Verso una coalizione arabo-occidentale?
La crisi libica vede una forte partecipazione del mondo arabo. Fra i presentatori della Risoluzione 1973, che ha autorizzato l’intervento in Libia, spicca infatti il governo libanese. Inoltre, l’intervento è stato appoggiato sia dal Consiglio di Cooperazione del Golfo sia dalla Lega degli Stati Arabi. Il Consiglio ha votato a favore all’unanimità, la Lega con la sola astensione della Siria e dell’Algeria. Si è poi aggiunto l’appoggio dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, quindi dei musulmani oltre che degli arabi.
Rara convergenza
Un’alleanza arabo-occidentale contro un paese arabo è più l’eccezione che la regola. I paesi arabi hanno partecipato a numerose missioni di pace guidate dall’Occidente su mandato dell’Onu, ma si trattava di paesi e crisi non arabe: missioni nell’Africa a sud del Sahara, nei Balcani e altrove. Solo la coalizione multinazionale guidata dagli Usa contro l’invasione irachena del Kuwait nel 1991 conobbe un’estesa alleanza internazionale arabo-occidentale per intervenire in una crisi araba, contro un paese arabo.
Ma mentre con l’intervento in Kuwait, che fu anch’esso autorizzato dall’Onu, si reagì all’aggressione di uno stato arabo contro un altro stato arabo, quello in Libia è contro un governo arabo impegnato nella repressione di una rivolta interna, un caso cioè politicamente e legalmente molto più spinoso del primo. Vale perciò la pena di riflettere su motivazioni e obiettivi dell’attuale rinnovarsi di questa rara convergenza fra arabi e occidentali.
La Libia di Gheddafi non è amata in nessuna parte del mondo arabo. L’attivismo del colonnello e la sua inframmettenza hanno sempre irritato gli altri leader arabi, a cominciare dal leader egiziano Nasser. Ogni iniziativa e aiuto di Gheddafi si sono sempre accompagnati alla pretesa di imporre le sue idee e i suoi programmi.
Quando negli anni novanta si è trovato isolato fra gli arabi, ha preso a insultarli e disprezzarli, ha lanciato la provocazione della “Isratine” (un solo stato comprendente israeliani e palestinesi) e ha pubblicamente inveito contro il re saudita Abdullah.
Infine, i regimi arabi più religiosamente ortodossi, come appunto l’Arabia Saudita, aborrono la pretesa di Gheddafi di fornire con il suo “Libro Verde” una versione cesarista dell’Islam. Lungi da ogni principio laico di non-interferenza negli affari religiosi, il regime libico ha al contrario tentato di assoggettare l’Islam, che è finito anch’esso, almeno teoricamente, sotto il diretto controllo della Guida Gheddafi.
Crisi sistemica
Isolato fra gli arabi, Gheddafi ha cercato di esercitare una sua leadership nell’Africa a sud del Sahara. Qui ha trovato meno resistenza e ha potuto così fare gravi danni, da ultimo in Liberia e Sierra Leone.
Non che l’aspro rapporto con gli altri paesi arabi abbia di per sé determinato le prese di posizione di questi ultimi contro Gheddafi. Tuttavia, le ha facilitate, anche perché all’opinione pubblica si è potuto facilmente presentare Gheddafi come assassino di inermi musulmani e l’adesione alle iniziative occidentali come dettata da intenti umanitari.
In realtà, a determinare l’interventismo arabo contro Gheddafi è stata la dinamica apparentemente incontrollabile della crisi. La rivolta libica è un episodio della più ampia crisi che sta rapidamente avvolgendo l’intero mondo arabo. A differenza della crisi tunisina e di quella egiziana, quella libica ha messo capo a una guerra civile, ma il senso delle tre crisi aperte è identico ed è lo stesso di quelle che stanno montando in Giordania, Yemen, Bahrein, e ora in Siria, nonché di quelle latenti in molti altri paesi, come in Algeria e persino in Arabia Saudita.
Si tratta dovunque di una crisi di legittimità – spesso, ma non sempre, acuita da gravi disagi socio-economici – che sta esplodendo quasi ovunque, traducendosi in una pressante domanda di libertà. È questa crisi di legittimità, che spinge i governi arabi, esattamente come accadde nel 1991, a unirsi alla coalizione guidata dall’Occidente.
