IAI
Conflitto israelo-palestinese

La proposta Lieberman, il futuro di Gaza e il ruolo dell’Ue

4 Ago 2010 - Roberto Iannuzzi - Roberto Iannuzzi

Il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman ha recentemente proposto di trasferire la responsabilità di Gaza alla comunità internazionale, togliendo il blocco navale imposto da Israele. La proposta prevede fra l’altro che l’Ue giochi un ruolo di primo piano, contribuendo alla costruzione di alcune infrastrutture nella Striscia, compresa una centrale elettrica, un impianto di desalinizzazione e un porto. I paesi europei si assumerebbero al contempo il compito di impedire il contrabbando di armi, e di controllare le navi dirette a Gaza anche tramite ispezioni nei porti della Grecia o di Cipro. Israele romperebbe ogni residuo legame con l’enclave palestinese, chiudendo il confine una volta per tutte. Secondo Lieberman, ciò permetterebbe a Gaza di essere finalmente “un’entità indipendente”.

La proposta, che per il momento non sembra incontrare l’approvazione del premier israeliano Benjamin Netanyahu, è stata accolta con relativo scetticismo in Europa, ma non ha mancato di suscitare un certo interesse. Se l’Alto rappresentante per la politica estera europea Catherine Ashton è apparsa, a dir poco, fredda, il ministro degli esteri spagnolo Miguel Moratinos ha mostrato di non rifiutare l’idea, confermando che alcuni ministri degli Esteri dei paesi Ue hanno in programma di recarsi nella Striscia in settembre con alcuni suggerimenti riguardanti “un piano economico strategico per Gaza”.

La visita è stata peraltro fortemente caldeggiata anche dal ministro degli Esteri italiano Franco Frattini con l’obiettivo di verificare che il governo israeliano ha davvero allentato, come dichiarato, il blocco contro la Striscia. Fu d’altronde a Frattini per primo che Lieberman suggerì, durante un incontro svoltosi a Roma in giugno, di recarsi a Gaza alla testa di una delegazione dell’Ue.

Tentazione rischiosa
Come deve reagire l’Europa alla proposta Lieberman? Potrebbe essere tentata di “accontentare” Israele, liberandola dal fardello di Gaza, e allo stesso tempo aiutare i palestinesi alleviando la drammatica situazione umanitaria in cui versano.

Ma, al di là delle considerazioni umanitarie e dei costi economici, quali sarebbero le conseguenze politiche di una scelta del genere da parte dell’Ue?

Il primo ostacolo alla proposta Lieberman è il fermo rifiuto opposto dall’Autorità nazionale palestinese (Anp), da Hamas, e dall’Egitto. Agli occhi degli arabi, applicare tale proposta significherebbe mettere una pietra tombale sulla creazione di uno stato palestinese unitario in Cisgiordania e a Gaza, sancendo in maniera definitiva una separazione tra le due entità.

In particolare, l’Anp teme di perdere definitivamente ogni possibilità di ristabilire il proprio controllo sulla Striscia. Hamas teme di passare sotto una “tutela” internazionale, e di vedere Gaza definitivamente scorporata dal resto della “Palestina occupata” (Hamas perderebbe di conseguenza ogni influenza in Cisgiordania). Il Cairo, dal canto suo, vede nella proposta Lieberman l’ennesimo tentativo di “scaricare” sulle spalle dell’Egitto il fardello della popolazione di Gaza e di un movimento islamico pericoloso per la stabilità interna egiziana; ha perciò già fatto sapere che, di fronte ad un simile tentativo, è pronto a sigillare il valico di Rafah.

Il rischio di una deriva neocoloniale
È evidente che per l’Ue sarebbe azzardato accogliere la proposta Lieberman senza aver raggiunto un pieno accordo con le varie controparti arabe, impresa che appare ardua alla luce di quanto appena detto. In generale, accettare la prospettiva di un intervento a Gaza in assenza di uno sforzo complessivo per trovare una soluzione stabile alla questione palestinese, comporterebbe pericoli enormi. L’Ue rischierebbe di perdere il suo status di mediatore agli occhi degli arabi e di apparire loro come il “gendarme di Israele”. Per altro verso, Bruxelles rischierebbe di attirarsi la disapprovazione di Israele al primo incidente che dovesse verificarsi, venendosi a trovare in una situazione simile a quella della missione Onu in Libano (Unifil), sebbene quest’ultima operi sulla base di un accordo tra le parti.

