Il ruolo del G20 dopo il Vertice di Seul
I paesi partecipanti al vertice del G20 che si è svolto nella prima metà di novembre a Seul hanno assunto impegni su cinque capitoli: finanza pubblica, settore finanziario, riforme strutturali, aiuti allo sviluppo, moneta e cambio. Manca invece una sezione esplicitamente dedicata alla domanda, sebbene la ripresa ciclica sia ancora debole e fragile. D’altra parte, al Vertice di Seul è emersa la tendenza a un allargamento del ruolo del G20 a tutti, o quasi, i campi della cooperazione economica internazionale e a una sua trasformazione in un organo di monitoraggio dei più diversi processi. Resta da vedere se un raggruppamento ampio e composito come il G20 saprà essere all’altezza di un’agenda così vasta e impegnativa.
Rientro dal disavanzo
Una scorsa agli impegni – forti, sostenibili e bilanciati – in tema di finanza pubblica, rivela una diffusa attenzione al rientro dal disavanzo; in Germania, ad esempio, più della metà del consolidamento dovrà derivare dalla riduzione della spesa, da concentrare laddove i tagli possano rafforzare il potenziale di crescita. Negli Stati Uniti, dopo i programmi di spesa degli ultimi anni per ravvivare la domanda, l’accento è sulla riduzione del disavanzo: la proposta dell’Anno Fiscale (Fiscal Year, FY) americano 2011, ne prevede una riduzione per 1,2 trilioni di dollari nel prossimo decennio, con caduta del rapporto deficit/Pil dal 10 % nel FY 2010 al 3,8 nel FY 2014; la Commissione per la riforma fiscale nominata dal presidente americano Obama ha il mandato di avanzare proposte per pareggiare il bilancio primario nel 2015. Tra i grandi solo la Cina ha indicato l’espansione della domanda interna, in particolare quella per consumi, per assicurare una stabile, relativamente rapida crescita, con riforme fiscali orientate a questo fine.
Tra gli strumenti macroeconomici non resta che la politica monetaria e del cambio. Per la Germania, l’Unione europea ha ripetuto che nell’eurozona l’obiettivo primario è il mantenimento della stabilità dei prezzi nel medio termine, che l’attuale, accomodante politica monetaria sarà normalizzata se si profileranno rischi inflazionistici e che l’euro è pienamente fluttuante.Idem da parte degli Stati Uniti, che hanno richiamato il doppio ruolo della loro Banca Centrale, la Federal Reserve (Fed): favorire la massima occupazione e difendere la stabilità dei prezzi. Le autorità cinesi, dal canto loro, hanno promesso di continuare nella politica monetaria moderatamente accomodante, di rivedere il regime di cambio della loro moneta, il renmimbi, di aumentarne la flessibilità, di promuovere il pareggio della bilancia dei pagamenti, ma senza indicazione di tempi o modalità.
Tensioni sotterranee
Anche nel G20 si hanno monologhi in cui ciascun attore interpreta la propria parte e le sue esigenze, ma non si sforza di trasformarli in scambi di opinioni volti a identificare e perseguire un comune obiettivo. Dall’edulcorato linguaggio dei documenti ufficiali non si evince lo scontro che si era avuto nel vertice dei ministri delle finanze e di governatori delle banche centrali dei paesi del G20 svoltosi tra il 20 e il 22 ottobre a Gyeongju, in Corea del Sud. In quell’occasione si erano confrontati da un lato gli Stati Uniti, in cronico disavanzo, favorevoli a fissare un limite del 4 % agli sbilanci della bilancia corrente, e dall’altro la Cina e la Germania, fortemente eccedentarie, contrarie a indicazioni quantitative. Né il Presidente Obama, indebolito dai risultati delle elezioni di metà mandato, è riuscito a convincere la Cina a rivalutare rapidamente la propria moneta, né i paesi in avanzo a non scaricare l’onere dell’aggiustamento sui deficitarii, risultato raggiungibile soltanto con la deflazione.
