Quattro mosse per un’intesa con Gheddafi
Il 13 settembre scorso una motovedetta libica ha aperto il fuoco contro il peschereccio italiano Ariete a circa 30 miglia dalla costa libica. Non ci sono state vittime, ma l’incidente ha riaperto le polemiche sui rapporti italo-libici e sulla stipulazione del Trattato del 2008 di amicizia, partenariato e cooperazione, nonché sul contenuto dei tre protocolli (due del 2007 ed uno del 2009) che dettano intese per il contenimento dell’immigrazione illegale e con cui l’Italia ha ceduto alla Libia un certo numero di motovedette, fornendo anche assistenza tecnica per la loro gestione.
La motovedetta che ha aperto il fuoco contro l’Ariete era una di quelle cedute dall’Italia; a bordo si trovavano alcuni militari della nostra Guardia di Finanza, che ovviamente sono solo stati spettatori dell’operazione e addirittura sono stati inviati sottocoperta dal comandante libico della vedetta.
Grande confusione
Il ministro degli esteri Franco Frattini ha affermato che l’Ariete stava pescando illegalmente, con ciò effettuando un riconoscimento implicito della legittimità della zona di pesca libica. A caldo sono state poi fatte talune dichiarazioni, che probabilmente andavano più meditate. Il ministro dell’interno Roberto Maroni ha detto che forse il peschereccio era stato scambiato per una barca di emigranti illegali, come se in questo caso fosse legittimo aprire il fuoco; taluni politici dell’opposizione (ma anche della maggioranza) hanno addirittura invocato l’embargo nei confronti della Libia e la rinegoziazione del Trattato del 2008!
Una grande confusione, aggravata, nella stampa quotidiana, dall’ignoranza dei termini della controversia, ammesso che di controversia si possa parlare tra i due paesi, in materia di pesca. Un chiarimento sotto il profilo giuridico è venuto dalle dichiarazioni del sottosegretario agli esteri Stefania Craxi di fronte alle Commissioni esteri riunite di Camera e Senato il 16 settembre. Da parte libica si è voluto subito chiudere l’incidente, con le scuse all’Italia e il defenestramento del comandante della motovedetta. I nodi però restano.
Qui intendiamo prendere in considerazione la sola questione della pesca, rimandando a un successivo commento il problema delle misure contro battelli dediti all’immigrazione illegale.
Rivendicazioni libiche
La confusione che viene di solito fatta nella stampa tra acque territoriali e zona di pesca non aiuta a risolvere la questione. La Libia ha un mare territoriale di 12 miglia, pretesa conforme al diritto internazionale del mare. Le 12 miglia possono essere calcolate dalla linea di costa oppure dalla linea retta che chiude idealmente i punti più sporgenti della costa o l’imboccatura delle baie, che corrispondano a certi requisiti geometrici (c.d. test del semicerchio), a patto che questa non sia superiore alle 24 miglia. Si fa eccezione per le “baie storiche”, che possono essere chiuse, quantunque la loro apertura sia superiore.
A partire dal 1973, la Libia rivendica il Golfo della Sirte, che ha un’apertura di oltre 307 miglia marine, come baia storica, e quindi le 12 miglia di mare territoriale sono calcolate dalla linea di chiusura del Golfo. Le acque all’interno del Golfo sono “acque interne” in tutto e per tutto assoggettate al diritto di sovranità territoriale della Libia. Anche le acque territoriali sono oggetto del diritto di sovranità territoriale dello Stato costiero, ma, a differenza di quelle interne, sono soggette al diritto di passaggio inoffensivo delle navi dei terzi stati.
Nel 2005 la Libia ha istituito una zona di pesca di 62 miglia, calcolata a partire dalla linea di base che chiude la Sirte. La chiusura è avvenuta con atto unilaterale, ma ciò è conforme al diritto del mare ed è da ricordare che anche la Spagna ha fatto altrettanto quando nel 1997 ha istituito una zona di protezione della pesca. Le acque giacenti nella zona di pesca, che si estendono oltre le 12 miglia dalla linea di base, non sono mare territoriale, ma acque internazionali, dove lo Stato costiero ha però diritti sovrani per lo sfruttamento delle risorse biologiche. In altri termini, i terzi per pescare devono ottenere il consenso dello Stato costiero, che normalmente avviene a titolo oneroso (mediante licenza).
La zona di pesca libica, anche se calcolata dalla linea di costa della Sirte e non dalla linea di chiusura, resta comunque al di sotto della mediana con l’Italia; è quindi difficile contestarne la legittimità (al massimo si può lamentare che la proclamazione sia avvenuta senza adeguata consultazione dell’Italia). Occorre però, nelle sedi appropriate, contestare la rivendicazione libica della Sirte come baia storica. Ciò è già stato fatto, ma la protesta deve essere ripetuta per evitare acquiescenza. L’incidente dell’Ariete poteva essere un’occasione. È stata perduta.
