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Medioriente

Il ritorno della Turchia nel Golfo Persico

21 Giu 2010 - Dario Cristiani - Dario Cristiani

Il prepotente ritorno della Turchia in Medio Oriente costituisce una delle dinamiche geopolitiche più interessanti degli ultimi anni. Dopo decenni di assenza dalla regione, legata agli imperativi strategico-ideologici della cultura politica di Ataturk e alle esigenze della Guerra Fredda, la Turchia è tornata a svolgere il suo ruolo, storicamente e geograficamente naturale, di potenza regionale. Questo nuovo dinamismo è particolarmente evidente nella regione del Golfo Persico.

Se molto è stato detto e scritto sulle relazioni turco-iraniane, il rafforzamento dei rapporti di Ankara con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg) ha ricevuto un’attenzione molto minore. Oltre alla condivisione di alcuni interessi strategici, come ad esempio l’unità e la stabilità dell’Iraq e, più in generale, del Medio Oriente e il contenimento dell’Iran, la Turchia ha anche un forte interesse nel rafforzare le relazioni economiche con i paesi di questa regione, notoriamente ricchi di capitali da investire grazie ai proventi del petrolio.

“Profondità strategica”
La fine della pressione sovietica, legata alla storica ossessione moscovita per il Bosforo, ha sicuramente cambiato le priorità strategiche turche. Durante la Guerra Fredda, il ruolo turco in Medio Oriente è stato minimo. Con Turgut Özal, negli anni ’80, vi fu un primo, timido cambiamento di rotta, provocato più che altro dalla necessità di trovare mercati utili per le esportazioni turche. Il “Big Bang” geopolitico del biennio 89-91 ha rappresentato invece una vera svolta per Ankara. Le dinamiche successive hanno poi rafforzato la percezione turca che le priorità geopolitiche del paese fossero legate agli eventi mediorientali. La Guerra del Golfo e la successiva crescente autonomia dei curdi in Iraq hanno rappresentato i primi segnali evidenti di tale mutamento. L’ascesa al potere del partito di ispirazione islamista Akp (Adalet ve Kalkınma Partisi) guidato da Recep Tayyip Erdoğan, primo ministro dal 2002, ha rafforzato tale interesse.

Il principale ispiratore della politica estera dell’Akp, Ahmet Davutoğlu, è un forte sostenitore della centralità turca nella regione. Attuale ministro degli esteri, nonché consigliere per la politica estera di Erdoğan sin dagli inizi dell’avventura politica dell’Akp, Davutoğlu è un accademico, politologo nelle università di Marmara e Beykent. Nel libro in cui ha espresso la sua peculiare visione del ruolo turco nel mondo, Strategik Derinlik. Turkiye’nin Uluslararasi Konumu (La profondità strategica. La posizione internazionale della Turchia), Davutoğlu ha sostenuto la naturale eredità ottomana della Turchia, rompendo così con uno dei principali capisaldi della cultura politica ataturkiana. Corollario naturale di questa affermazione è quindi la riscoperta della centralità turca come potenza Islamica, destinata a giocare un ruolo di primo piano nelle dinamiche mediorientali e dello spazio globale di senso islamico.

Se è vero che questa riformulazione della politica estera turca pone una forte enfasi sul carattere islamico della potenza turca, è errato sostenere che questo cambiamento sia stato provocato principalmente dal tipo di cultura politica espressa dall’Akp. Tale identità ha certamente contribuito a rafforzare una rotta che però era stata già tracciata dagli eventi successivi alla fine della Guerra Fredda. Più che a dinamiche interne, bisogna guardare ai fattori sistemici, regionali e globali, per cogliere l’essenza principale di tale riorientamento.

