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Dopo la risoluzione Onu

L’intervento contro Gheddafi e l’uso delle basi italiane

19 Mar 2011 - Mario Arpino - Mario Arpino

La risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza giunge provvidenziale a togliere ogni alibi di carattere ideologico o economico alla comunità internazionale, costringendola ad uscire allo scoperto sulla questione Libia. Ogni accordo pregresso tra governi viene ora superato, ogni patto bilaterale può essere disatteso, ogni restrizione di sovranità viene giustificata, ogni atto di forza – perfino i bombardamenti aerei e navali – diviene lecito, purché ispirato da esigenze umanitarie. L’unico atto che questa risoluzione vieta esplicitamente è il dispiegamento di una forza straniera (anche araba, o solo occidentale?) in qualsiasi forma e in qualsiasi parte del territorio libico.

Azione umanitaria senza “occupazione”?
Negli ultimi quattro lustri è la seconda volta, a memoria, che l’Onu – sia pure per fini umanitari – autorizza esplicitamente l’uso della forza. La prima è stata il 29 novembre 1990, quando, con la risoluzione 678, il Consiglio di Sicurezza intimò a Saddam Hussein, con un ultimatum, di ritirarsi dal Kuwait entro il 16 gennaio. Prima di passare ai fatti gli era stato dato un mese e mezzo di tempo per riflettere. A Gheddafi, niente. Sembrava che la semplice minaccia di applicazione del potere aereo avesse funzionato, tanto che il ministro degli esteri libico si era affrettato a dichiarare una sorta di “cessate il fuoco” unilaterale. Ma si trattava di un tattica dilatoria.

Resta da vedere come è possibile l’azione umanitaria senza mettere piede sul territorio. Evidentemente lo è, ma in questo caso il linguaggio della Risoluzione 1973 è piuttosto sibillino. Il paragrafo sulla “Protezione dei civili”non sembra in effetti offrire indicazioni concrete e appare in contrasto con l’esclusione di ogni “forza di occupazione straniera in qualunque forma e in qualunque parte del territorio libico” .

Basi americane in Italia
Stupisce questa volta la strana acquiescenza bipartisan alla “concessione” delle basi ancora prima della risoluzione. Non era mai accaduto, se ricordiamo la prima e la seconda guerra del Golfo, la problematica della caserma Ederle a Vicenza, la stazione Loran di Lampedusa e le lunghe diatribe per i rischieramenti alleati durante la missione Deny Flight sulla Bosnia e la guerra per la liberazione del Kosovo. La questione delle basi americane in Italia non è infatti argomento nuovo per il nostro pubblico e, a maggior ragione, non lo è per le forze politiche.

Eppure, ogni volta che se ne è discusso – è accaduto puntualmente una o più volte nell’arco di ciascuna legislatura – l’approccio è stato non pragmatico, come i molti aspetti tecnici avrebbero richiesto, ma ideologico. Ora che ci apprestiamo – ma continuiamo a sperare di no – a bombardare Gheddafi, sulle basi nessuno ha più niente da dire. Meglio così, perché forse si è finalmente compreso che si tratta di accordi bilaterali tra due paesi democratici, regolati in primis da un documento politico, che a sua volta include un certo numero di annessi tecnici, in genere uno per ciascuna installazione.

L’accordo politico è il “Bilateral Infrastructure Agreement” (Bia), più noto negli ambienti ministeriali come Accordo Ombrello. Il documento, che regola i rapporti tra l’Italia e gli Stati Uniti in relazione all’uso delle basi italiane concesse alle forze americane in Italia, fu firmato nel 1954 dall’allora ministro Pella e dall’ambasciatore pro-tempore degli Stati Uniti in Italia, la signora Clara Booth Luce. L’originale è presumibilmente custodito presso la Farnesina, ma in copia è disponibile presso la Difesa.

Gli accordi con Washington
Pur trattando argomenti di carattere preminentemente logistico, il documento stabilisce, tra l’altro, il tetto massimo di militari americani che possono stazionare contemporaneamente nel nostro paese. Sebbene datato, si tratta di un documento tuttora sufficientemente idoneo a tutelare la sovranità nazionale, e, in ogni caso, non contiene elementi che possano eroderla o comprometterla. Si tratta di documento classificato; non si sa quindi se il corpo centrale sia stato ridiscusso di recente.

Il documento, che ha carattere generale, non prevede sotto-accordi per ciascuna delle tre forze armate, ma è corredato da un certo numero di “Technical Agreements” (Ta), uno per base, negoziabili e spesso negoziati, dove vengono tutelate tutte le prerogative e gli interessi nazionali, ivi compresi quelli relativi all’ambiente e al territorio. L’ultima serie di aggiornamenti a questi annessi deriverebbe dal cosiddetto “Shell Agreement”, firmato a livello Stato Maggiore della Difesa e comando delle forze Usa in Europa nel 1995, per esigenze riguardanti le operazioni nei Balcani, che comunque recepiva tutti gli aspetti politici contenuti nell’ “Ombrello” cui si ispirava.

Per effetto di questi accordi, sempre scrupolosamente osservati dalle parti, la somma di personale o di assetti bellici Usa precisato da ciascun annesso non supera mai il tetto massimo previsto dall’accordo, che dovrebbe essere rinegoziato se ciò dovesse accadere. Ed è molto probabile, ma questa è solo una ragionevole supposizione, che oggigiorno questo numero sia di gran lunga inferiore, considerato che con la fine della guerra fredda la consistenza degli organici delle forze armate statunitensi è stata fortemente ridotta. Specie in Europa, in parte decaduta come interesse strategico americano. È allora sufficiente scrivere bene, a livello di autorità civili-militari locali, un buon Technical Agreement che tuteli in modo ottimale gli interessi di tutti.

Uso delle basi Nato in Italia
Per quanto riguarda le basi Nato, la questione è un po’ diversa, anche se simile. Anche in questo caso, per esigenze legate alle operazioni nei Balcani nel 1995 era stato siglato un “Memorandum of Understanding” (Mou) fra Ministero della Difesa e Comando Supremo delle Forze Alleate in Europa (Shape) riguardante il supporto logistico alle forze esterne in transito o temporaneamente stanziate sul territorio italiano. Questo Mou era stato completato con “Local Arrangements” stipulati con olandesi, belgi, francesi, turchi, inglesi e americani (aggiuntivi questi ultimi a quelli già in atto per le forze Usa ad Aviano, i cui accordi sono invece tuttora regolati dall’Accordo Ombrello/Bia e dai relativi accordi tecnici/Ta).

In entrambi i casi, le procedure non cambiano e la sovranità nazionale resta intatta. Per Bosnia e Kosovo erano state rese disponibili – tra molte proteste – ben 15 basi che ospitavano circa 300 aeroplani. Il ministro La Russa ha dichiarato che le basi aeree che l’Italia può mettere a disposizione per eventuali interventi in Libia sono sette: Amendola, Gioia del Colle, Sigonella, Aviano, Trapani, Decimomannu e Pantelleria. Il parlamento, in sede di commissioni esteri e difesa, ha anche approvato l’eventuale disponibilità di mezzi aerei e navali.

Gheddafi ha finto di accettare il cessate il fuoco chiesto dalla Risoluzione Onu, ma ha in realtà continuato l’offensiva contro le truppe ribelli. È una sfida a tutta la comunità internazionale, che è ora posta di fronte a nuove a più gravi responsabilità.

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