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Ambiente

Italia a difesa dell’ecosistema mediterraneo

11 Ott 2010 - Fabio Caffio - Fabio Caffio

Rompendo gli indugi che avevano frenato negli ultimi tempi l’adozione di iniziative in campo marittimo, l’Italia ha finalmente imboccato con coraggio la via della protezione ecologica dei mari di propria giurisdizione. Il nostro paese si è infatti candidato ad assumere un ruolo guida, nel Mediterraneo, per la regolamentazione delle attività petrolifere offshore. A distanza di molti anni dalla stipula degli accordi sulla delimitazione della piattaforma continentale con la ex Jugoslavia, l’Albania, la Grecia, la Tunisia e la Spagna, l’Italia torna, con la prossima istituzione di una Zona di Protezione Ecologica (Zpe), sulla scena marittima mediterranea assieme alla Francia, che condivide le stesse priorità ambientali.

L’Italia rompe gli indugi
Il comunicato sulla prossima istituzione della prima Zpe italiana emanato dopo il Consiglio dei Ministri dello scorso 7 ottobre fa cenno ad “uno schema di regolamento, sul quale sarà acquisito il parere del Consiglio di Stato, per istituire la Zona di protezione ecologica del Mediterraneo nord-occidentale, del Mar Ligure e del Mar Tirreno (Santuario dei cetacei)”

A breve avremo quindi nel Tirreno centrale, un’area in cui, sulla base della Legge n. 61 dell’8 febbraio 2006 concernente appunto l’istituzione di Zpe negli spazi extraterritoriali, l’Italia eserciterà giurisdizione in materia di conservazione dell’ambiente marino, compreso il patrimonio archeologico, in conformità alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 e alla Convenzione di Parigi del 2001 sulla protezione del patrimonio culturale. Nella nuova zona si applicheranno, nei confronti delle navi di qualsiasi bandiera, le norme internazionali sulla prevenzione e repressione di tutti i tipi di inquinamento, nonché quelle sulla protezione dei mammiferi e della biodiversità, pesca esclusa. I controlli saranno affidati principalmente al Corpo delle Capitanerie di Porto ed alla Marina Militare che dispone già di Unità antinquinamento.

L’estensione di questa prima Zpe sarà probabilmente limitata ad un’area che si mantiene al di qua della ipotetica mediana con la Francia e la Spagna e che non si estende a sud della Sardegna e della Sicilia; non interferisce quindi con aree teoricamente spettanti ad Algeria, Tunisia e Malta. Vi sarà compresa la porzione italiana del “santuario dei Cetacei” istituito nel 1999 assieme a Francia e Monaco.

Il ruolo della Francia
Alla Francia deve essere riconosciuto un ruolo rilevante nella protezione dell’ambiente marino del Mediterraneo, per aver stipulato con l’Italia, nel 1997, quell’accordo sul santuario dei cetacei tra la Sardegna, la Corsica ed il Mar Ligure che è il più adeguato ad un habitat naturalistico davvero unico. Ed anche per aver istituito per prima nel 2004, nelle aree adiacenti lo stesso santuario, una sua Zpe. In quell’occasione la Francia chiese all’Italia di intavolare trattative per un’iniziativa parallela e concordata che portasse a definire il confine delle due zone.

Perplessità sull’opportunità di modificare la tradizionale politica in favore del mantenimento dello status quo delle zone di alto mare del Mediterraneo, hanno probabilmente impedito al nostro paese di accogliere con tempestività la proposta francese. E forse trattative per un confine concordato con la Francia sono state effettivamente avviate, arenandosi poi su qualche problema tutto sommato marginale, come l’effetto da assegnare ad una qualche isola dell’Arcipelago toscano. Sta di fatto che l’Italia è giunta con ritardo al traguardo della Zpe e lo ha dovuto fare, sia pur obtorto collo, con un provvedimento unilaterale e provvisorio.

La sintonia con la Francia in materia di protezione dell’ambiente marino resta tuttavia solida. Tant’è che i due paesi, dopo il vertice bilaterale del 9 aprile 2010, hanno emesso una Dichiarazione d’intenti sul parco marino italo-francese delle Bocche di Bonifacio, con cui si sono impegnati a rilanciarne la creazione. Risulta che Italia e Francia abbiano anche valutato la possibilità, compatibilmente con il regime internazionale di transito vigente nelle Bocche, di evitare i rischi derivanti dal passaggio nello stretto di certe categorie di navi.


Se nel Tirreno centro-settentrionale la tutela ecologica si avvia a diventare una realtà, non altrettanto può dirsi per il Mediterraneo centrale. Nessuno Stato nord africano ha proclamato Zpe né lo ha fatto Malta, pur avendo in qualche modo ampliato la sua giurisdizione marittima con una legge del 2005. Solo l’Egitto e il Libano hanno già delimitato la loro Zee con Cipro.

