Embargo navale, in azione la Nato
Era dai tempi dell’embargo navale contro l’Iraq del 1991 e contro la Jugoslavia del 1992 che le Nazioni Unite non decretavano tale misura contro un paese violatore della legalità internazionale. In tutti questi anni non si era più fatto ricorso a quella che è una classica misura coercitiva (peace-enforcing) navale applicabile in alto mare ai sensi dell’articolo 42 della Carta delle Nazioni Unite.
Non la si è adottata neanche quando – come nel caso del conflitto tra Israele e Libano del 2006 – sarebbe stata necessaria per rendere efficace l’azione delle forze navali operanti sotto egida Onu – nell’ambito della missione Unifil – incaricate di impedire l’ingresso clandestino di armi in Libano.
Ora il Consiglio di Sicurezza, con la Risoluzione 1973, ha imboccato con decisione la strada dell’interdizione navale del traffico d’armi facente capo alla Libia, nell’evidente intento di far fronte alla situazione che si creerà in futuro, quando il conflitto passerà dalla fase virulenta a quella di un’insidiosa guerra di posizione e di destabilizzazione.
Embargo delle armi
Quello che si profila, in aggiunta alle operazioni di neutralizzazione aerea per la “No fly zone” e alle altre misure sanzionatorie di natura penale e finanziaria previste dalla Risoluzione 1973, è dunque un embargo del traffico di armi via mare. Vale a dire una misura selettiva che, pur non essendo un blocco navale indiscriminato di chiusura dei porti libici né un embargo esteso anche a forniture non militari, dovrebbe servire a tenere sotto stretto controllo i traffici marittimi del Mediterraneo e dell’adiacente Mar Rosso e a impedire così il riarmo delle fazioni in lotta e il dilagare di minacce terroristiche.
Il divieto di import ed export, sia diretto che indiretto, di qualsiasi tipo di armi e materiali d’armamento (esclusi quelli non letali per uso umanitario o protettivo) era stato imposto alla Libia e a tutti i paesi membri delle Nazioni Unite già dalla Risoluzione 1970 adottato il 26 febbraio scorso. Benché il bando fosse totale, la mancanza di strumenti coercitivi extraterritoriali rischiava – come nel caso dei vincoli imposti alla Corea del Nord dalla Risoluzione 1874 (2009) – di limitarne la valenza all’applicazione spontanea da parte dei singoli stati.
Le forze navali della Nato avevano perciò cominciato dallo scorso 10 marzo ad effettuare esclusivamente un monitoraggio del traffico marittimo in prossimità delle coste libiche senza tuttavia esercitare poteri coercitivi: qualcosa di simile alle attività condotte nel Mediterraneo orientale dalle Forze partecipanti all’operazione “Active Endeavour” in risposta alla crisi dell’11 settembre.
Interdizione navale
Ora sarà invece possibile impedire la navigazione di un mercantile trasportante armi o materiali d’armamento nonché mercenari armati diretto o proveniente dalla Libia. Le navi da guerra operanti in mare sotto l’egida dell’Onu potranno così, sulla base della Risoluzione 1973 “usare tutte le misure proporzionate alle specifiche circostanze per condurre tali ispezioni” (“to use all measures commensurate to the specific circumstances to carry out such inspections”) .
Questo vuole dire, alla luce della prassi dei precedenti embarghi navali, che esse hanno il diritto in alto mare di:
a) visitare e ispezionare (visit and search) il carico sia delle navi battenti la propria bandiera sia delle navi mercantili con bandiera di qualsiasi Stato qualora vi siano fondati sospetti che le stesse siano coinvolte in violazione dell’embargo di armi contro la Libia;
b) esercitare la forza, secondo i principi della necessità e proporzionalità, nel caso che un mercantile opponga resistenza alla visita o cerchi di sfuggire;
c) dirottare (divert) il mercantile, qualora risulti coinvolto nel trasporto di carichi vietati, verso un porto diverso da quello in cui era previsto lo scalo.
In alternativa a questa forma di dirottamento, nel caso in cui la visita non sia possibile in mare per avverse condizioni meteorologiche o per inaccessibilità del carico (si pensi al problema dei container), la nave da controllare potrà essere instradata verso una “diversion area” costiera per la successiva eventuale adozione di provvedimenti di confisca del carico e di sequestro della nave, qualora questo sia previsto dalla legislazione del Paese ove l’illecito è stato accertato.
Non solo Mediterraneo
La Risoluzione 1973 autorizza le attività di interdizione in alto mare. Non vengono stabiliti limiti geografici, sicché in teoria l’embargo potrebbe essere applicato in tutto il Mediterraneo, a seconda delle capacità delle forze navali operanti.
Nulla impedirebbe peraltro alle stesse forze di effettuare azioni mirate anche in Mar Rosso, considerato che la Libia confina con il Sudan e che armi possono provenire dalla penisola arabica o esservi dirette. Non a caso per molti anni la Marina statunitense ha controllato l’applicazione dell’embargo contro l’Iraq nel Golfo di Aqaba e nello stesso Mar Rosso al fine di evitare che i traffici di armi vietati dalle Nazioni Unite con la Risoluzione 665 (1990) seguissero vie indirette.
Ruolo della Nato
Il Consiglio Atlantico ha approvato il piano di attuazione dell’embargo lo scorso 20 marzo. A breve inizierà quindi una nuova missione navale che dovrebbe essere svolta dalla Forza Nato Snmg1 (Standing Nato Marittime Group 1) attualmente sotto comando italiano affidato al Contrammiraglio Gualtiero Mattesi imbarcato su Nave “Etna”. L’operazione – il cui termine non è al momento prevedibile – richiederà comunque uno stretto coordinamento con eventuali analoghe operazioni condotte unilateralmente da altri Stati secondo quanto espressamente stabilito dalla Risoluzione 1973.
L’obiettivo primario sarà come ovvio quello dell’interdizione del traffico di armi. Ma è senz’altro ipotizzabile che il controllo stringente del traffico marittimo determini il blocco di tutte quelle attività illegali che si svolgono via mare. Il loro contrasto, soprattutto per quanto riguarda il terrorismo e le minacce alla sicurezza energetica, è peraltro divenuto un compito istituzionale delle forze Nato dopo il Vertice di Lisbona dello scorso anno.
L’embargo navale contro la Libia va quindi inquadrato in un ambito più vasto, come strumento per la stabilizzazione del Mar Mediterraneo mirante ad evitare che l’onda d’urto della crisi del Nord Africa si propaghi senza incontrare ostacoli verso la sponda europea.
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