Inoltre, Gaza non sarebbe un’“entità indipendente”, come sostiene Lieberman, ma un’enclave dai confini terrestri sigillati (sia con Israele che con l’Egitto), e soggetta ai controlli dell’Ue su tutto ciò che entrerebbe nelle sue acque territoriali. Inoltre, dipenderebbe dall’Europa per la sua sopravvivenza economica. L’Ue si troverebbe poi di fronte a un altro dilemma: interagire con Hamas, legittimandola, o tentare l’impresa improbabile di gestire un’enclave di un milione e mezzo di abitanti senza riconoscere l’autorità che la governa?

Ancora una volta, una parte dei palestinesi sarebbe posta “sotto tutela”, il che avrebbe agli occhi degli arabi un forte sapore neocoloniale, se non quello di un ritorno ai tempi delle potenze mandatarie. Si toccherebbe così il fondo del vicolo cieco in cui l’intera comunità internazionale si è cacciata dal momento in cui è stata rifiutata la legittimità della vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi del 2006 e sono stati boicottati i tentativi di creare un governo palestinese di unità nazionale.

Uscire dal vicolo cieco
D’altra parte, porre fine all’inutile e controproducente embargo di Gaza e alla tragedia umanitaria della popolazione della Striscia è urgente e doveroso, e l’Europa può e deve giocare un ruolo a questo proposito. Ma per giungere a questo obiettivo, la strada da percorrere è un’altra. È indispensabile riconoscere Hamas come attore politico sulla scena palestinese, visto che i palestinesi lo considerano tale; e contenerne le tendenze estremiste attraverso la riconciliazione palestinese, la creazione di un governo di unità nazionale e l’apertura di una seria prospettiva negoziale. Ciò avrebbe fra l’altro il pregio di favorire una “ri-arabizzazione” della questione palestinese, riportando Hamas nell’alveo arabo e sottraendolo all’influenza iraniana.

Nel contesto di una riconciliazione palestinese e di un orizzonte negoziale, l’embargo può essere tolto pur continuando a garantire la sicurezza di Israele (Hamas ha dimostrato in passato di saper accettare una tregua e di saperla far rispettare: si pensi alla tregua efficacemente mantenuta prima della guerra di Gaza del 2008-2009).

L’Ue dovrebbe dunque giocare un ruolo dapprima nella riconciliazione palestinese e nella definizione di un credibile orizzonte negoziale. Solo una volta raggiunto un accordo fra tutte le parti coinvolte, potrà contribuire a garantire la sicurezza di Israele attraverso il controllo dei confini di Gaza e partecipare alla sua ricostruzione. Contrariamente a quanto avverrebbe con la proposta Lieberman, l’Ue agirebbe col consenso dei palestinesi (oltre che di Israele) e con l’obiettivo di dar loro un futuro reale.

Si può obiettare che una riconciliazione palestinese è velleitaria, così come l’apertura di un processo negoziale. Ma è un fatto che la rottura tra Fatah e Hamas è stata favorita dall’atteggiamento della comunità internazionale. Pertanto, un’inversione di rotta da parte di quest’ultima potrebbe, all’opposto, generare un circolo virtuoso. Quanto all’orizzonte negoziale, può essere dato o da un ritorno a una seria discussione della soluzione dei due stati (che tuttavia appare problematica data la quantità di “fatti sul terreno” che ormai si frappongono alla sua realizzazione), o da un’apertura in direzione di un unico stato bi-nazionale.

Questa seconda ipotesi potrebbe apparire impraticabile a molti, anche in Europa, ma allo stato in cui sono giunte le cose in Israele/Palestina non è da sottovalutare, anche alla luce delle recenti aperture provenienti proprio da settori della destra e dei coloni in Israele, come testimonia fra gli altri un recente articolo apparso sul quotidiano israeliano Haaretz.

L’alternativa all’ipotesi dei due stati, o a quella dello stato bi-nazionale, è la liquidazione della questione palestinese. A cui sembra in effetti puntare la proposta di Lieberman.

La trasformazione di Gaza in un’enclave scorporata dalla Palestina storica rischia peraltro di condannare la Cisgiordania a un destino analogo, riducendola a una serie di enclave separate che qualcuno potrebbe voler annettere alla Giordania, sulla base della cosiddetta “opzione giordana” (la cui versione più radicale vorrebbe il trasferimento di tutti i palestinesi della Cisgiordania al di là del Giordano). Con il rischio di destabilizzare paesi limitrofi come l’Egitto e la Giordania, di far emergere nuovi nemici di Israele, e di provocare nuovi terremoti in tutta la regione.

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Vedi anche:

N. Ronzitti: È legittimo il blocco di Gaza?

S. Colombo: Due stati, unica soluzione per la Palestina

N. Tocci: Il conflitto israelo-palestinese e l’acquiescenza dell’Europa