IAI
Dopo il voto della Camera

Lo scontro sui respingimenti e il trattato Italia-Libia

15 Nov 2010 - Natalino Ronzitti - Natalino Ronzitti

Il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia del 2008, entrato in vigore nel 2009, non ha vita facile. È ritornata in ballo la questione dei respingimenti in mare dei migranti e la loro consegna alla Libia, dove, secondo le organizzazioni umanitarie, non godrebbero di un trattamento conforme agli standard internazionali sui diritti umani. La settimana scorsa (9 novembre) sono state votate alla Camera tre mozioni di indirizzo al governo, di contenuto tutto sommato tecnico, ma che hanno assunto un notevole significato politico essendosi intrecciate con la crisi attualmente in corso. Qui ci concentriamo sui nodi della questione migratoria, lasciando da parte le ricadute di politica interna.

Legalità e diritti umani
In primo luogo l’oggetto delle mozioni di indirizzo. Qualora esse siano volte alla revisione del Trattato del 2008, come è detto nell’intitolazione del documento della Camera che le raccoglie, si rischia di affossare il Trattato, faticosamente negoziato nel corso degli anni sia da questa sia dalla precedente maggioranza. Il Trattato prevede una clausola relativa agli emendamenti, che debbono essere negoziati di comune accordo, ma, a nostro parere, la via maestra da seguire è quella di attuare le disposizioni che fanno riferimento alla legalità internazionale, alle norme di diritto internazionale universalmente riconosciute (art. 1) e soprattutto al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, inclusa la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che è espressamente richiamata (art. 6).

Il Trattato prevede anche un Comitato di partenariato e consultazione politica, nel cui ambito appianare eventuali controversie. Una maggiore trasparenza sul funzionamento di questo organo e sulle iniziative intraprese sarebbe auspicabile. Qualora si volessero dettare nuove regole, lo strumento più opportuno sarebbe la conclusione di un Protocollo, non la revisione del Trattato, che evoca un contrasto di fondo tra le due parti, attualmente inesistente.

Il capitolo cooperazione contro l’emigrazione illegale è disciplinato, è bene ricordarlo, dall’art. 19 del Trattato, che prevede la lotta all’immigrazione clandestina, in conformità ai Protocolli del 2007, cioè l’immigrazione in partenza dalle coste libiche verso l’Italia, e un sistema di controllo alle frontiere terrestri libiche, da attuare con l’aiuto del governo italiano e l’Unione europea. L’art. 19 prevede anche la collaborazione per la definizione di iniziative sia bilaterali sia in ambito regionale per prevenire il fenomeno dell’immigrazione clandestina nei paesi di origine dei flussi migratori. Questa clausola apre lo spiraglio per ulteriori intese e anche per la stipulazione di un Protocollo.

Nodi da sciogliere
I punti dolenti sono tre: respingimento in mare, pattugliamento congiunto, trattamento dei migranti respinti in Libia.

(a) Il respingimento in mare attuato dalle autorità italiane sarebbe contrario sia alla nostra Costituzione sia alla Convenzione del 1951 sui rifugiati non appena i migranti sono imbarcati su una nave italiana, qualora non si provveda a verificare se tra loro vi siano persone aventi diritto a chiedere asilo. Ma sul punto le opinioni divergono. Non tutti gli esperti considerano la nave italiana in acque internazionali equiparabile a territorio italiano ai fini dell’applicazione dell’art. 10, 3° comma Cost., che concede il diritto di asilo. Inoltre non tutti gli internazionalisti considerano applicabile la Convenzione del 1951, che obbliga a non respingere il richiedente asilo ad un paese dove corra il pericolo di essere sottoposto a trattamento inumano o degradante, ai respingimenti in alto mare. È invece sicuramente applicabile la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, essendo la nave da guerra italiana organo dello stato, con la conseguenza che il respingimento del migrante verso un paese, dove possa correre il pericolo di essere sottoposto a trattamento inumano, è vietato. Taluni ricorsi sono stati presentati alla Corte di Strasburgo e se ne attende l’esito.