Nel 1991 il rovesciamento dell’equilibrio internazionale bipolare minacciava di tradursi in crisi interne di legittimazione. Questo costrinse i regimi arabi a partecipare sia alla coalizione contro l’Iraq sia alla conferenza di Madrid sul Medioriente, cioè a integrarsi nella sfera occidentale per prevenire i contraccolpi domestici del loro indebolimento internazionale.
Piattaforma di collaborazione
Oggi, i regimi si trovano ad affrontare una crisi di legittimazione interna più diretta e grave di quell’altra. L’opportunità di cooperazione con l’Occidente, che è offerta dalla crisi in Libia, consente loro di ampliare grandemente il loro margine di reazione. Dà loro voce in capitolo nella gestione di una crisi, che altrimenti rischiano semplicemente di subire.
Ai regimi che oggi cooperano con l’Occidente contro Gheddafi sarà più difficile negare appoggio. Parimenti, per questi stessi regimi sarà più facile negoziare riforme con i paesi occidentali. Questa è la determinante di fondo della convergenza degli arabi con l’Occidente nella crisi in corso, in quella libica e in quella più vasta del mondo arabo.
Questa lettura consente di valutare meglio quello che sta accadendo e talune ironie che sono implicite negli sviluppi correnti. La coalizione arabo-occidentale che è nata contro la Libia è un’importante opportunità di gestione politica della crisi: offre ai regimi arabi e ai paesi occidentali una piattaforma di collaborazione che può servire ad incanalare i caotici sviluppi in corso verso soluzioni condivise e sostenibili.
Per i regimi arabi, si tratta di recuperare credibilità agli occhi dell’Occidente, anche pagando dei prezzi in termini di riforme finora respinte. Per i paesi dell’Occidente, si tratta di uscire con soluzioni ragionevoli dai dilemmi a cui situazioni come quella di Bahrein li inchiodano.
La Libia permette questa convergenza di arabi e occidentali perché non ha rilevanza strategica né per gli arabi né per gli occidentali. Gli interessi economici in gioco sono notevoli, ma le implicazioni regionali sono relativamente limitate. Al contrario, le crisi nel Mashreq e nel Golfo, essendo collegate con i conflitti regionali in corso, hanno una forte rilevanza strategica per occidentali e arabi.
Perciò, questa prospettiva non si applica a casi come quello della Siria. Damasco – come Algeri – si è tenuta fuori. D’altra parte, se come gli eventi in corso fanno ritenere, ci sarà una rivolta contro il regime, nessuno vorrà o potrà metterci il dito per timore di accendere la miccia dei conflitti regionali cui la Siria è collegata, quello con Israele e quelli che riguardano l’Iran. Ma può anche darsi che la crisi siriana, una volta scatenata, tracimi comunque. Una crisi siriana potrebbe rinsaldare la coalizione arabo-occidentale che oggi si profila.
Perciò, in principio la crisi libica può essere un’occasione per ricomporre i rapporti fra Occidente e arabi moderati. Ciò detto non ci si possono nascondere le difficoltà e le contraddizioni in cui questa prospettiva si muove. Per esempio, non sarà facile conciliare l’obiettivo di cambio del regime che Francia e Regno Unito si pongono con l’atteggiamento più cauto e compromissorio dei paesi arabi, che sono soprattutto preoccupati di contenere le violenze del regime contro i cittadini libici agli occhi delle loro opinioni pubbliche e vedono comunque male un cambiamento di regime imposto dal di fuori, perché è per loro un cattivo presagio. D’altra parte, gli arabi possono contare sull’atteggiamento più prudente e conservatore di alcuni paesi occidentali, come l’Italia, la Germania e forse gli Usa.
Questi e altri contrasti richiederanno una gestione diplomatica più attenta di quella che si è vista negli ultimi giorni da parte dei leader della coalizione. L’idea della Francia di distinguere la gestione politica della crisi da quella operativa (che tocca alla Nato) e di creare una cabina di regia nella quale possano sedere anche gli arabi – a parte il suo merito in termini di alleanze occidentali – può conciliare, ma anche esacerbare le contraddizioni latenti di questa eccezionale coalizione arabo-occidentale che oggi si presenta sulla scena.
Non si vorrebbe che – nella foga francese di assicurarsi una primazia mediterranea – si replicasse quanto è accaduto con l’Unione per il Mediterraneo, dove gli arabi sono entrati nella cabina di regia e hanno bloccato tutto ancor prima che l’inchiostro degli accordi si fosse asciugato.
.