IAI
Confini marittimi tra Norvegia e Russia

Dall’Artico una lezione per il Mediterraneo

10 Gen 2011 - Fabio Caffio - Fabio Caffio

Durava da quarant’anni il contenzioso che opponeva la Norvegia alla Russia per lo sfruttamento delle risorse viventi e minerali del Mare di Barents. In questi decenni i due paesi si sono fronteggiati per il controllo del pesce e del petrolio nelle zone adiacenti le isole Svalbard (o Spitzbergen, vedi cartina), riuscendo comunque a non far trascendere toni e livello della disputa. Ma anzi raggiungendo, nel 1975, un esemplare modus vivendi che prevedeva l’esercizio di eguali diritti nello sfruttamento e controllo della pesca dell’area in contestazione. Oggi il pragmatismo norvegese sembra riuscito a far breccia sul tradizionale dogmatismo russo:i due paesi sono finalmente giunti alla firma di un accordo di demarcazione improntato a soluzioni eque e durature, grazie alla rinuncia delle rispettive pretese di principio nel rispetto del diritto internazionale codificato nella Convenzione del diritto del mare del 1982 (Unclos).

L’assetto raggiunto nel Mare di Barents conferma la leadership norvegese nel settore energetico e rafforza la proiezione russa nell’area artica, fornendo un esempio di come gli interessi marittimi possano essere utilmente sfruttati per più ampi obiettivi di politica estera. Una lezione preziosa anche per alcune dispute che da anni si trascinano nel Mediterraneo.

Contenzioso Svalbard
L’Unione Sovietica aveva rivendicato diritti nel Mare di Barents sin dal 1928, in un’area che dalle proprie isole giungeva sino alla c.d. “linea di settore”, confine tracciato – per meridiano – dal punto più occidentale della frontiera terrestre sino al Polo. La pretesa era speculare a quella secondo cui la sovranità riconosciuta alla Norvegia sulle isole Svalbard dal Trattato del 1920 (di cui è parte anche l’Italia), fosse limitata alle sole acque territoriali. La Norvegia sosteneva invece che alle Svalbard competessero anche aree di piattaforma continentale e di zona economica esclusiva (Zee), e che queste si estendessero sino alla mediana con i territori russi.

Per rimediare ai continui incidenti di pesca, nel 1978 i due paesi avevano stipulato un accordo provvisorio che, senza pregiudizio delle rispettive pretese, considerava l’area in contestazione una “zona grigia” in cui esercitare in modo coordinato giurisdizione verso i battelli nazionali e di paesi terzi. Negli anni settanta, infatti, si è scoperto che la zona, oltre ad essere ricca di pesce, lo è anche di idrocarburi, con riserve stimate di circa seimila miliardi di metri cubi. I siti minerari sono principalmente nel giacimento di “Stokman”, che ricade sul lato russo della piattaforma continentale, sia in quello di “Snohvit”, posizionato sulla piattaforma norvegese.

La (equa) spartizione del Mare di Barents
Invece di protrarre per altri decenni un contenzioso che avrebbe ostacolato ricerca e sfruttamento degli idrocarburi nella zona contesa, le due parti hanno stipulato, il 15 settembre 2010, un accordo di delimitazione marittima che ripartisce l’area in questione. Il confine stabilito, valevole sia per la piattaforma continentale che per la Zee, è costituito dalla mediana, con aggiustamenti volti a tener conto della diversa lunghezza delle rispettive coste: il risultato è una ripartizione dell’area in parti eguali.

L’equità dell’accordo, nel quale si ha la prova dell’attitudine della Norvegia a condurre negoziati nel pieno rispetto del diritto internazionale, sta anche nell’impegno delle due Parti a gestire congiuntamente i giacimenti posti a cavallo del confine. Di rilievo è anche la previsione che continui per altri 15 anni l’attuale regime di cooperazione nella pesca.

Scenario mediterraneo
L’accordo raggiunto da Norvegia e Russia, oltre ad essere esemplare sul piano giuridico, conferma che i due paesi ragionano, sia in termini politici che economici, non solo a livello europeo, ma globale. Nel piccolo Mare Nostrum, nel frattempo, le dispute covano sotto la cenere.

Malta e Libia hanno risolto la loro controversia sulla piattaforma continentale facendo ricorso, nel 1985, alla giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia. Ma questo pur valido precedente è rimasto isolato, a significare, forse, che la certezza del diritto non è ben accetta da tutti. Le trattative per la delimitazione degli spazi marittimi tra l’Italia ed alcuni importanti paesi frontisti come Croazia, Malta, Libia e Francia, sembrano languire, nonostante eccellenti rapporti bilaterali tra questi paesi e il nostro.

E così anche la disputa greco-turca sulla piattaforma dell’Egeo è “in sonno”. Anche se l’attivismo di Cipro nel concludere accordi sul confine marittimo con Egitto (2003) e Libano (2007) pare dar corpo al fantasma della Zee dell’Egeo.

Intanto si profila un contenzioso a più facce tra Libano ed Israele per il controllo della rispettiva piattaforma continentale. Israele rivendica infatti diritti di sfruttamento di un enorme giacimento di gas (il c.d. “Leviathan” le cui riserve sono stimate nella sorprendente cifra di 16 mila miliardi di metri cubi) adiacente alla piattaforma del Libano, che renderebbe Israele in breve tempo esportatore verso l’Europa. Non risulta che i due paesi abbiano intrapreso trattative o stabilito una moratoria. Sta di fatto che lo scorso agosto il Libano ha depositato alle Nazioni Unite la lista delle coordinate della linea di confine meridionale della propria Zee (quella con Cipro è stata, come già detto, concordato) stabilite unilateralmente sulla base di argomentazioni storico-giuridiche.

Certo è che il confine della Zee dovrebbe valere anche per la piattaforma, ma il Libano non lo ha precisato esplicitamente. Proprio per questo, la partita tra Libano ed Israele è ancora agli inizi. Il Libano, inoltre, ha qualificato il documento depositato alle Nazioni Unite come relativo alla “linea mediana tra il Libano e la Palestina”, facendo evidente riferimento all’antico status quo della regione mediorientale. Qualunque sarà lo sviluppo di queste dispute, l’esempio dell’accordo tra Norvegia e Russia rimane illuminante: se il diritto, senza la diplomazia, rischia di rivelarsi un mero strumento tecnico, la diplomazia, senza il diritto, può produrre risultati iniqui.

.

Vedi anche:

F. Caffio: Italia a difesa dell’ecosistema mediterraneo