Uso della forza
Le proteste libiche per i pescherecci italiani in zona di pesca libica non sono nuove, tanto che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali aveva diramato una circolare il 26 gennaio 2009 in cui si invitavano i nostri pescherecci a non avventurarsi nella zona di pesca del vicino.
Un altro problema riguarda l’uso delle armi per far rispettare la zona di pesca. È legittimo? Il diritto internazionale, inclusa la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, attribuisce allo stato costiero un potere di polizia in materia di pesca, comprensivo dell’abbordaggio e il fermo della nave sospetta. L’uso della forza non è escluso, ma questo deve essere conforme alla superiore esigenza di salvaguardare la vita umana. Come abbiamo già scritto altrove, le attività consentite possono comportare manovre cinematiche, di interposizione, colpo di avvertimento, fuoco scursorato (cioè volto a non centrare l’obiettivo) a proravia fino ad arrivare al fuoco disabilitante contro il timone o il motore allo scopo di costringere il battello a fermarsi. L’inseguimento, come sembra sia avvenuto nel caso dell’Ariete, è ammissibile e può continuare anche in acque internazionali oltre la zona di pesca, ma deve arrestarsi quando l’inseguito entri nelle acque territoriali altrui.
Il ruolo dell’Ue
Come risolvere la questione? Gli accordi di pesca sono di competenza dell’Unione europea ed è in corso di negoziazione un accordo quadro tra Ue e Libia, che dovrebbe avere per oggetto anche la pesca. L’Italia dovrebbe agire in sede europea per ottenere nel futuro accordo il riconoscimento dei suoi “diritti preferenziali di pesca” nella zona libica, poiché i nostri pescatori sono attivi nell’area da un cospicuo numero di anni, se non da tempo immemorabile. Anche Malta rivendica diritti preferenziali e questo ci mette in competizione.
Da tenere in mente che l’Ue è competente per il contenuto dell’accordo di pesca, ma non per la delimitazione dei confini marittimi, che resta nei poteri degli Stati membri. Spetta quindi all’Italia, e ad altri stati, come Malta, negoziare ad es. la delimitazione della piattaforma continentale non ancora definita e il limite esterno delle aree marine, quali zona di pesca o zona economica esclusiva, qualora si dovesse arrivare a una delimitazione poiché le rispettive zone si accavallano. È bene giungere ad una regolamentazione definitiva anche perché l’Italia, pur non avendo ancora proclamato una zona economica esclusiva, ha previsto l’istituzione di “zone di protezione ecologica” oltre il limite esterno del mare territoriale, la cui concreta attuazione attende l’adozione dei relativi decreti.
Risorse ittiche
In secondo luogo il Trattato del 2008 offre spazi per la cooperazione anche in materia di sfruttamento delle risorse ittiche, impegnando le parti a concludere un’intesa tecnica per la cooperazione economica, scientifica e tecnologica nel settore della pesca e dell’acquacoltura. Dovrebbero essere favorite intese analoghe tra i competenti enti dei due paesi e la costituzione di società miste. Il quadro apre la strada alla conclusione di intese ed accordi con la Regione Sicilia che, con Mazara del Vallo, è particolarmente interessata al settore. Un Memorandum d’intesa è stato concluso tra l’allora ministro delle politiche agricole Luca Zaia e la controparte libica. Ma alle buone intenzioni ora debbono seguire i fatti, come reclama Federpesca.
In terzo luogo occorre un’adeguata iniziativa per scongiurare il depauperamento delle risorse ittiche nel Mediterraneo, e il discorso vale in particolare per il tonno rosso. Alla Conferenza di Doha del marzo 2010 non è passata la proposta di inserire il tonno rosso tra le specie da proteggere in virtù della Convenzione di Washington del 1973 sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (Cites), di cui la Libia fa parte, e lo sfruttamento di tale specie nella zona di pesca libica sta diventando preoccupante a causa delle numerose licenze rilasciate dalla Nafco (Nour-Al Haiat Fishing Co.) ad imprese europee e giapponesi, incluse talune italiane. È quindi imprescindibile uno sfruttamento ottimale delle risorse in cooperazione con le organizzazioni internazionali rilevanti, quali l’Icaat (International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas), che è competente anche per il Mediterraneo, e con la Commissione generale della pesca nel Mediterraneo.
Premere sulla Libia
Un ultimo punto, ma non il meno importante: è diventato imprescindibile che la Libia ratifichi la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. La Convenzione offre un quadro di riferimento per tutte le attività marittime, incluse lo sfruttamento e la conservazione delle risorse ittiche. Inoltre la Convenzione ha stabilito una normativa precisa in caso di cattura di navi nella Zona economica esclusiva (applicabile anche alle zone di pesca), a salvaguardia non solo dei legittimi interessi dello stato costiero, ma anche di quelli degli equipaggi. Riteniamo quindi improcrastinabile che l’Italia svolga un’intensa azione diplomatica per convincere la Libia a ratificare nel più breve tempo possibile la Convenzione del 1982.
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Vedi anche:
N. Ronzitti: L’agenda italo-libica dopo la visita di Gheddafi
N. Ronzitti: Luci e ombre del Trattato tra Italia e Libia