Accordo Italia-Tunisia, per che fare?
Il 5 aprile è stato finalmente raggiunto un accordo tra il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il suo omologo tunisino Habib Essid. L’obiettivo è di rafforzare il controllo dei flussi migratori irregolari e facilitare il rimpatrio (o la riammissione) dei cittadini tunisini in situazione irregolare.
Eppure, la pressione esercitata da Silvio Berlusconi durante la sua recente visita a Tunisi, sotto il diktat della Lega Nord, non faceva presagire un tale accordo. Tanto più che il suo omologo tunisino Béji Caïd Essebsi ha fatto un discorso pragmatico, ricordando al Presidente del Consiglio italiano le molteplici sfide sociali, politiche ed economiche cui il governo tunisino provvisorio deve far fronte, dopo la rivoluzione del 14 gennaio 2011, per rispondere alle attese dei suoi cittadini. Questo richiamo ai pressanti problemi che assillano oggi la Tunisia riveste, a ben vedere, un’importanza maggiore dell’accordo in quanto tale.
Innanzitutto, perché mette in luce come le priorità immediate del governo provvisorio tunisino siano diverse da quelle del governo italiano. Il primo ha il bisogno impellente di consolidare un certo grado di stabilità sociale ed economica per garantire la transizione democratica fino alle prossime elezioni della costituente nel luglio 2011, laddove il secondo agita il tema della sicurezza e della situazione di emergenza a Lampedusa per tutt’altri fini.
In secondo luogo, il nuovo regime tunisino trae la sua legittimità principalmente in Tunisia, da attori locali che fanno parte integrante di una società civile divenuta attenta e vigilante sul rispetto delle rivendicazioni di libertà e giustizia sociale, che hanno mobilitato un’intera popolazione, al di là delle divisioni.
Infine, un accordo bilaterale che mira a facilitare l’espulsione o la riammissione dei migranti in situazione irregolare riflette, per definizione, un’asimmetria di interessi che si può correggere solo attraverso compensazioni finanziarie, commerciali o materiali variabili nel tempo.
Esperienze passate
La cooperazione italo-tunisina in materia di riammissione dei migranti in situazione irregolare non è una novità. In passato sono stati stipulati tre accordi bilaterali miranti a facilitare, fra l’altro, l’espulsione delle persone in situazione irregolare. Non si tratta di accordi standard di riammissione, ma di accordi legati alla riammissione che possono essere rapidamente rinegoziati per rispondere agli interessi variabili, quando non contrastanti, delle parti contraenti.
Così, il primo accordo, datato 6 agosto 1998, si basava su una nota verbale tra il ministro degli esteri italiano e l’ambasciatore della Tunisia a Roma: vi si proponeva la messa in opera di un dispositivo di controllo dei flussi in provenienza dalla Tunisia o in transito sul territorio tunisino in cambio di quote di ingresso in Italia per i lavoratori tunisini. La nota verbale prevedeva inoltre il finanziamento da parte delle autorità italiane di centri di trattenimento sul territorio tunisino e vietava esplicitamente le espulsioni collettive di migranti riammessi in Tunisia.
Qualche anno più tardi – il 13 dicembre 2003 – fu concluso un secondo accordo bilaterale per la cooperazione di polizia. Aveva come obiettivo principale di addestrare le forze di polizia tunisine a un controllo rafforzato della frontiera marittima con l’Italia attraverso un’assistenza tecnica e una più stretta cooperazione tra le autorità dei due paesi. Erano previste, come nel primo accordo, quote di ingresso in Italia per i lavoratori migranti tunisini per spingere il governo tunisino a cooperare nella “lotta all’immigrazione clandestina”.
Un terzo accordo è stato stipulato il 28 gennaio 2009 tra i ministri dell’Interno Roberto Maroni e Rafik Haj Kacem (l’ex-ministro sotto il regime di Ben Ali). Si basava su un’intesa mirante ad accelerare il rilascio dei lasciapassare – condizione necessaria per l’espulsione dei migranti irregolari privi di documenti di viaggio e identificati come cittadini tunisini – da parte delle autorità consolari tunisine.
Dal punto di vista dell’Unione europea (Ue) e dei suoi Stati membri, il rilascio dei lasciapassare consolari ha costituito, da sempre, un problema centrale della cooperazione in materia di riammissione. Ciò riguarda tutti i paesi terzi, senza eccezione, con cui gli Stati membri dell’Ue hanno concluso degli accordi, siano essi standard o meno.
Nel contesto euro-mediterraneo, diversi Stati membri, in particolare la Spagna, la Francia, la Grecia e l’Italia hanno tentato di aggirare il problema proponendo contropartite o compensazioni finanziarie nell’ambito di accordi flessibili, come scambi di lettere, note verbali, memorandum di intesa, o accordi di cooperazione tecnica che includono una clausola in materia di lotta all’immigrazione clandestina. Tuttavia, l’esperienza ha dimostrato che queste modalità di cooperazione, benché possano funzionare in situazioni di emergenza, non garantiscono una cooperazione costante nel lungo termine.
Nulla di nuovo
Una domanda s’impone. Per quale ragione le autorità italiane hanno insistito tanto che si concludesse un quarto accordo, considerata anche la passata esperienza bilaterale, fra cui il recente accordo del gennaio 2009? Si risponderà che i cambiamenti radicali intervenuti in Tunisia esigono un nuovo quadro dei reciproci impegni in materia di riammissione.
Non è però una spiegazione convincente. In primo luogo, la cooperazione in materia di lotta contro l’immigrazione clandestina e di riammissione non può essere isolata dal quadro complesso di interazione tra Stati, da cui dipende, in ultima analisi, il grado di cooperazione bilaterale. Tutte le autorità statali, al Nord come al Sud del Mediterraneo, lo sanno.
Inoltre, la conclusione di un accordo permette di dimostrare alle società dei paesi di destinazione che questi ultimi sono capaci di “proteggerli” contro “minacce” esterne, o percepite come tali. Questa risposta fattuale, specie quando è abilmente propagandata attraverso i media, può servire a rafforzare la legittimità di un governo in calo di consensi, specialmente nei periodi pre-elettorali.
Infine, parlare di rimpatri è spesso un modo per tentare di rinvigorire il legame tra Stato e cittadini, anche se così si rischia di compromettere valori universali e obblighi internazionali in materia di rispetto dei diritti fondamentali dei rifugiati, dei richiedenti asilo e degli immigrati, e della loro dignità.
Indubbiamente il governo provvisorio tunisino ha saputo decifrare le motivazioni del governo italiano, esplicite o meno, concrete o simboliche. Tuttavia, l’accordo firmato l’altro giorno da Roberto Maroni e Habib Essid non servirà ad affrontare, nel lungo termine, le cause profonde delle tragedie umane nel Mediterraneo, così come non potrà occultarle nel breve termine.
.