Nel frattempo è divampata la polemica sull’inizio delle trivellazioni da parte della BP sulla piattaforma continentale libica, all’interno del Golfo della Sirte, in acque profonde circa 1700 mt.

Sull’onda della polemica successiva all’incidente della piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico, sono stati evidenziati i gravissimi pericoli che un evento simile causerebbe al fragile equilibrio dell’ecosistema mediterraneo. Il sito in cui opererà la BP è infatti a qualche centinaio di miglia dalla Tunisia, da Malta, dalla Sicilia e dalla Grecia.

Peraltro le attività offshore nel Mediterraneo, per evidenti ragioni commerciali, avevano già fatto registrare un incremento nei fondali più bassi della piattaforma continentale tunisina, italiana, croata e in quella cipriota (nonostante le proteste avanzate dalla Turchia nell’ambito del noto contenzioso dell’Egeo). La Francia solo di recente ha deciso di avviare una campagna di ricerche al largo della Provenza, a circa 1.000 mt. di profondità.

Iniziative italiane
I timori di una catastrofe ecologica che in Mediterraneo avrebbe sicuri effetti nefasti, hanno indotto il governo a considerare attentamente il problema, emanando anzitutto un provvedimento di divieto delle trivellazioni nei mari italiani in una fascia di 5 miglia lungo le coste nazionali, estesa a 12 miglia nelle aree marine protette.

Nel contempo, è stata avanzata la proposta di adottare, tra tutti i paesi mediterranei, una moratoria delle attività offshore, tenendo conto dell’elevato numero di piattaforme estrattive (ben 223) già operanti. Si sono espressi in questo senso sia il ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo che il presidente della Commissione ambiente del Senato, Antonio d’Alì, in sintonia con il commissario europeo all’energia Günther Oettinger, che lo ha proposto agli Stati membri della Ue in una comunicazione dedicata alle misure precauzionali per evitare i rischi offshore.

Il ministro degli esteri Franco Frattini ha invece chiesto che il problema sia discusso nell’ambito dell’Unione per il Mediterraneo (UpM), sostenendo che “Noi, comunque, non abbiamo alcun titolo per chiedere delle informazioni alla Bp su queste trivellazioni. È un passo che spetta all’Unione per il Mediterraneo”.

Un Protocollo da ratificare
La proposta italiana, orientata com’è alla realtà delle relazioni mediterranee, non può non tener conto dell’interesse francese a rilanciare il ruolo dell’Upm. La Francia, per parte sua, non può rinunciare a questa opportunità, considerando anche il suo tradizionale impegno internazionale nel settore dell’ambiente marino. Dunque i due paesi possono realmente giocare un ruolo leader in un campo che è scevro di controindicazioni politiche, ma che presenta rilevanti implicazioni economico-finanziarie. Da questo punto di vista, più che di una moratoria, si potrebbe parlare di un’attività limitata a fondali compatibili con tecniche estrattive sicure.

Per compiere questo passo è tuttavia necessario uscire dalla genericità delle intese di principio. A questo fine va ricordato che uno strumento giuridico per far fronte alle eventuali emergenze esiste, ma non è ancora attivo. Si tratta del Protocollo di Madrid del 1994 sulla Protezione del Mediterraneo contro l’inquinamento da attività offshore facente parte del “Sistema di Barcellona” incentrato, nell’ambito del “Piano di azione per il Mediterraneo” (Map), sulla Convenzione del 1976 sulla protezione del Mediterraneo dall’inquinamento.

Questo Protocollo stabilisce proprio gli adempimenti necessari a fronteggiare qualsiasi emergenza, come misure di sicurezza e piani di contingenza, nonché la mutua collaborazione tra gli Stati aderenti e l’assunzione di responsabilità da parte degli operatori commerciali anche mediante specifica copertura assicurativa. Esso è stato sinora ratificato da Tunisia, Marocco, Cipro e, non a caso, dalla Libia. Alla sua entrata in vigore manca una sola ratifica.

Non sappiamo in che modo si parlerà di attività offshore al prossimo vertice dell’Upm che si terrà a novembre a Barcellona. Ma è auspicabile che lo si faccia partendo proprio dalla questione dell’oblio in cui versa il Protocollo di Madrid. Un chiarimento è necessario, perché o i paesi interessati procedono rapidamente alla sua ratifica o, se hanno dubbi sui principi che lo animano, possono avviarne la revisione nelle parti ritenute non adeguate alla realtà dell’industria estrattiva, magari estendendone il campo di applicazione alle pipelines sottomarine.

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