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Medioriente

L’Egitto alle urne e la successione a Mubarak

10 Ott 2010 - Azzurra Meringolo - Azzurra Meringolo

A novembre i cittadini egiziani saranno chiamati a eleggere i membri della shura, la camera bassa del parlamento. Il confronto avverrà tra due gruppi completamente diversi: da una parte il Partito nazionale democratico (Pnd) dell’attuale presidente Hosni Mubarak, che ha in mano tutte le leve del potere e controlla le risorse nazionali; dall’altra diversi partiti e movimenti di opposizione che, pur godendo di una certa simpatia popolare, non hanno la forza per far sentire la propria voce.

Esito scontato
La vittoria del partito di Mubarak, che esercita uno stretto controllo sul processo elettorale, è scontata e l’unica incognita è in realtà quanti seggi prenderà l’opposizione, e quindi il peso politico che potrà avere in parlamento.

Anche se l’opposizione è di fatto rappresentata in parlamento dal 1976, non riesce a svolgere alcun ruolo, se non quello di dare una parvenza di legittimità al regime, che vuole presentarsi al mondo con un volto democratico. È per questo che in primavera il Movimento nazionale per il cambiamento di Mohammed El Baradei, l’ex segretario generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), ha lanciato un appello a tutte le forze di opposizione, invitandole a boicottare le imminenti elezioni. Pochi però vi hanno aderito e il boicottaggio rischia di fallire.

Ma a far discutere non sono tanto le imminenti elezioni della shura, quanto le presidenziali previste per il 2011, quando scadrà il quinto mandato dell’ottantatreenne leader egiziano che si appresta a tagliare il traguardo dei trent’anni al vertice del paese. In una recente intervista al quotidiano panarabo Al Hayat, il ministro degli esteri, Ahmed Abdul Gheit, si è lanciato in una previsione: “quando eleggeremo il nuovo presidente, sarà nuovamente Hosni Mubarak”. Effettivamente è un sangue longevo quello che scorre nelle vene del presidente egiziano, e nulla gli impedirebbe di candidarsi ancora, ma, soprattutto dopo l’operazione chirurgica dello scorso marzo, Mubarak sembra affaticato e le sue condizioni di salute continuano a preoccupare l’èlite egiziana. Il problema però non è tanto la salute del presidente in sé, quanto le difficoltà e incertezze della transizione del potere.

Potere ereditario
L’opinionista egiziano Ghazali Harb, ex membro del partito del presidente, prevede che Mubarak cercherà di governare fino alla fine dei suoi giorni e che alla sua morte si aprirà un periodo transitorio gestito dall’esercito, che si concluderà con l’approvazione di una nuova costituzione. Secondo Ghazali Harb, sarà Omar Suleiman, braccio destro del presidente, a reggere le redini del potere nel periodo di transizione. Anche se il nome di Suleiman, che secondo la rivista americana Foreign Policy è il più potente capo dell’intelligence del Medioriente, è nell’aria da tempo, per questioni burocratiche non potrebbe candidarsi tra le fila del Pnd e dovrebbe correre come indipendente, dunque con minori possibilità di successo.

Potrebbe candidarsi anche Ayman Nur, noto dissidente liberale: alle scorse elezioni presidenziali ottenne il 7% dei voti, infastidendo non poco il regime, che finì per sbatterlo per l’ennesima volta in carcere.

Il favorito per eccellenza sembra essere, però, il figlio del raìs, Gamal Mubarak, che da qualche settimana ha intrapreso una vera e propria maratona elettorale nei maggiori centri abitati del paese per raccogliere le firme necessarie alla sua candidatura alla presidenza. Non ha però ancora la vittoria in tasca. Sembra infatti che i capi militari non abbiano in simpatia il giovane Mubarak. Qualora vincesse, sarebbe il primo presidente post-monarchico non uscito dalle fila dell’esercito e gli ufficiali temono che non salvaguarderebbe né la stabilità del paese né i loro interessi. Inoltre, l’idea di un avvicendamento padre-figlio non è gradita a molti egiziani.

Il dilemma di Mubarak junior
L’Egitto, infatti, è una repubblica presidenziale e il consolidamento di un potere ereditario non è ben visto. Mubarak junior gode però dell’appoggio degli uomini d’affari egiziani, che pensano di poter giocare un ruolo importante nella corsa presidenziale. Per diversi anni gli imprenditori hanno accresciuto il loro potere all’interno del Pnd, ma la recente crisi economica ne ha ridimensionato il ruolo. C’è poi una divergenza di fondo che crea tensione nel partito di governo: i più giovani e gli uomini d’affari vorrebbero limitare l’intervento dello Stato nell’economia, ma la vecchia guardia del partito non è d’accordo.

Ecco perché il delfino del raís si trova ora davanti a un bivio. Se tagliasse i ponti con i suoi attuali sostenitori, si attirerebbe le ire degli uomini di affari egiziani. Ma se non facesse nulla per conquistarsi la simpatia della vecchia guardia, che dal 2009 domina il Pnd, la sua stessa candidatura rischierebbe di naufragare. E, per aiutare il figlio a districarsi tra questi due fuochi, il presidente egiziano sembra ora temporeggiare e si vocifera che possa farsi rieleggere anche solo per pochi mesi.

La sorpresa El Baradei
Ma c’è una data che ha segnato lo spartiacque nel conflitto per il potere in corso nei palazzi cairoti: il 19 febbraio 2010, quando è atterrato al Cairo Mohammed El Baradei l’ex segretario generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). Dopo dodici anni di assenza dal paese, El Baradei si è dichiarato pronto a partecipare alla corsa presidenziale, a condizione che il governo approvi una nuova costituzione che garantisca una competizione corretta.

Conducendo una campagna che oltrepassa i confini nazionali e cerca di raggiungere le comunità egiziane sparse nel mondo, El Baradei sta cercando di risolvere in maniera innovativa il vecchio problema della successione. Per espandere la sua popolarità è ricorso ampiamente all’uso di internet, ha proposto di estendere il diritto di voto agli egiziani residenti all’estero e continua ad appellarsi alla Casa Bianca affinché si faccia garante della correttezza del processo elettorale egiziano. Finora, però, il governo non ha accolto le richieste contenute nella petizione che il suo movimento per il cambiamento ha presentato e, anche se la sua candidatura ha raccolto più di 400 mila firme, quattro volte più di Gamal, è tutt’altro che certo che alla fine El Baradei decida davvero di correre per la presidenza.

Ufficialmente il regime ignora i sintomi di cambiamento che si percepiscono nel paese e il raìs ha più volte affermato che chi sarà il nuovo presidente lo “sa solo Dio”. Ma quanti vorrebbero cambiar pagina vedono in El Baradei l’uomo della svolta, in grado di traghettare l’Egitto verso la democrazia, e quest’ansia di cambiamento potrebbe, prima o poi, trovare modo di organizzarsi, scombinando molti piani per il dopo raìs.

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