IAI
Intervento in Libia

La disputa nella coalizione anti-Gheddafi e il futuro della Nato

24 Mar 2011 - Vincenzo Camporini - Vincenzo Camporini

La questione che sta agitando i governi della coalizione anti-Gheddafi potrebbe apparire come una schermaglia su sottigliezze diplomatiche o come una meschina diatriba dettata dalla vanità di essere in prima fila sul palcoscenico di questa drammatica vicenda. Non è così e non credo di esagerare se dico che il futuro delle relazioni fra i paesi occidentali e la stessa sopravvivenza efficace delle istituzioni sovranazionali dipendono dal suo esito.

Se la gestione della crisi e quindi delle operazioni debba vedere un ruolo da protagonista dell’Alleanza Atlantica, oppure se i singoli paesi mantengano una reale libertà di azione ha implicazioni su vari piani dimensionali. Il più banale e di agevole comprensione è quello strettamente operativo.

Catena di comando
Qualsiasi campagna militare si può sviluppare con efficacia se tutte le forze in campo agiscono in modo coordinato, con una piena consapevolezza dei movimenti e delle azioni di ogni componente.

Con specifico riferimento alle operazioni in corso in Libia, la scelta degli obiettivi, la definizione delle loro priorità, la pianificazione dell’impiego dei mezzi, del tipo di armamento da utilizzare, la sincronizzazione delle missioni, comprese quelle di supporto dei rifornitori, degli Awacs, sono attività che devono essere svolte in un unico centro di pianificazione, comando e controllo.

Trovarsi in una situazione in cui i velivoli di una forza aerea obbediscono ad ordini non perfettamente coordinati con quelli degli altri, oltre ad una scarsa efficienza, comporta rischi reali per la stessa incolumità egli equipaggi impiegati. È pertanto indispensabile che la gestione delle operazioni venga attuata in un’unica catena di comando, efficiente e ben collaudata: ebbene, non ne esistono di alternative a quella Nato, che ha le competenze, le conoscenze, le strutture, i fasci di comunicazione che non esistono altrove.

Veniamo ora alla gestione politica della crisi, che deve anch’essa rispondere a criteri di coerenza e trasparenza, con una chiara visione e condivisione degli obiettivi. È francamente stupefacente dover constatare la disinvoltura con cui ci si comporta nei rapporti bilaterali, anche in quelli condotti con configurazioni a stella fra una molteplicità di attori, ma che per loro natura mantengono il carattere di bilateralità: solo in questo scenario è possibile far decollare i propri bombardieri verso gli obiettivi designati prima ancora dell’inizio della riunione di vertice che avrebbe dovuto dare il via all’attacco.

Chi si oppone con tenacia alla riconduzione della gestione politica della crisi ad un organismo istituzionale multilaterale, vuole con ogni evidenza lasciarsi le mani libere di agire al di fuori di una qualsiasi azione concertata ed è sorprendente che questo atteggiamento venga assunto da chi ha ferocemente criticato l’unilateralismo americano ai tempi dell’operazione Iraqi Freedom.

Comitato di direzione
È quindi nel pieno interesse della comunità internazionale che il dibattito politico avvenga all’interno di una istituzione ampiamente collaudata che non è necessariamente la Nato, con i suoi complessi e articolati meccanismi. Anche se la Nato appare in ogni caso una scelta preferibile.

Se si vuole tuttavia rifiutare tale scelta, si renderà necessario costruire un organismo ad hoc, di cui peraltro abbiamo già avuto esempi nel recente passato: l’operazione Alba, fortemente propugnata dall’Italia, autorizzata da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza e formata da una “coalizione di volenterosi”, venne gestita da un Comitato di direzione, uno Steering Committee, formato da rappresentanti dei paesi partecipanti. Ma si trattava di un’operazione relativamente semplice, negli scopi di natura più civile che militare, condotta in un ambiente permissivo e fu quindi abbastanza agevole definire rapidamente regole e procedure.

Nel caso in esame la situazione è ben più complessa e articolata, comportando un esteso uso della forza e richiedendo quindi chiari accordi, ad esempio in termini di regole di ingaggio. È fattibile tutto ciò al di fuori del Comitato Atlantico, che può godere del supporto di un Comitato Militare e di organi di staff perfettamente oliati? È lecito dubitarne, anche se non lo si può escludere.

Al riguardo c’è anche da osservare che la decisione di procedere con uno Steering Committee ad hoc richiede anche la definizione giuridica e procedurale delle modalità per affidare la gestione delle strutture operative Nato alla nuova entità politica. In tal caso si può pensare di mutuare gli accordi che vanno sotto il nome di Berlin plus e che regolano i rapporti tra l’Alleanza Atlantica e l’Unione europea, nel caso di attività militari di quest’ultima, effettuate con mezzi e strumenti della Nato. Non dimentichiamoci però il tempo e la fatica che occorsero per la definizione di tali accordi, in un’atmosfera considerevolmente più serena di quella di cui oggi siamo testimoni.

Nato e Ue
Ma veniamo al punto più rilevante che rende più che altamente auspicabile il coinvolgimento il più ampio ed esteso possibile della Nato nella gestione della crisi libica: l’argomento politico.

Nato ed Unione europea costituiscono oggi le uniche due realtà istituzionali che hanno dimostrato di essere capaci, pur se a volte non tanto quanto avremmo voluto, di coagulare una volontà comune.

Le sfide che ci attendono, non fra qualche generazione, ma oggi, nell’immediato, sono di una tal portata che è impensabile non affrontarle insieme, con politiche sostanzialmente e convintamente concordate e condivise. Qualsiasi azione, decisione, comportamento che indebolisca queste due realtà deve essere evitato, se non vogliamo trovarci disarmati di fronte ai problemi che si trovano dietro l’angolo, che avranno carattere multidisciplinare e multidimensionale e che pertanto richiederanno l’utilizzo integrato di tutti gli strumenti disponibili, quelli del ‘soft power’ e quelli dello ‘hard power’. Chi si rifugia in meschini egoismi nazionalistici, oltre a commettere un atto di autolesionismo, indebolisce le capacità di tutti di costruire un futuro dalle tinte meno cupe di quelle che possiamo già oggi intravvedere.

In particolare la Nato, dopo aver vinto la guerra fredda ha ampiamente dimostrato di non avere esaurito il proprio ruolo, che, al contrario, si è arricchito di un dibattito politico e diplomatico intenso, qualche volta problematico, ma certamente fruttuoso: il dialogo tra le due sponde dell’Atlantico non sarebbe possibile se a Bruxelles non ci fosse il luogo ideale, oltre che fisico, dove possono essere discusse le strategie che consentono di controllare una realtà globale sempre più complessa.

Voler ridurre la funzione dell’Alleanza a una semplice ‘cassetta degli attrezzi’ cui attingere per reagire, con modalità ogni volta da reinventare, alle emergenze che di volta in volta si presentano, non è solo un modo riduttivo di utilizzare una risorsa unica e vitale.

Significa non avere compreso che i popoli che si definiscono occidentali e che condividono cultura, categorie, visioni comuni dei rapporti tra individuo e comunità, non possono permettersi di allentare i rapporti che li legano ed in particolare il rapporto transatlantico. Pena, una nuova deriva neoisolazionista a Washington e una crescente conflittualità fra le (piccole) potenze europee, sempre meno consapevoli della loro crescente irrilevanza nel contesto globale.

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