La crisi libica e il legame energetico con l’Italia
Con le compagnie energetiche internazionali che rimpatriano il personale e abbandonano le attività di esplorazione ed estrazione, le forniture dalla Libia, ottavo paese al mondo per riserve accertate di petrolio e ventiduesimo per il gas naturale, rischiano di rimanere bloccate a lungo, prefigurando scenari di incertezza per la sicurezza energetica globale, e in particolar modo per quella italiana.
Risorse e potenzialità
Dopo la revoca delle sanzioni economiche dell’Onu nel 2003, la Libia ha iniziato ad attrarre gli investimenti di numerose compagnie energetiche straniere per lo sviluppo dei propri giacimenti di idrocarburi.
Grazie all’apertura del settore energetico al mercato, si è avuta un’impressionante crescita della produzione di gas naturale, che si è quasi triplicata nel giro di quattro anni, dal 2003 al 2007. Allo stesso tempo, nonostante la quota di produzione di petrolio sia rimasta pressoché invariata a causa degli accordi in ambito Opec, le riserve accertate sono aumentate, grazie agli investimenti stranieri, di un terzo in dieci anni, raggiungendo 44 milioni di barili.
Sebbene il petrolio e gas prodotti in Libia rappresentino una quota ridotta della produzione energetica globale (2% e 0,5% rispettivamente), le ampie riserve (soprattutto di greggio), la prossimità geografica ai mercati europei, l’ottima qualità del petrolio libico Es Sider e El Sharara e i costi di recupero del greggio relativamente bassi rendono la Libia un importante attore del settore energetico globale. La possibilità che, a causa di instabilità interna o di scelte del nuovo corso politico, la Libia cessi o riduca sostanzialmente le esportazioni di idrocarburi suscita crescenti preoccupazioni.
Effetti sul mercato globale
Nel breve periodo l’interruzione delle esportazioni libiche non sembra rappresentare una minaccia vitale per l’offerta energetica globale. Per quanto riguarda il petrolio, l’attuale spare capacity è in grado di compensare la temporanea interruzione degli approvvigionamenti libici. Le autorità saudite hanno assicurato la massima cooperazione, dichiarandosi pronte ad aumentare la propria produzione e a commercializzare il greggio necessario a soddisfare la domanda globale. Ovviamente, la situazione di incertezza sul futuro del petrolio libico dovrebbe contribuire a mantenere i prezzi (attualmente al massimo da 28 mesi) particolarmente alti, incentivando i paesi esportatori a produrre di più.
Per quanto riguarda il gas, la situazione non sembra particolarmente critica. Nonostante la rigidità del mercato (il gas viene trasportato principalmente attraverso infrastrutture fisse, i gasdotti), nelle attuali condizioni di eccesso di offerta, e con l’avvicinarsi della bella stagione, non dovrebbe risultare poi così difficile reperire i dieci miliardi di metri cubi mancanti sul mercato. I recenti progressi nel settore del gas naturale liquefatto possono venire incontro, almeno parzialmente, a questo tipo di esigenze. In queste circostanze, tuttavia, si potrebbe assistere ad un rapido aumento dei prezzi del gas, spinti verso l’alto dal caro-greggio.
La sostenibilità di tale situazione nel medio e lungo periodo potrebbe diventare problematica, soprattutto nel settore petrolifero, poiché una prolungata tensione sui mercati potrebbe renderli particolarmente sensibili a qualsiasi tipo di minaccia esogena, spingendo i prezzi sempre più in alto. Tuttavia, un periodo prolungato di prezzi alti potrebbe forzare i paesi consumatori a ridurre la domanda, riportando la situazione in sostanziale equilibrio. Per quanto riguarda il gas, l’incidenza della produzione libica sul mercato globale non sembra essere così rilevante da avere effetti di lungo periodo. Inoltre, l’ulteriore sviluppo del settore del gas naturale liquefatto potrebbe garantire l’accesso a risorse finora sottoutilizzate quali quelle di Trinidad & Tobago, Nigeria e Indonesia. Tuttavia, un paese in particolare potrebbe risentire di questa situazione: l’Italia, che importa quasi la totalità del gas prodotto in Libia.
