Italia-Egitto, una partnership a metà
Il terzo vertice intergovernativo fra Italia ed Egitto, svoltosi a Roma lo scorso 19 maggio, ha confermato che i due paesi sono partner strategici a livello bilaterale, regionale e globale. Ma se è evidente che l’Italia sta dando un contributo importante allo sviluppo economico dell’Egitto, quando si passa ad analizzare l’influenza esercitata sullo sviluppo democratico ci si addentra in una zona grigia, nella quale il ruolo dell’Italia non è altrettanto nitido.
Relazione speciale
L’intensità di incontri e collaborazioni tra Roma e il Cairo – a livello politico, economico, culturale e scientifico – mostra come negli ultimi anni i rapporti bilaterali abbiano acquisito un’importanza crescente. L’Italia è il primo partner commerciale europeo dell’Egitto, secondo, nel mondo occidentale, solo agli Stati Uniti. Sono oltre 600 le aziende italiane attive nel paese delle piramidi e siamo anche tra i principali investitori stranieri nel paese, con un valore di investimenti esteri diretti pari a 8 miliardi di dollari nell’arco dell’ultimo triennio. Investiamo nei settori del petrolio, gas, cemento e tessile, ma anche nel settore bancario e in quello delle energie rinnovabili.
Con circa 20 progetti di cooperazione in corso, l’Italia è anche tra i primi finanziatori bilaterali dell’Egitto. Tra i 15 accordi firmati nel corso di quest’ultimo vertice, risaltano la Dichiarazione congiunta per l’attuazione di un programma di sviluppo socio-economico della costa nord-occidentale egiziana e una serie di accordi di cooperazione scientifico-culturale che prevedono, fra le altre cose, la nascita di un’università italo-egiziana a il Cairo. A latere del vertice, è stata varata anche la “Green corridor/green trade iniziative”, un progetto che prevede la creazione di una linea di navigazione per il trasporto di container e passeggeri che collegherà Venezia, Alessandria e Tartus (Siria).
Sul piano regionale, Italia ed Egitto condividono l’obiettivo di fare del Mediterraneo e del Medio Oriente una grande area di benessere e prosperità, rilanciando la cooperazione euro-mediterranea. A livello globale infine, entrambi i governi sono convinti del ruolo che l’Egitto può e deve giocare, come grande paese mediterraneo e africano, nella promozione della governance mondiale.
Un capo inamovibile
Ma se da un lato il vertice ha confermato che l’Italia è un partner importante per lo sviluppo economico dell’Egitto, dall’altro ha anche evidenziato quanto poco riesca a incidere nello sviluppo democratico egiziano. C’è una notevole fibrillazione politica sulle sponde del Nilo. A inizio giugno gli egiziani hanno eletto i membri del Consiglio della Shura, ed entro fine anno eleggeranno anche quelli dell’Assemblea del Popolo, rispettivamente la camera alta e bassa del parlamento egiziano.
Ma l’attenzione è puntata soprattutto sulle elezioni presidenziali previste nel 2011. Anche se il presidente Hosni Mubarak, alla guida dell’Egitto dal 1981, è visibilmente affaticato, non mostra alcuna intenzione di uscire di scena. A chi in Italia gli ha chiesto chi vedrebbe in futuro al suo posto, l’eterno faraone ha risposto che chi sarà il nuovo presidente “lo sa solo Dio”. Non il popolo o il parlamento, che nei paesi democratici sono evocati come i titolari di questa decisione.
Bocche cucite
Processo elettorale a parte, anche la tutela dei diritti umani e della libertà religiosa sono state tematiche assenti dall’agenda del vertice. Nessun commento sulla decisione recentemente presa dal parlamento egiziano di estendere lo stato di emergenza, in vigore dal 1981, per altri due anni e nessun accenno alla sorte dei copti egiziani e alle violenze subite sempre più frequentemente da questi cristiani, descritti recentemente dal Wall Street Journal come “vittime della più silenziosa forma di persecuzione”.
Quando dallo sviluppo economico si passa a quello democratico si entra in un’area grigia nella quale i governi, preoccupati di tutelare i loro interessi economici, raramente si peritano di esigere il pieno rispetto dei diritti umani. Quest’atteggiamento non è una peculiarità italiana; lo si nota anche sull’altra sponda dell’Atlantico e in numerosi paesi dell’Unione europea. A parole i paesi occidentali si preoccupano della tutela dei diritti umani, criticando la condotta di alcuni regimi, ma poi, negli incontri bilaterali, di fronte alla prospettiva di accordi vantaggiosi, se ne dimenticano.
Va da sé che la cooperazione in materia economico-commerciale non aiuta automaticamente lo sviluppo democratico. Affinché questo avvenga è necessario che i governi democratici che cooperano con regimi che non rispettano i diritti umani adottino una politica ferma. Se i governi democratici vogliono influenzare positivamente lo sviluppo democratico di questi paesi devono fare della tutela dei diritti umani una delle condizioni per l’avanzamento della cooperazione economico-commerciale.
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Vedi anche:
R. Aliboni: La lenta agonia dell’Unione per il Mediterraneo