(b) Il pattugliamento congiunto, con equipaggi misti italo-libici, previsti dai due Protocolli del 2007 e soprattutto da quello del 2009, espongono l’Italia a violazioni del diritto internazionale, qualora non siano fissate precise regole d’ingaggio. L’incidente occorso al peschereccio italiano Ariete il 12 settembre scorso ne costituisce prova incontrovertibile.

(c) Più delicata la questione del trattamento dei diritti umani in Libia. Nell’emendamento Mecacci, adottato alla Camera nella seduta del 9 novembre con il parere contrario del governo, si chiede che la Libia ratifichi la Convenzione Onu dei rifugiati e la riapertura a Tripoli dell’Ufficio dell’Alto commissario per i rifugiati dell’Onu (Unhcr) come premessa per continuare le politiche dei respingimenti dei migranti in Libia. La Libia è parte della Convenzione africana sui rifugiati del 1969, che contiene disposizioni molto avanzate. Sennonché l’Italia non ha titolo formale per chiederne il rispetto, come accadrebbe invece per la Convenzione del 1951, qualora ratificata dalla Libia. Occorre comunque ricordare che le convenzioni non debbono essere solo ratificate, ma anche concretamente attuate. La rimessa in attività dell’Ufficio dell’Unhcr sarebbe un atto concreto immediatamente verificabile.

Ue e Onu
Alla situazione finora illustrata occorre aggiungere altri due elementi di novità: il documento sottoscritto dalla Commissione europea il 5 ottobre 2010 e l’esame sulla situazione dei diritti umani in Libia effettuato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.

(a) L’intesa raggiunta a Tripoli, il cui contenuto dovrà essere trasfuso nell’Accordo quadro in corso di negoziazione tra l’Ue e la Libia, prevede l’apertura di un ufficio dell’Ue entro la fine dell’anno a Tripoli nonché, in materia di protezione internazionale dei rifugiati, l’adozione di una legislazione interna di esecuzione della Convenzione africana del 1969 sui rifugiati, congiuntamente ad un aiuto a stabilire un idoneo sistema di protezione dei rifugiati. E’ inoltre previsto un aiuto per riammettere nei paesi europei coloro che abbiano titolo per godere del diritto di asilo.

(b) L’intesa raggiunta con la Commissione non prevede una richiesta a Tripoli a ratificare la Convenzione sui rifugiati del 1951. Tale richiesta è stata avanzata nel corso della procedura periodica di riesame (Universal Periodical Review) che si è conclusa venerdì 12 novembre presso il Consiglio dei diritti umani a Ginevra. In tale ambito ogni stato membro del Consiglio viene periodicamente sottoposto ad esame in relazione alla sua politica in materia dei diritti umani. La Libia ha presentato un documento molto ottimistico sullo stato della sua legislazione interna, senza peraltro affrontare espressamente il problema dell’immigrazione illegale. Critiche sono venute soprattutto dai paesi occidentali, membri del Consiglio (l’Italia al momento non lo è più, ma ha presentato un documento cui dovrebbe essere data opportuna divulgazione). La Libia ha accettato la raccomandazione di esaminare la possibilità di divenir parte della Convenzione del 1951, ma non quella di ratificare il Protocollo aggiuntivo del 1967, che prevede un monitoraggio delle Nazioni Unite e la inammissibilità di ogni riserva geografica verso il paese di provenienza dei rifugiati. Non ha accettato neppure la raccomandazione, avanzata dagli Stati Uniti, di formalizzare la presenza dell’Unhcr a Tripoli.

In conclusione, i rapporti con Tripoli, come abbiamo più volte sottolineato in passato, continuano a presentare luci ed ombre. Tuttavia il radicalismo non paga, neppure in una materia tanto delicata quale quella dei diritti umani e dei rifugiati. Meglio agire attraverso gli spiragli aperti dal Trattato del 2008 e in sede Ue, nonché nel quadro delle organizzazioni internazionali universali, come le Nazioni Unite, per persuadere la Libia ad accettare gli standard internazionali e ad avere di conseguenza un comportamento coerente. Tenendo presente, peraltro, che l’obbligo di proteggere i diritti umani è per l’Italia un dovere ben definito e non derogabile, cui non si può sottrarre.

.

Vedi anche:

N. Ronzitti: Quattro mosse per un’intesa con Gheddafi

B. Nascimbene: I respingimenti e i rapporti Italia-Ue