattato di Non-proliferazione nucleare (Tnp), aveva già imposto una maggiore prudenza e il rafforzamento delle misure di sicurezza. Ne sono una testimonianza il vertice sulla sicurezza nucleare tenutosi proprio un anno fa a Washington e il processo che ne è seguito. A maggior ragione ciò dovrà avvenire dopo l’incidente di Fukushima. Destano preoccupazione, ad esempio, le difficoltà tecniche che risultano essersi verificate, poco prima dell’incidente in Giappone, presso la nuova centrale iraniana di Bushehr che hanno condotto alla sospensione delle attività e alla scarica del combustibile. Nonostante le legittime esigenze energetiche globali, è difficile pensare che dopo la pausa si ritorni al “business as usual”.

Riflessi in campo militare
Ė lecito domandarsi se quanto accaduto nel campo energetico civile potrà avere un riflesso anche sulle armi nucleari. La fiducia nell’energia nucleare non dipende soltanto da quanto avviene nelle centrali; essa risente del “peccato originale” derivante dal fatto che il suo primo uso nel 1945 avvenne per scopi militari. Inoltre, l’incidente di Fukushima è avvenuto nel primo e finora unico paese contro cui è stata usata l’arma nucleare: ciò ha contribuito a evidenziare, almeno a livello simbolico, il legame fra nucleare civile e militare.

Anche se gli effetti di un’esplosione atomica sarebbero assai più devastanti, non sfuggono alcune affinità tra la recente triplice catastrofe giapponese (terremoto, tsunami e radiazioni nucleari) e le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki.

Il ripensamento sul nucleare civile potrebbe quindi riverberarsi anche sul fronte degli armamenti, tenuto conto che negli ultimi anni si è sviluppato un movimento per un mondo privo di armi nucleari. Tra i suoi promotori figura lo stesso Presidente degli Stati Uniti il quale, nel suo coraggioso discorso di Praga dell’aprile di due anni fa, si associò alle eminenti personalità americane e straniere (tra cui anche cinque italiane) che si erano pronunciate a favore di dell’“opzione zero”. In quell’occasione il Presidente Obama evocò per la prima volta anche la particolare responsabilità morale degli Stati Uniti in quanto primo e unico paese ad aver impiegato tale tipo di armamento.

Implicazioni etiche
Ė da anni che si parla delle implicazioni dell’uso dell’arma nucleare e delle distruzioni indiscriminate sotto il profilo etico ed umanitario. Il dibattito è stato promosso da attori autorevoli, come la Santa Sede e il Comitato internazionale della Croce rossa, ma anche da alcuni governi e organizzazioni non governative.

Il principale punto di riferimento per quanto riguarda il diritto internazionale rimane il sofferto parere della Corte Internazionale di Giustizia del 1996 sulla legalità dell’uso e della minaccia dell’uso dell’arma nucleare. La massima istanza della giustizia internazionale indicò all’unanimità la necessità che la minaccia o l’uso delle armi nucleari fossero compatibili con le disposizioni del diritto internazionale applicabile ai conflitti armati e con i principi del diritto internazionale umanitario, aggiungendo che in linea generale l’impiego sarebbe contrario alle norme che disciplinano i conflitti armati.

La Corte non giunse a pronunciarsi a favore dell’illegalità totale dell’arma nucleare: si dichiarò infatti incapace di esprimersi in maniera definitiva sulla legalità o meno dell’impiego o della minaccia, qualora questi ultimi avvenissero “in circostanze estreme di legittima difesa in cui fosse in giuoco la stessa sopravvivenza di uno Stato”.

Il parere della Corte, per quanto non vincolante, e nonostante alcune ambiguità, viene regolarmente citato come una pietra miliare da coloro che contestano la legittimità dell’uso dell’arma nucleare. Il pronunciamento del 1996 non ebbe seguiti operativi immediati anche se è sempre rimasto vivo il dibattito internazionale sulle cosiddette “garanzie negative” e cioè sul non-impiego dell’arma atomica da parte delle potenze nucleari nei confronti dei paesi che hanno rinunciato a tale arma.

Conseguenze umanitarie
Uno sviluppo significativo si è avuto lo scorso anno, allorché i 189 paesi parte al Trattato di non-proliferazione nucleare (Tnp) espressero, in un Piano di azione approvato consensualmente, la loro profonda preoccupazione (deep concern) per le “catastrofiche conseguenze umanitarie dell’impiego dell’arma nucleare” e riaffermarono “la necessità che tutti gli stati rispettino sempre le pertinenti norme internazionali incluso il diritto umanitario internazionale“.

Attraverso tali disposizioni del Piano di azione, la questione umanitaria viene introdotta anche all’interno del Tnp, che è il principale processo multilaterale dedicato alle questioni del nucleare civile e militare, aprendo la strada a possibili nuovi sviluppi.

L’incidente di Fukushima, che ha evidenti implicazioni sul piano dell’energia e della sicurezza delle centrali, potrebbe dunque averne anche sulla questione dell’impiego dell’arma nucleare. Gli aspetti civili e militari sono due facce della stessa medaglia.

Ė probabile che di ciò si inizi a parlare già in occasione della prossima Assemblea generale dell’Onu. Altri importanti appuntamenti internazionali sono in programma il prossimo anno: riprenderà il processo di riesame del Tnp; si terrà a Seoul il secondo vertice sulla sicurezza nucleare; ed è prevista una Conferenza su una Zona priva di armi nucleari e di distruzione di massa in Medioriente. Tre appuntamenti che potrebbero rilanciare l’agenda del disarmo nucleare a livello multilaterale, venendo incontro anche alle nuove, gravi preoccupazioni suscitate nell’opinione pubblica dalla tragedia di Fukushima.

.