I nuovi equilibri mondiali e la riforma del Fmi
Il ruolo del Fondo Monetario Internazionale si è decisamente rafforzato all’indomani della più grave crisi finanziaria dalla depressione degli anni trenta. Rimangono tuttavia irrisolti una serie di problemi strutturali dell’organizzazione, a cominciare dall’anacronistica distribuzione del potere di voto fra i sui membri, che ne limitano l’autorevolezza e l’efficacia. In una lettera aperta ai governatori del Fmi un gruppo di esperti appartenenti a istituti di ricerca di vari paesi, fra cui lo IAI, hanno sollecitato il varo di una serie di riforme della governance e del funzionamento del Fondo, anche in vista della riunione annuale che si terrà questa settimana a Washington.
Asimmetrie nella governance
Le risorse a disposizione del Fondo sono aumentate in misura significativa (circa mille miliardi di dollari). Il Fondo ha riformato i programmi di assistenza finanziaria e semplificato drasticamente la condizionalità. È inoltre diventato l’organizzazione multilaterale che fornisce alta consulenza tecnica ai Capi di Stato e di Governo del G20, fornendo analisi e raccomandazioni per favorire la cooperazione in campo macroeconomico. In questa prospettiva il Fondo potrà disporre di meccanismi efficaci e di incentivi e disincentivi adeguati per garantire il rispetto delle regole.
Un tale potenziamento del ruolo del Fmi è sostenibile, tuttavia, solo se tale istituzione riuscirà ad ispirare di nuovo fiducia e sicurezza. Senza la percezione di una sua riaffermata autorevolezza, i paesi membri saranno poco inclini ad avviare quel processo di peer review necessario al Fondo per svolgere nel futuro il suo ruolo di regolatore, anche in materia di processi di aggiustamento.
Un passaggio obbligato in questa direzione è una profonda riforma della presente struttura di governance del Fmi che rifletta i mutati equilibri di potere economico a livello globale.
L’attuale distribuzione del potere di voto presso il Fmi è oggi pesantemente distorta a favore dei paesi occidentali: i paesi membri del G7 hanno quasi la metà del potere di voto complessivo e rappresentano il blocco più potente attorno al quale aggregare altri voti. Inoltre, i voti di cui dispongono i paesi Ue e i membri non europei del G7 eccedono, nel loro complesso, la maggioranza assoluta di voti richiesta per approvare la gran parte delle decisioni, inclusa l’elezione del Direttore Generale dell’organizzazione.
Va inoltre considerato che la quota detenuta da ciascun paese nel capitale del Fmi, oltre a spiegare il potere di influenza di ciascun membro sulle decisioni prese dall’istituzione, condiziona l’allocazione dei Diritti Speciali di Prelievo, nonché l’accesso ai finanziamenti. I paesi che godono di un limitato potere di voto, come molti paesi emergenti, difficilmente riescono ad influenzare le politiche o i programmi di intervento del Fmi, anche su questioni su cui hanno diretta competenza o esperienza.
Questa distribuzione asimmetrica del potere di voto tra i membri del Fondo è amplificata dai relativi meccanismi di rappresentanza dei paesi membri che privilegiano anch’essi le economie avanzate, per lo più europee. Queste ultime sono rappresentate da ben 9 seggi nel Consiglio di Amministrazione del Fondo.Per riassumere, una distribuzione distorta del potere di voto, amplificata dagli attuali meccanismi di rappresentanza, genera una sostanziale asimmetria nella governance del Fmi, per cui vi è un piccolo gruppo di paesi che è in grado di legiferare, in forza della maggioranza assoluta dei voti di cui dispone, per l’intero gruppo di paesi membri del Fondo.
Riforme urgenti
Una correzione di tale asimmetria è dunque necessaria per riguadagnare la fiducia dei paesi emergenti, ed in particolare di quelli asiatici. Essendo generalmente sottorappresentati, avvertono un limitato senso di appartenenza verso il Fondo e sono oggi riluttanti a sottoporre le loro politiche economiche al suo scrutinio. Per contro, questi stessi paesi sono molto attivi nel dare vita ad iniziative finanziarie regionali o plurilaterali alternative al Fmi; e/o nel negoziare linee di credito direttamente con le autorità monetarie degli Stati Uniti o di altri paesi o aree emittenti valuta di riserva, ignorando così il Fmi.
Nel settembre 2009 i leader del G20 riuniti nel summit di Pittsburgh hanno raccomandato un riallineamento di almeno il 5 per cento dei voti a favore delle economie “emergenti”. Un passo importante ma che, come altre previste riforme di aspetti chiave della governance del Fmi, stanno procedendo con grande lentezza e difficoltà.
Allo stesso tempo una revisione delle quote, per quanto importante, non sarà sufficiente a modificare in misura significativa le asimmetrie strutturali esistenti nel funzionamento del Fondo e prima ricordate. Pertanto, il riallineamento dei diritti di voto deve essere accompagnato da una ricomposizione del Consiglio di amministrazione che assicuri una più equilibrata rappresentanza dei paesi membri, con una conseguente revisione delle posizioni oggi occupate dai paesi europei.
Un’altra riforma importante riguarda le candidature ai posti chiave della gestione del Fondo: esse vanno vagliate sulla base di un processo di selezione aperto e basato sul merito dei candidati senza restrizioni – come avviene oggi – legate alla loro nazionalità. In aggiunta andrà rivista la maggioranza qualificata dell’85 per cento che è oggi richiesta su molte materie e che attribuisce di fatto agli Stati Uniti, il più grande azionista, un potere di veto su decisioni della massima rilevanza.
In ultimo il processo di decisione del Fmi dovrebbe essere più trasparente e mettere i cittadini dei 187 paesi membri nella condizione di poter facilmente accedere ai contenuti delle riunioni e deliberazioni del Consiglio di Amministrazione.
È sui temi fin qui richiamati che un gruppo di esperti appartenenti a istituti di ricerca di vari paesi hanno elaborato una serie di proposte e le hanno sintetizzate in una lettera aperta spedita ai governatori del Fmi in vista della riunione annuale che si terrà questa settimana (8-10 ottobre) a Washington per sollecitare una riforma a ampio spettro dell’organizzazione.
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Vedi anche:
M. Sarcinelli: La faticosa ricostruzione della finanza mondiale