Il soft power della Cina in Asia centrale e i ritardi dell’Ue
La centralità nei traffici commerciali intercontinentali e la ricchezza di risorse naturali hanno fatto del Kazakistan un terreno di crescente competizione tra Russia, Cina ed Unione Europea. La determinazione del governo di Pechino ad accrescere la sua influenza in Asia centrale e il progressivo arretramento della Russia stanno mettendo a dura prova le prospettive strategiche dell’Ue nella regione.
Serbatoio energetico
Recentemente il governo kazako ha deciso di concedere alla Cina un milione di ettari di terra per la coltivazione di soia e colza per la produzione di olio. Poco dopo il governo cinese ha espresso la volontà di aumentare la produzione nazionale di gas naturale dell’8%. Le esportazioni kazake però, secondo diverse proiezioni, non ne risentiranno: la cooperazione tra la China National Petroleum Corporation (Cnpc) e la KazMunaiGas permetterà al Kazakistan di rimanere il serbatoio energetico principale, assieme a Uzbekistan e Turkmenistan, dell’economia cinese.
L’Unione Europea, invece, sembra in ritirata dall’Asia centrale: l’unico risultato recente della cooperazione europea è stato il varo, avvenuto a febbraio per opera della Commissione, di un piano d’aiuto di 7,3 milioni di euro volto a ridurre la vulnerabilità della regione davanti a possibili disastri naturali.
Nonostante i programmi di cooperazione dell’Ue configurino interventi volti ad uno sviluppo complessivo, abbracciando la sfera sociale, politica, economica ed istituzionale dei paesi coinvolti, l’Unione non risulta ancora un referente politico ed economico privilegiato. Il programma attualmente sviluppato dall’Ue nella regione, il ‘Central Asia Indicative Programme 2007-2010’, prevede varie forme di supporto tecnico e finanziario per aiutare le riforme amministrative ed economiche in vista della creazione di un’autentica economia di mercato. Ma il governo di Astana sembra poco incline a mettere in discussione equilibri che attualmente gli garantiscono di mantenere il controllo del paese.
Ambizioni regionali
Il governo kazako ha lasciato le porte aperte a varie forme di collaborazione con una molteplicità di attori. Governato da un sistema corporativo chiuso e verticistico, che ruota attorno al presidente Nazarbayev, il Kazakistan può beneficiare di una discreta capacità di manovra in politica estera. L’equilibro politico interno è fondato sulla capacità del governo di mantenere una crescita stabile e di perseguire politiche di redistribuzione volte ad appianare le sperequazioni esistenti tra le aree urbane e quelle rurali.
Un’economia basata sull’esportazione di materie prime (gas, greggio e minerali) ha garantito, negli ultimi due lustri, un afflusso di entrate che, grazie alla gestione oculata dei fondi sovrani gestiti dalla Banca Centrale kazaka, ha permesso una crescita tendenzialmente bilanciata. Negli ultimi anni, però, il governo ha intrapreso un deciso percorso di differenziazione economica (promosso dal presidente Nazarbayev all’interno del più ampio progetto ‘Kazakhstan 2030’), che ambisce a traghettare il paese verso una posizione di primazia economica, finanziaria e politica nella regione. L’istituzione di diversi fondi volti a finanziare, tra l’altro, il progresso tecnologico e lo sviluppo del settore manifatturiero e agricolo, non ha tuttavia riscosso il successo sperato. Due tra i maggiori investitori esteri (Russia e Ue) non hanno contribuito a sostenere le politiche governative: hanno investito risorse nell’estrazione mineraria e petrolifera, ma hanno ignorato del tutto sia il settore manifatturiero che quello agricolo.
Soft power cinese
Gli interventi della Cina in Kazakistan dimostrano, invece, che investire in diversi settori dell’economia bilanciando la presenza commerciale con interventi non invasivi, permette di consolidare i rapporti senza la ratifica di veri e propri trattati. Invece di lanciare iperbolici programmi di investimento, Pechino si è limitata ad appoggiare il piano di sviluppo governativo, guadagnandosi così la fiducia dell’elite e acquisendo la possibilità di muoversi nell’ambito del settore delle materie prime e dei gasdotti.
L’Unione europea non si è dimostrata altrettanto capace di intavolare un dialogo e una cooperazione efficaci con gli stati dell’Asia centrale. A differenza dell’Ue, la Cina ha privilegiato una penetrazione economica puntuale ma continua, basata su interventi mirati, sulla disponibilità di grandi capitali e su un intervento politico non invasivo. Il governo cinese è infatti sempre intervenuto ex post rispetto ai singoli contratti commerciali, promuovendo l’istituzionalizzazione di relazioni economiche già in atto. L’Unione europea, al contrario, è intervenuta ex ante, venendo spesso percepita come un soggetto normativo, che ha la pretesa di dettare le regole del gioco come condizione per il dialogo.
Per poter competere con l’intraprendenza cinese, le politiche di cooperazione dell’Ue devono adattarsi meglio alle dinamiche regionali, valutando con maggiore realismo interessi e bisogni degli interlocutori locali. Senza una buona dose di pragmatismo, l’Ue rischia di perdere la partita con la Cina prima ancora di cominciare a giocarla.
.
Vedi anche:
N. Sartori: Gas e sfere di influenza in Asia centrale