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Dopo il nuovo rinvio del vertice

Che fare dell’Unione per il Mediterraneo?

21 Nov 2010 - Roberto Aliboni - Roberto Aliboni

Già rinviato dallo scorso giugno a novembre, il vertice dei capi di Stato e di Governo dell’Unione per il Mediterraneo (Upm), che per l’appunto si doveva tenere a Barcellona il 21 novembre, è stato ancora una volta rinviato e, questo volta, non è stata neppure indicata una data. Il comunicato di Francia, Egitto e Spagna, emesso il 15 novembre, si limita ad auspicare che il vertice si possa tenere entro i prossimi mesi e che i negoziati israelo-palestinesi compiano nel frattempo i progressi necessari a permettere che leader arabi e israeliani possano riunirsi nel quadro di una Unione di cui fanno ugualmente parte.

Un passo avanti, due indietro
Tuttavia, pochi giorni prima, gli Alti Funzionari dei governi membri dell’Upm riuniti a Bruxelles avevano formalizzato l’accordo sul primo bilancio, sul primo piano di lavoro e sul regolamento interno del Segretariato dell’Upm, abbozzato un mese prima a Dubrovnik. Il comunicato tripartito del 15 è formulato in modo da presentare una situazione complessiva in cui l’inagibilità politica dell’Upm è bilanciata dall’avvio della sua dimensione operativa: “Nell’attesa [del] secondo vertice, l’Egitto, la Francia e la Spagna invitano le istituzioni dell’Unione per il Mediterraneo a proseguire la loro azione. Esprimono la loro soddisfazione per l’avanzamento dei progetti corrispondenti alle priorità fissate dai capi di Stato e di Governo all’epoca del vertice di Parigi del 13 luglio 2008. Prendono atto dei passi importanti che si riflettono nell’aver dato operatività al Segretariato permanente residente a Barcellona nonché nell’adozione del suo bilancio e del suo programma di lavoro”.

In realtà, quanto è stato approvato dagli Alti Funzionari può lasciare qualche dubbio. Il bilancio è di 6,2 milioni di euro per un anno. La Commissione è l’unica ad avere annunciato un contributo di 3 milioni, che saranno versati solo a condizione che il bilancio sia interamente finanziato. A parte accenni dalla Spagna, dalla Francia e dalla Germania, sinora nessuno si è fatto avanti. Tuttavia, sarebbe eccessivo dubitare che il bilancio non finirà di essere coperto.

Ė adeguato? Il Segretario permanente, il giordano Ahmed Masa’deh, invitato di convegno in convegno, si lamenta di continuo dell’inadeguatezza dei mezzi che gli vengono messi a disposizione. Alcuni diplomatici riferiscono di uno che pensa al bilancio di funzionamento come se l’Upm fosse l’Onu. Tutto sommato, il livello del bilancio sarà da valutare sulla base della “cifra d’affari” che il Segretariato produrrà. Su questo tutto resta da vedere. Insomma, un passo avanti, ma piccolo; tale che difficilmente può compensare la disfatta politica che l’Upm registra da ben due anni.

Nodi di fondo
Questi sviluppi suscitano diversi interrogativi. Due sembrano più meritevoli d’attenzione: (a) la relazione fra i mezzi e i fini dell’Upm; (b) il significato dell’Upm nelle relazioni esterne e nella politica estera dell’Unione europea.

L’Upm ha chiaramente bisogno di un deciso ridimensionamento delle sue ambizioni politiche e, invece, di un rapido e convincente rafforzamento della sua missione economica. Sin dall’inizio, non è risultato chiaro il rapporto fra le due dimensioni in seno all’Upm. Essa infatti, è presentata come un salto di qualità politico – in virtù della sua struttura intergovernativa – nelle relazioni euro-mediterranee, avente però un obiettivo politicamente modesto: non la risoluzione dei conflitti della regione, ma l’esecuzione di grandi progetti regionali infrastrutturali, sociali ed economici.

Questa sproporzione si è presa un’inesorabile vendetta: l’impotenza dell’Upm a occuparsi dei conflitti regionali, tantomeno a risolverli, non ha consentito neanche l’avvio dei progetti infrastrutturali. Gli effetti dirompenti del conflitto israelo-palestinese, contenuti nella struttura comunitaria del Partenariato Euro-Mediterraneo (Pem), sono esplosi non appena gli stati sono stati messi in primo piano.

Snellire per rilanciare
Perciò, in una situazione che sta assumendo ormai contorni grotteschi, occorre riformare l’Upm, sostituendo l’attuale costosa e inutile struttura di vertice con un apparato diplomatico di medio livello. Mentre nessuno impedirà ai membri dell’Unione di fare dei vertici se ci sarà qualche successo da marcare, la vita ordinaria di questa organizzazione può essere benissimo affidata a dei funzionari.

Contemporaneamente, occorre precisare e potenziare i grandi progetti regionali. Non che questi possano da soli essere risolutivi per lo sviluppo e la cooperazione economica del Mediterraneo: dovranno svilupparsi nel più ampio quadro della prosecuzione dei progetti e delle iniziative in cui da decenni sono già impegnate le istituzioni europee, dalla Commissione, alla Banca europea degli investimenti (Bei) al Fondo euromediterraneo di investimento e partenariato (Femip).