Impatto sull’Italia
Bastano pochi dati per capire l’importanza della Libia per gli equilibri energetici italiani e per le attività di Eni, la principale compagnia energetica nazionale.
La Libia è il primo fornitore di petrolio dell’Italia, con una quota che si aggira attorno al 27% dei consumi totali, e il terzo di gas naturale, con una quota del 12,5%. Eni è il principale operatore energetico straniero nel paese, che a sua volta rappresenta la principale fonte di produzione di idrocarburi per il gigante italiano. Il 14% (244.000 milioni di barili equivalenti) della produzione totale di petrolio e gas di Eni viene estratto in Libia, mentre ben un quinto delle superfici sviluppate (aree già in produzione o contenenti riserve certe) dalla compagnia sono nel paese nordafricano. A conferma dell’interesse nel mercato libico, nel 2008 Eni ha siglato accordi di esplorazione e produzione di durata più che ventennale, per un valore di 28 miliardi di euro.
Questi dati potrebbero far pensare che il futuro energetico italiano e le prospettive industriali di Eni siano a rischio. In realtà, gli scenari sono meno allarmanti.
Nel breve periodo, l’Italia è il paese maggiormente esposto agli effetti dell’interruzione dell’export libico, ma la fluidità del mercato del petrolio da un lato, e l’eccesso di offerta e gli abbondanti stock di gas naturale dall’altro, dovrebbero garantire al paese un sufficiente grado di sicurezza degli approvvigionamenti.
Nel medio e lungo periodo, sarà determinante l’evoluzione politica interna della Libia. Partiamo dallo scenario più favorevole, cioè quello dell’instaurazione di un nuovo governo stabile in Libia. La Libia trae più del 95% delle entrate da esportazioni e circa l’80% del gettito fiscale dalla vendita di petrolio, gas e derivati. Pertanto, una delle priorità più urgenti del nuovo governo sarebbe quella di riportare a regime l’industria energetica nazionale. Essendo Eni il principale operatore nel paese, le tecnologie e l’expertise fornite dalla compagnia italiana potrebbero essere fondamentali per garantire la rapida ripresa delle attività di esplorazione e produzione. Tale dipendenza risulta ancora più evidente dal punto di vista commerciale, soprattutto nel settore del gas. Infatti, oltre il 90% delle esportazioni libiche di gas arriva in Italia, sulle coste siciliane, attraverso il gasdotto Greenstream, operato da Eni e dalla compagnia nazionale libica Noc (National Oil Corporation). Data la rigidità del mercato del gas, una drastica riduzione dei rapporti con la compagnia italiana impedirebbe al futuro governo libico, nel medio periodo, di esportare gran parte della sua produzione, con pesanti effetti negativi sull’economia nazionale.
Lo scenario più pessimistico, quello di un perdurante caos o cronica instabilità, per effetto di una guerra civile o del fallimento dello stato stesso, potrebbe avere implicazioni molto negative sia per Eni che per l’Italia. La compagnia infatti vedrebbe gli ingenti investimenti nel paese congelati (se non persi) e la propria produzione globale ridursi di quasi un sesto. Anche dal punto di vista nazionale, data la dipendenza dalle forniture libiche, la situazione potrebbe farsi critica. Sebbene la percentuale di petrolio importato sia maggiore rispetto a quella di gas naturale, è proprio quest’ultimo, data la rigidità del mercato, a destare maggiori preoccupazioni. Alla necessità di trovare nuove fonti di approvvigionamento, si aggiungerebbe infatti quella di dotarsi di infrastrutture (gasdotti o rigassificatori) in grado di recepire questi nuovi flussi di risorse. Un’ardua sfida, che l’Italia potrebbe vincere solo attraverso uno sforzo congiunto del governo e dell’industria nazionale.