All’accusa di manipolazione del cambio sollevata contro la Cina, questa ha risposto sottolineando che la nuova politica di immissione di moneta nel mercato finanziario ed economico (Quantitative Easing II) recentemente adottata dalla Banca centrale americana finisce con l’indebolire il dollaro e alimentare, forse artificialmente, i valori di borsa.
Eppure nella Dichiarazione finale dei leader si afferma: ‘alcuni partecipanti crescono fortemente, altri soffrono di alta disoccupazione e stentata ripresa; crescita diseguale e sbilanci in aumento alimentano la tentazione di azioni non coordinate, con risultati sub-ottimali’. Dal 2008, la comune determinazione di resistere al protezionismo ha permesso di salvaguardare commerci e globalizzazione. I passati successi, soprattutto nel rinsanguare le istituzioni di Bretton Woods e nel ridisegnare una regolamentazione finanziaria – più pesante, pervasiva e, speriamo, efficace – sono di buon auspicio per una crescita forte, sostenibile e bilanciata oltre la crisi?
Forse sì, ma si tratta di misure adeguate?
Molti impegni, poche risorse
L’eredità del vertice di Seul è costituita da:
a) un Piano di azione composto di impegni onnicomprensivi, a vocazione cooperativa e specifici per ciascun paese, sopra brevemente accennati; un Processo di reciproca valutazione (Map) per promuovere sostenibilità esterna e coerenza nelle politiche macroeconomiche e strutturali, grazie a linee guida e indicatori di prossima elaborazione; un impegno a combattere il protezionismo, a promuovere commercio e investimenti, a cercare di concludere il Doha Development Round; il processo negoziale nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio per la liberalizzazione degli scambi commerciali.
b) Un Consenso per lo sviluppo con i paesi meno avanzati, particolarmente quelli a basso reddito, per superare importanti strozzature.
c) un Piano di azione per l’inclusione finanziaria, un Partenariato globale volto allo stesso fine e una flessibile Infrastruttura per finanziare le piccole e medie imprese (Pmi). Né mancano riferimenti all’energia e ai combustibili fossili, alla protezione dell’ambiente marino, ai cambiamenti climatici e alla crescita verde, alla lotta alla corruzione e persino alla possibilità di invitare alle prossime riunioni non più di altri cinque paesi non membri, di cui almeno due africani.
Sul fronte della regolamentazione finanziaria si prende atto dell’ampio lavoro preparatorio, compreso quello illustrato nella lettera del presidente del Financial Stability Board (Fsb), Mario Draghi, relativo tra l’altro alle istituzioni finanziarie sistemicamente rilevanti (Sifi) a livello nazionale o globale (G-Sifi), nonché all’intensità e all’efficacia della supervisione. In quest’ultimo campo l’impegno del G20 viene esteso in varie direzioni, tra cui le strutture per la vigilanza macroprudenziale, le prospettive di riforma della regolamentazione finanziaria nei mercati emergenti, il controllo sul sistema bancario ombra e sui mercati per i derivati delle commodities, il miglioramento dell’integrità e dell’efficienza dei mercati, una maggiore protezione dei consumatori, il rafforzamento delle reti di sicurezza finanziarie globali, la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, la costruzione di un più stabile e reattivo sistema monetario internazionale, etc.
Alla difficoltà di trovare un accordo sul riequilibrio delle bilance dei pagamenti e sul regime di cambio meglio rispondente a questa bisogna fa da contraltare un’estensione dei compiti del G20 in tutti, o quasi, i campi dove si esplica la cooperazione economica internazionale. Chiamando a raccolta tutte le istituzioni internazionali che se ne occupano, il Gruppo dà l’impressione che da decisore politico in momenti difficili, in grado di esercitare una propria azione riformatrice attraverso il Fsb, si stia trasformando in un organo di monitoraggio dei più diversi processi. Il sistema di governo internazionale espresso dal G20, rispetto a quello precedente basato sul G7/G8, ha certamente una maggiore legittimazione, ma rischia di risultare meno efficace per la maggiore numerosità e l’amplissima sfera d’azione.
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Vedi anche:
F. Bruni: Finanza globale in cerca di nuove regole
M. Sarcinelli: La faticosa ricostruzione della finanza mondiale