IAI
Dopo il vertice di Palma di Maiorca

La flotta anti-pirati dell’Ue si rafforza

4 Mar 2010 - Fabio Caffio - Fabio Caffio

Confermando la sua vocazione ad assumere, anche nel campo marittimo, ruoli di primo piano sulla scena politica internazionale, e forse in segno di orgogliosa reazione alle sue difficoltà finanziarie, la Spagna ha impresso una svolta al suo semestre di presidenza dell’Unione europea. Nel vertice dei ministri della Difesa svoltosi lo scorso 24 febbraio a Palma di Maiorca è stata infatti approvata la proposta di espandere le attività della missione navale dell’Ue, Atalanta, sia al controllo delle navi in uscita dai porti somali sia al contrasto delle navi madre che supportano le imbarcazioni pirata a centinaia di chilometri dalle coste.

Più peace-enforcing
In quella sede è stato inoltre annunciato che l’Unione: a) cercherà di realizzare un miglior coordinamento sia con le forze navali Nato dell’Operazione “Ocean Shield” sia con quelle di altri paesi impegnate al largo del Corno d’Africa; b) valuterà se prolungare la missione Atalanta oltre il 2010; c) migliorerà la cooperazione giudiziaria con il Kenya e le Seychelles (tentando di ampliarla ad altri paesi limitrofi) per la sottoposizione a processo dei pirati catturati.

Con questa iniziativa l’attività di contrasto alla pirateria assume una connotazione di peace-enforcing grazie alla capacità della missione Atalanta di adottare robuste regole di ingaggio (Roe) contro i pirati, sia per reprimere le attività in corso di esecuzione, sia per prevenirle nelle ipotesi stabilite dall’articolo 103 della Convenzione del diritto del mare del 1982 (“A ship… is considered a pirate ship… if it is intended by the persons in dominant control to be used for the purpose of committing … acts [of piracy]”). Non a caso, d’altronde, le varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza succedutesi dalla 1816 (2008) sino alla 1897 (2009), pur dichiarando applicabile il quadro giuridico del tempo di pace previsto dalla stessa Convenzione, hanno definito la pirateria somala “a threat to international peace and security”: gli Stati intervenuti sono così stati autorizzati ai sensi del Capo VII della Carta ad usare “all necessary means”, in accordo con il diritto internazionale, per sradicare il fenomeno e garantire la libertà di navigazione.

Navi madri e traffico di armi
L’esistenza di navi madri che supportano i battelli pirati a centinaia di miglia dalla costa somala è da tempo un problema per le forze navali operanti che non sono sempre state in grado di affrontarlo adeguatamente. Vari caveat hanno infatti impedito un’azione efficace anche per la difficoltà giuridica di intervenire sulla base di semplici sospetti o di stabilire un collegamento, in termini di concorso (“voluntary participation” ), tra imbarcazioni presenti sulla scena d’azione.

Ora Atalanta si dichiara per la prima volta intenzionata a contrastare il fenomeno. Tra le varie difficoltà vi sarà tuttavia quella di individuare con esattezza tali navi. Esse tendono infatti a camuffarsi assumendo a volte le sembianze di un peschereccio con equipaggio in ostaggio o presentandosi addirittura, come nel recente caso della portacontainer inglese “Asian Glory” sotto controllo di pirati, come un normale mercantile. Alla Fregata danese “Absalon”, operante sotto comando Nato, va comunque il merito di averne neutralizzato per prima una lo scorso 28 febbraio.

Un altro nodo irrisolto è sempre stato quello della neutralizzazione dei covi utilizzati dai pirati sulla costa somala. Anche se il legittimo “Transitional Federal Government” (Tfg) aveva autorizzato lo svolgimento di attività antipirateria nelle acque territoriali somale e nonostante la risoluzione 1851 (2009) consentisse eventuali azioni di forza a terra, di fatto le forze navali avevano quasi sempre incrociato al largo a protezione del traffico mercantile.

La volontà dell’Unione di avvicinarsi finalmente alla terra non può dunque che essere apprezzata favorevolmente, considerando anche che gli approdi sulla costa somala sono ben pochi (Eyl, Hobyo e Harar-dhere nell’Oceano Indiano; Bosaso nel Golfo di Aden) e che in questo modo si darà finalmente applicazione alle risoluzioni dell’Onu, più volte richiamate da quelle concernenti la pirateria, che stabiliscono un embargo del traffico di armi verso/da la Somalia, l’ultima delle quali è stata la 1853 (2008). A questa stregua l’interdizione del trasporto di armi appare dunque come un atto coraggioso, volto a fermare un fenomeno che è confinato in una zona grigia del diritto internazionale (il trasporto illegale di armi non è di per sé un illecito internazionale).

Scetticismo smentito
L’iniziativa spagnola rilancia l’azione della “European Naval Force Somalia” (EU Navfor) e della dipendente Ctf 465 sotto il comando italiano del Contrammiraglio Gianni Gumiero. In questo modo le Marine europee sono state riconosciute come strumento della Politica europea di sicurezza e difesa (Pesd), anche se una vera e propria Marina europea non è stata ancora creata. E si è dimostrato che non è possibile prescindere, nel breve e nel medio periodo, da un’azione di pattugliamento navale che, per quanto diluita su un fronte estesissimo, è pur sempre il deterrente più efficace per contrastare il proliferare di una minaccia che altrimenti diverrebbe incontrollata.

La realtà è che la privatizzazione del contrasto della pirateria con guardie armate (armed contractors) è considerata, a livello europeo, una soluzione debole, non gradita al personale della Marina e pericolosa giuridicamente, perché porta a confondere lo status legale di navi da guerra e mercantili. La proposta è stata portata avanti per incapacità a ricoprire ruoli navali propri degli Stati, da paesi come quelli del gruppo delle così dette bandiere ombra che hanno emanato nel 2009 la “New York Declaration” per incoraggiare i mercantili ad adottare self protection measures. Anche se è possibile che singoli paesi, come fatto peraltro dalla Spagna, la autorizzino, in via eccezionale, ponendovi specifici limiti legislativi.

Rafforzare la sorveglianza marittima somala
E l’Italia cosa fa? Con un approccio al contrasto della pirateria in parte differente rispetto a quello di Spagna, Gran Bretagna, Francia e delle altre nazioni marittime come Norvegia, Olanda e Danimarca, l’Italia (che pure ha forti interessi marittimi da proteggere oltre ad una cospicua flotta mercantile di bandiera) sembra non voler puntare esclusivamente sullo strumento navale.

A ben guardare non si tratta tuttavia di riserve sul ruolo di counterpiracy delle forze navali e sui connessi problemi legali (il governo ha infatti a più riprese finanziato la partecipazione di Unità della Marina alle missioni dell’Ue e della Nato emanando norme giuridiche ad hoc), ma di una visione di lungo periodo. Come più volte dichiarato dal ministro Frattini, la pirateria somala è basata a terra e di lì va sradicata ricostituendo le capacità del Tfg somalo di sorvegliare gli spazi marittimi sotto giurisdizione nazionale, pesca compresa. Semplice auspicio? No, se si considera che anche l’Ue punta sul rafforzamento delle forze terrestri di Amisom e della polizia locale e che un comandante delle Forze di pattugliamento costiere somale esiste già ed è in attesa che i suoi uomini vengano addestrati e che nuove imbarcazioni costiere gli vengano assegnate.

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Vedi anche:

V. Miranda: L’Italia al comando della flotta anti-pirati

F. Caffio: I Paesi arabi del Mar Rosso contro la pirateria