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Rinviato il vertice di giugno

La lenta agonia dell’Unione per il Mediterraneo

23 Mag 2010 - Roberto Aliboni - Roberto Aliboni

La conferenza al vertice dell’Unione per il Mediterraneo (Upm), che doveva tenersi il 7 giugno, è stata rinviata a novembre: il quadro arabo-palestinese non consente infatti di svolgere un incontro collaborativo nell’ambito euro-mediterraneo fra arabi e israeliani. La Lega araba ha dato via libera ai negoziati indiretti fra israeliani e palestinesi sotto l’egida degli Usa ma, in attesa di vederne gli esiti, i suoi membri non hanno voluto direttamente incontrare né il primo ministro israeliano Netanyahu, né tanto meno il ministro degli esteri Lieberman, come sarebbe accaduto se si fosse svolto il vertice di Barcellona del 7 giugno.

Mancanza di egemonia
Con questi sviluppi, l’Upm – il secondo tentativo europeo di organizzare un quadro condiviso di “governance” mediterranea dopo il Partenariato euro-mediterraneo (Pem) – è praticamente fallito. Il Pem ha agonizzato per otto anni dopo il fallimento dei negoziati del 1996-2000 volti a stabilire i principi alla base della cooperazione politica euro-mediterranea. L’Upm ha impiegato molto meno per arrivare allo stesso risultato. Per la verità non ha mai neanche cominciato a funzionare, essendo stata bloccata dagli arabi nel dicembre del 2008 a causa dell’intervento israeliano a Gaza, appena un mese dopo la conferenza di Marsiglia che aveva posto le premesse per il suo lancio.

Dunque, la rivoluzione promossa dalla Francia mettendo l’Upm al posto del Pem non è riuscita: si è rivelata un’illusione l’idea che con il passaggio da un processo che si svolgeva sotto la tutela dell’Ue a uno intergovernativo, a cui i partner meridionali, partecipano con una responsabilità diretta, le cose potessero risultare più semplici. I partner del Sud sono anzi oggi più lontani che nel 1995, quando il Pem prese avvio.

Il ripetuto fallimento della politica dell’Ue verso il Mediterraneo è un fatto grave, che merita una riflessione di fondo piuttosto che degli aggiustamenti nelle politiche esistenti. Il primo fattore del fallimento è che, per riuscire, il progetto euro-mediterraneo richiede che l’Ue eserciti un’egemonia effettiva. Per farlo, dovrebbe essere un attore più forte, con una politica estera coerente e la volontà di impiegare le sue risorse per realizzarla. Gli obiettivi che l’Ue si propone di raggiungere nel suo vicinato e, più in generale, nelle relazioni internazionali sono sacrosanti, ma la speranza di riuscirci solo con mezzi normativi è vana. Ciò non vuol dire che l’Ue deve usare la forza, ma che deve essere forte e ispirare fiducia, credibilità e rispetto. Gli sforzi in corso per l’attuazione del Trattato di Lisbona e la realizzazione di un servizio diplomatico europeo capace di coordinare i vari strumenti disponibili in funzione di un’efficace politica estera, sono solo una precondizione: tutto dipende dalla volontà di esprimere una politica estera e perseguirla coerentemente.

Nodo mediorientale
Gli altri motivi del fallimento altro non sono che aspetti della debolezza della politica estera comune. In primo luogo, è necessario che l’Ue e gli europei respingano con più vigore la politica sciovinista ed espansionista che sempre più si è affermata in Israele: l’Ue dà grande importanza alla sicurezza di Israele anche in conseguenza di ciò che avvenne durante la seconda guerra mondiale. Ma altrettanto sicuramente la Ue è avversa al nazionalismo espansionista ed aggressivo di cui l’attuale governo israeliano è espressione. Questo aspetto non riguarda solo la politica mediterranea dell’Ue, ma, di nuovo, l’impostazione generale della sua politica estera.

Per contrastare lo sciovinismo israeliano, l’Ue non deve sanzionare Israele nel quadro dei rapporti bilaterali ed euro-mediterranei, come molti sostengono. Deve invece contribuire a portare la questione nell’ambito della comunità internazionale e dell’Onu e fare in modo che in quella sede venga esercitata la pressione necessaria su Israele. Quest’ultimo teme infatti la delegittimazione internazionale e l’isolamento sopra ogni altra cosa, anche perché fu la comunità internazionale a legittimarne la nascita nel 1947. È questa la leva da usare per contrastare lo sciovinismo israeliano e convincere il suo governo a negoziare in vista di una ragionevole soluzione. Che deve essere ragionevole, naturalmente, sia da parte israeliana che da parte araba.

Per un’efficace politica mediterranea dell’Ue serve un’Europa forte, ma anche giusta. Solo così l’Ue può avere la speranza di esercitare la benevola egemonia che è necessaria per dare alla regione l’assetto normativo e cooperativo che sta nei suoi progetti (che oggi, senza forza né giustizia sono solo velleità).

Visione strategica
Un terzo motivo di fallimento e difficoltà è lo stesso formato mediterraneo o euro-mediterraneo. Mentre la rete di relazioni bilaterali della Politica europea di vicinato (Pev) ha senso come politica di vicinato, una politica estera solo mediterranea è strategicamente e geopoliticamente priva di senso. Ciò è vero proprio a cominciare dal conflitto arabo-israeliano e israelo-palestinese. L’Ue è un attore internazionale troppo grande per credere che le politiche del cortile di casa possano sostituire una politica estera che deve necessariamente avere un respiro sovra-regionale e globale.

La politica del Mediterraneo è largamente inscindibile, specialmente ai livelli più alti, dal Medio Oriente. Si possono avere politiche di vicinato e sub-regionali (il Maghreb, il Golfo, il Vicino Orinete), ma nel quadro di una politica complessiva che riguardi l’intera regione, il Medio Oriente e anche il Grande Medio Oriente. La politica europea, perciò, per avere senso e successo, deve diventare forte, giusta, ma anche di più larghe vedute e più strategicamente sensata.

Che cosa accadrà a novembre? Se gli Usa dovessero nel frattempo riuscire a ripristinare un processo politico israelo-palestinese, è possibile che gli arabi consentano a riprendere il discorso euro-mediterraneo. Ma questo processo poggerebbe sulla forza degli Usa e non su quella dell’Ue e rimarrebbe quindi strutturalmente fragile. Se gli Usa falliranno, è difficile che il processo riprenda, anche solo a livello di cooperazione economica.

In questa prospettiva, gli europei dovrebbero: (1) trovare il modo di mettere in sicurezza almeno il processo di cooperazione economica; (2) sforzarsi di esprimere, a un livello più generale di quello euro-mediterraneo, una politica estera forte, giusta e strategicamente sensata. Se gli europei rispetteranno queste due priorità, è possibile che possano riavviare un discorso nel Mediterraneo anche a prescindere dalla capacità degli americani di ripristinare un negoziato israelo-palestinese.

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Vedi anche:

R. Aliboni: L’illuminismo di Obama e la Realpolitik mediorientale

C. Calia: Militari Usa contro Netanyahu