Interessi di sicurezza e necessità economiche
I rapporti della Turchia con il mondo arabo nel suo complesso sono stati contrassegnati da una profonda diffidenza reciproca. Nonostante la rottura con l’eredità ottomana, simboleggiata dalle “sei frecce” di Ataturk (repubblicanesimo, nazionalismo, populismo, laicismo, statalismo, riformismo-rivoluzionarismo, i punti alla base della sua ideologia), la Turchia era ancora largamente percepita come il naturale erede dell’impero ottomano, la potenza non-araba che ha dominato i territori arabi per secoli. Inoltre, il forte laicismo di cui era intrisa la sua nuova veste repubblicana, ha fatto sì che la Turchia fosse guardata con malcelato sospetto in gran parte del mondo arabo. A sua volta, in Turchia era forte e diffusa la percezione che gli arabi fossero dei traditori. Le radici di questo sentire risalgono agli eventi, particolarmente traumatici per il popolo e la memoria turca, della Prima Guerra Mondiale, in cui gli arabi erano alleati degli inglesi.

Queste reciproche diffidenze sembra stiano recentemente lasciando spazio a relazioni ben più cordiali e attive. L’accoglienza trionfale di Erdoğan al recente Forum economico arabo-turco, legata alle sue prese di posizione contro Israele, rappresenta solo l’ultimo di una serie di eventi che mostrano come i rapporti e le percezioni siano cambiate. Nel caso specifico, negli ultimi anni le relazioni tra Turchia e Ccg hanno conosciuto un forte miglioramento sia in ambito economico che in quello strategico.

Il fattore economico svolge sicuramente un ruolo centrale. Le recenti riforme hanno reso la Turchia ancora più attraente per i capitali stranieri e i paesi del Golfo hanno investito ingenti risorse in diversi ambiti dell’economia turca: turismo, energia, settore bancario e immobiliare, agricoltura. Nel 2009, gli scambi commerciali hanno raggiunto la cifra di 17 miliardi di dollari, con prospettive di crescita nei prossimi anni. Entro la fine del 2010 dovrebbe essere siglato il Free Trade Agreement (Fta), naturale seguito del Trade and Investement Framework Agreement sottoscritto nel 2005 e i cui negoziati vanno avanti da anni.

Se l’economia rappresenta il fulcro di questa relazione, la più importante novità è la cooperazione nel settore della sicurezza. Nel 2008 Turchia e Ccg hanno siglato un Memorandum of Understanding, che ha conferito alla Turchia lo status di partner strategico del Consiglio, primo paese al di fuori dell’area del Golfo ad ottenere tale riconoscimento. Negli ultimi mesi, la Turchia si è anche dimostrata attiva nel settore della cooperazione militare con questi paesi. Nel maggio 2010, Ankara ha siglato un importante accordo in questo ambito con l’Arabia Saudita, la principale potenza di questo blocco.

Turchia e Ccg condividono differenti interessi strategici: l’unità e la stabilità dell’Iraq; la non-proliferazione delle armi di distruzione di massa in Medio Oriente; un equilibrio regionale sostenibile basato sulla risoluzione del conflitto arabo-israeliano; il contenimento della prepotente ascesa iraniana come potenza regionale. La Turchia è peraltro impegnata in uno sforzo diplomatico nei confronti del’Iran, come mostrato anche dall’accordo trilaterale sul nucleare firmato insieme a Teheran e Brasilia. Ma per peso politico, dinamiche storiche e posizione geografica, Turchia e Iran si trovano in una “competizione geopolitica immanente”. Verso l’Iran la Turchia ha due principali obiettivi: accrescere il proprio status di potenza regionale e globale, capace di svolgere un ruolo di prim’ordine in una partita i cui effetti hanno dei chiari risvolti globali, e allo stesso tempo imbrigliare l’azione dell’amico/nemico persiano sciita, la cui ascesa è percepita con una certa preoccupazione.

Peso crescente
Il ritorno della Turchia in Medio Oriente, ed in particolare nella regione del Golfo, è oramai una realtà. Nei prossimi anni è difficile immaginare una Turchia estranea alle dinamiche regionali. In questa ottica, le relazioni tra Turchia e Ccg paiono destinate a rafforzarsi, sia in ambito economico sia strategico. Questo avrà sicuramente ripercussioni importanti non solo per la regione, ma anche per le relazioni della Turchia con l’Unione europea e gli Stati Uniti.

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Vedi anche:

M. Lekic: L’offensiva diplomatica della Turchia nei Balcani