Dovranno altresì, essere accompagnati dalla creazione di nuovi strumenti di cooperazione, come la Banca Mediterranea di Sviluppo (o anche il rafforzamento del Femip proposta dalla Commissione Milhaud). Comunque, sono un obiettivo certamente degno di essere perseguito. Tuttavia, i grandi progetti dovrebbero essere al centro dell’Upm, che dovrebbe essere messa in grado si realizzarli con la massima efficacia.

Ruolo regionale dell’Ue
Dal punto di vista dell’Europa l’esecuzione di progetti regionali è importante, soprattutto nel quadro del processo di globalizzazione che oggi coinvolge il Mediterraneo. In questa prospettiva temi come i trasporti e l’energia richiedono che l’Unione europea rafforzi un suo ruolo regionale, che invece si sta indebolendo. Gli investimenti dei paesi del Golfo (a Tangeri e Damietta) e quelli della Cina (al Pireo), tanto per fare un esempio, stanno integrando il Mediterraneo a interessi lontani.

Beninteso, i porti che sono in costruzione, le strade che si stanno aprendo sul mare, le condotte energetiche che si allungano e moltiplicano non devono e non possono essere un’esclusiva euro-mediterranea. Ma la cooperazione euro-mediterranea ci deve essere e deve avere un peso maggiore. Perciò, una Upm con un Segretariato in grado di attivare grandi progetti nel quadro del collaudato tessuto di cooperazione che l’Ue ha creato nei decenni passati non è solo un obiettivo utile, ma estremamente necessario.

Ė urgente che i governi si orientino in questa direzione. Occorre ridimensionare il velleitario apparato politico dell’Upm perché non si trasformi in un ostacolo al funzionamento del Segretariato. D’altra parte, occorre rafforzare il Segretariato e metterlo in grado di finanziare o far finanziare i progetti. Forse non ha torto il Segretario Masa’deh ad auspicare un bilancio di funzionamento più adeguato. Si dice che i compensi non siano invitanti e che il Segretariato abbia difficoltà a ingaggiare esperti e, anche, che sia difficile trovare personale nazionale che accetti di essere assegnato a Pedralbes (in questo la “débâcle” politica dell’Upm ha certamente un ruolo).

Leadership
Inoltre, la sensazione che si percepisce parlando con gli addetti ai lavori è che il Segretario non sia la persona giusta. I suoi discorsi fanno pensare che non gli passi neppure per l’anticamera del cervello di dover essere lui a trovare dei fondi e che si aspetti invece che i governi gli assicurino loro dei fondi onde eseguire i progetti. Non è davvero improbabile che i governi diano dei fondi, ma qui siamo in una prospettiva diversa: il Segretario dovrà essere una sorta di grande banchiere internazionale capace di coagulare su progetti adeguati sia i politici che i capitalisti e i finanzieri. Deve essere un uomo del tipo e dell’autorità che hanno sempre avuto i presidenti della Banca Mondiale o della Bei o della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers). Non è sicuro che il signor Massàde sia la figura appropriata. Se questo problema è riconosciuto, bisognerebbe affrontarlo quanto prima.

L’altro interrogativo riguarda il ruolo e le prospettive dell’Upm nella politica estera dell’Ue. Posto che la sicurezza dell’Europa ha bisogno di una soluzione ai problemi israelo-arabi, di che aiuto è mai l’Upm per la risoluzione di questi conflitti? La politica europea, dal 1970 (la Politica mediterranea globale) fino 2008 (la nascita dell’Upm), ha perseguito un progetto di “governance-building” nella regione, basato sulla riforma politica ed economica nei paesi partner e con l’obiettivo di creare una solidarietà politica regionale. Questo progetto è fallito per vari motivi e nessuna solidarietà politica euro-mediterranea ne è nata. Nell’Upm si è persino dileguata la socializzazione diplomatica che prevaleva nel Pem. Come può un’organizzazione regionale priva di coesione come l’Upm contribuire a risolvere i conflitti al suo interno?

La nuova strada che l’Ue dovrebbe intraprendere per riacquisire un ruolo e qualche credibilità nel Mediterraneo riguarda due aspetti. In primo luogo, deve diventare un attore politico, formulando obiettivi strategici comuni (piuttosto che accumulando strumenti senza avere una strategia comune). In secondo luogo, deve prendere atto che il Mediterraneo è parte del Medio Oriente e cominciare, perciò, a formulare politiche e strategie che considerino il Medio Oriente nel suo insieme, piuttosto che compartimentalizzarlo. Mentre è possibile pensare a una politica maghrebina dell’Ue à sé stante, in una fase in cui più che mai l’Iran è un attore mediterraneo, il Vicino Oriente deve essere inquadrato nel Medio Oriente e ci deve essere una politica organica verso quell’area. Ciò detto, questo non può essere di immediata realizzazione. Intanto, tuttavia, una rapida riforma dell’Upm sarebbe comunque utile.

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Vedi anche:

R. Aliboni: La lenta agonia dell’Unione per il Mediterraneo